Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15949 del 06/07/2010
Cassazione civile sez. trib., 06/07/2010, (ud. 26/05/2010, dep. 06/07/2010), n.15949
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MERONE Antonio – Presidente –
Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –
Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –
Dott. GRECO Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i
cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12;
– ricorrente –
contro
Fallimento Guerini Carni Srl, in persona del curatore in carica,
elettivamente dom.to in Roma, piazzale Clodio 1, presso lo studio
dell’avv. Sebastiano Ribaudo e rappresentato e difeso dall’avv. CONTI
Danilo del Foro di Bergamo giusta mandato speciale a margine del
controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della
Lombardia n. 150/66/07, depositata il 27 dicembre 2007;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
dal Consigliere Dott. Giovanni Carleo;
Lette le conclusioni scritte dell’Avvocatura Generale dello Stato per
conto dell’Agenzia delle Entrate, della difesa del resistente e le
successive memorie depositate dal medesimo;
Uditi il P.G. in persona del Dr. Massimo Fedeli.
Fatto
FATTO E DIRITTO
Ritenuto che l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 150/66/07, depositata il 27 dicembre 2007, con la quale è stato rigettato l’appello dell’Agenzia avverso la sentenza della CTP di Bergamo la quale aveva accolto un ricorso del contribuente avverso gli accertamenti relativi a maggiori imposte Irpeg, Iva ed Irap per gli anni 1998, 1999 e 2000; ritenuto che il Fallimento Guerini Carni Srl resiste con controricorso;
n ritenuto che l’unico motivo di ricorso, con il quale si denuncia la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21 e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 è concluso dal seguente quesito: dica la Corte “se, in materia di Iva, ed in presenza di una contestazione di indebita detrazione di imposta per inesistenza c.d.
soggettiva delle operazioni documentate dalle fatture passive, incorra nella violazione delle regole dell’onere della prova, il giudice che annulli la rettifica fiscale senza accertare che il contribuente abbia dimostrato la legittimità e la correttezza delle operazioni ma ritenendo che l’Ufficio non abbia dato piena prova dell’inesistenza delle operazioni, viepiù allorquando il medesimo giudice abbia accertato che l’ufficio finanziario avesse fornito degli indizi e delle ragionevoli conclusioni a sostegno delle proprie tesi”;
ritenuto che il Fallimento ha eccepito l’inammissibilità del ricorso adducendo che il quesito formulato non sarebbe pertinente con l’asserita violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, e che non sarebbe stato chiarito come tale norma fosse stata erroneamente applicata dai giudici di merito; ritenuto che tale eccezione è infondata alla luce del rilievo che la censura dell’Agenzia, riassunta nel quesito sopra riportato, richiama altresì ed espressamente l’art. 2697 c.c., ed investe il compimento di fatturazioni di operazioni soggettivamente inesistenti di cui al precetto normativo contenuto nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, adducendo trattarsi nella specie di operazioni relativamente alle quali l’onere di provare l’effettività dell’operazione, in presenza di elementi probatori che facciano ritenere che il soggetto che formalmente ha emesso la fattura non aveva la struttura idonea a fornire la prestazione fatturata, è a carico dell’utilizzatore, il cui comportamento non consente di controllare se effettivamente sia stata versata l’Iva dovuta;
ritenuto infatti che questa Corte con indirizzo ormai consolidato ha avuto modo di affermare il principio secondo cui “qualora l’Amministrazione contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, e fornisca attendibili riscontri indiziali sulla inesistenza delle operazioni fatturate, è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indebiti. (Cass. 2847/08). Ed invero, “se l’amministrazione fornisca validi elementi -alla stregua del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 2 – per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni (anche solo parzialmente) fittizie, passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate” (Cass. n. 15395/08);
ritenuto che, in materia di IVA, l’onere di provare l’effettività dell’operazione, in presenza di elementi probatori che facciano ritenere che il soggetto che formalmente ha emesso la fattura non aveva la struttura idonea a fornire la prestazione fatturata, è a carico dell’utilizzatore, il cui comportamento non consente di controllare se effettivamente il prezzo fatturato sia stato pagato e se sia stata versata l’Iva dovuta: la non corrispondenza tra soggetto che emette la fattura e soggetto che effettua la prestazione impedisce infatti il controllo sull’ammontare del prezzo effettivamente pagato e sull’adempimento degli obblighi Iva e consente a chi lavori “a nero” di sottrarsi all’imposizione (Cass. 27574/08); ritenuto, in conclusione, che il ricorso proposto, alla stregua di tutte le pregresse considerazioni, deve essere accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata; ritenuto che, occorrendo un rinnovato esame della controversia, la causa deve essere rinviata ad altra Sezione della CTR Lombardia, che provvederà anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio anche per le spese ad altra sezione della CTR Lombardia.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 maggio 2010.
Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2010