Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1595 del 26/01/2010

Cassazione civile sez. lav., 26/01/2010, (ud. 10/12/2009, dep. 26/01/2010), n.1595

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 6289/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/07/2005 R.G.N. 9121/03;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

10/12/2009 dal Consigliere Dott. MAMMONE Giovanni;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del Tribunale di Roma veniva rigettata la domanda di G.S. di dichiarare nullo il termine apposto alla sua assunzione presso Poste Italiane s.p.a. per il periodo 16.7 – 30.9.99, motivata dalla necessita’ di consentire l’espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno/settembre.

Proposto appello dalla G., costituitasi l’appellata Poste Italiane spa, la Corte d’appello di Roma con sentenza 29.10.04 – 18.7.05 accoglieva l’impugnazione e dichiarava la nullita’ del termine con conseguente dichiarazione dell’esistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato e condanna del datore alla corresponsione delle retribuzioni arretrate. Rigettata preliminarmente l’eccezione di inammissibilita’ della domanda per carenza di interesse del dipendente che aveva prestato il suo consenso allo scioglimento del contratto a termine, il giudice di merito riteneva nulla l’apposizione del termine non essendo stato indicato il nominativo del lavoratore sostituito ed il periodo di sua assenza.

Avverso questa sentenza la soc. Poste Italiane proponeva ricorso per Cassazione. Non svolgeva attivita’ difensiva l’intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso e’ fondato nei limiti di seguito indicati.

I motivi dedotti dalla soc. Poste Italiane possono essere cosi’ sintetizzati:

1. violazione degli artt. 1372, 1175, 1375, 1427, 1431 e 2697 c.c. e dell’art. 100 c.p.c., nonche’ carenza di motivazione, in quanto il rapporto di lavoro avrebbe dovuto essere ritenuto risolto per mutuo consenso, costituendo l’ampio lasso di tempo trascorso indice di disinteresse del lavoratore a sostenere la nullita’ del termine, di modo che erroneamente il giudice di merito avrebbe affermato che la prolungata inerzia non costituisce comportamento idoneo a rappresentare la carenza di interesse al ripristino del rapporto (primo motivo);

2. violazione della L. n. 230 del 1962, della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 1362 c.c. e segg. sotto un duplice profilo:

2.1. in quanto il giudice di merito ha erroneamente ritenuto che, per integrare la fattispecie prevista dall’art. 8 del ccnl 26.11.94 della assunzione a termine per assicurare il servizio in concomitanza della fruizione delle ferie da parte del personale, dovesse essere indicato il nominativo del lavoratore sostituito (secondo motivo);

2.2. ritenendosi che detto art. 23 non abbia posto alcun vincolo oggettivo alle causali di fonte collettiva e, in particolare, che la situazione di fatto elevata pattiziamente a fattispecie legittimante l’apposizione del termine debba essere necessariamente correlata con una temporanea assenza dal lavoro di altro personale (terzo motivo).

Il primo motivo, relativo alla c.d. risoluzione del contratto per mutuo consenso, e’ infondato. Al riguardo la giurisprudenza della Corte di Cassazione (v. per tutte Cass. 17.12.04 n. 23554) ha ritenuto che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto) per la configurabilita’ di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso e’ necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonche’, alla stregua delle modalita’ di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volonta’ delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo;

la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimita’ se non sussistono vizi logici o errori di diritto”.

La Corte d’appello ha rilevato che la societa’ appellante, processualmente a tanto onerata, ha omesso di fornire elementi utili a consentire la prospettata valutazione, non ritenendo sufficiente a rappresentare la disaffezione del lavoratore la circostanza che lo stesso avesse agito in sede giudiziaria con “relativa tempestivita’” (ovvero dopo quasi tre anni dalla cessazione del contratto a termine). Trattasi di considerazioni di merito congruamente motivate, come tali non censurabili sul piano logico.

Sono, invece, fondati i motivi secondo e terzo, da prendere in considerazione in unico contesto in ragione dell’evidente collegamento tra di loro esistente.

Il contratto a termine fu motivato dalla necessita’ di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno/settembre, in forza di fattispecie prevista esplicitamente dall’art. 8, comma 2, del c.c.n.l. 26.11.94.

Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 2.3.07 n. 4933), decidendo su una fattispecie inerente l’ipotesi di assunzione a tempo determinato prevista dall’art. 8 del c.c.n.l. 26.11.94 dei lavoratori postali “per necessita’ di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno/settembre” ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la sussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito avendo ritenuto la sussistenza di una violazione di norme di diritto e di un vizio di interpretazione della normativa collettiva.

Infatti, l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva e’ del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie prevista dalla L. n. 230 del 1962, in considerazione del principio (Cass. S.u.: 2.3.06 n. 4588) che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 che demanda alla contrattazione collettiva la possibilita’ di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati. Questi ultimi, pertanto, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere “oggettivo” ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, consentendo (vuoi in funzione di promozione dell’occupazione o anche di tutela delle fasce deboli di lavoratori) l’assunzione di speciali categorie di lavoratori, costituendo anche in questo caso l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessita’ del mercato del lavoro idonea garanzia per i suddetti lavoratori e per una efficace salvaguardia dei loro diritti.

L’art. 8, comma 2, del c.c.n.l. 26.11.94, per il quale “l’Ente potra’ valersi delle prestazioni di personale con contratto a termine…

anche nei seguenti casi: necessita’ di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno/settembre…”, usando una formula diversa da quella della L. n. 230 del 1962 testimonia che le parti stipulanti considerano questa ipotesi di assunzione a termine, in ragione dell’uso dell’espressione in concomitanza, sempre sussistente nel periodo stabilito (giugno/settembre). Altre decisioni (cfr. Cass. 6.12.05 n. 26678) hanno, inoltre, confermato le decisioni di merito che, decidendo sulla stessa fattispecie, avevano ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operativita’ fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

Non essendosi il giudice di merito attenuto a questi principi, i detti motivi debbono essere accolti con conseguente accoglimento del ricorso e cassazione dell’impugnata sentenza.

Non rendendosi necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, deve statuirsi nel merito e rigettarsi la domanda.

Le spese del giudizio di merito debbono essere compensate tra le parti, in ragione dell’alternanza della giurisprudenza nel lasso di tempo interessato dal primo e secondo grado.

Le spese del giudizio di legittimita’, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso e, cassata l’impugnata sentenza e provvedendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa tra le parti le spese del giudizio di merito e condanna la resistente alle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 24,00 per esborsi ed in Euro 1.500,00 per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.

Cosi’ deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010

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