Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15942 del 08/06/2021

Cassazione civile sez. lav., 08/06/2021, (ud. 15/01/2020, dep. 08/06/2021), n.15942

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25030-2015 proposto da:

TELECOM ITALIA S.p.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ENZO MORRICO,

FRANCO RAIMONDO BOCCIA, ROBERTO ROMBI;

– ricorrente –

contro

B.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NIZZA 59, presso

lo studio dell’avvocato AMOS ANDREONI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIANFRANCO MAGALINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 11/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 07/05/2015 R.G.N. 74/2012.

 

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Venezia, con sentenza pubblicata in data 7.5.2015, ha rigettato il gravame interposto da Telecom Italia S.p.A., nei confronti di B.A., avverso la pronunzia del Tribunale della stessa sede n. 676/2011, resa il 19.7.2011, con la quale – per quanto ancora di interesse in questa sede – era stato revocato il decreto ingiuntivo emesso dal medesimo Tribunale in favore della B., ed era stata condannata la società a versare a quest’ultima l’importo di Euro 85.549,40, oltre rivalutazione ed interessi sulla somma via via rivalutata, a titolo di risarcimento del danno cagionato sino al (OMISSIS), “data di riferimento degli importi quantificati come dovuti nel ricorso per decreto ingiuntivo”;

che la Corte di merito, per ciò che ancora qui rileva, ha ritenuto di fare proprio l’iter argomentativo del giudice di prima istanza, il quale aveva dichiarato la inefficacia della cessione di ramo di azienda intervenuta tra la Telecom Italia S.p.A. e Telepost S.p.A. ed aveva condannato la prima a ripristinare la concreta funzionalità del rapporto di lavoro intercorso con la lavoratrice B.A., stabilendo che sussistessero i presupposti per l’emanazione del provvedimento monitorio, in relazione al risarcimento del danno dalla stessa subito, a causa della cessione inefficace, successivamente alla data in cui la dipendente aveva offerto la prestazione lavorativa a Telecom Italia S.p.A., dopo la pronunzia di primo grado di inefficacia della cessione;

che per la cassazione della sentenza ricorre Telecom Italia S.p.A., articolando due motivi, cui resiste con controricorso B.A.; che sono state comunicate memorie nell’interesse della lavoratrice;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2112 e 1965 c.c., perchè la sentenza impugnata non avrebbe esaminato la condotta della B. – che, con una transazione stipulata con Telepost S.p.A. (cessionaria del ramo di azienda) il 29.6.2006, ha accettato la messa in mobilità da parte di quest’ultima, nonchè la risoluzione del rapporto di lavoro con la stessa – ed avrebbe, pertanto, erroneamente ritenuto che il rapporto di lavoro in questione non fosse stato trasferito dalla cedente Telecom Italia S.p.A. alla cessionaria Telepost S.p.A., “in quanto è accertato, con pronuncia passata in giudicato, che non sussistono le condizioni per applicare l’art. 2112 c.c., e che la B. non ha manifestato il proprio consenso alla cessione del contratto, come imposto dall’art. 1406 c.c.. Perciò, il rapporto di lavoro di fatto instauratosi tra Telepost S.p.A. e la B. è rimasto del tutto distinto rispetto a quello che la B. aveva con Telecom Italia S.p.A., perchè se si ritenesse l’unicità del rapporto, come pretende l’appellante, si giungerebbe alla conclusione di ritenere l’avvenuta modificazione soggettiva della persona del datore di lavoro, senza la sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 2112 c.c. o dall’art. 1406 c.c.”; 2) “subordinatamente al primo motivo di ricorso” (v. pag. 8 di quest’ultimo), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1206,1207,1217,1223,1256,1453 e 1463 c.c., nella parte in cui nella sentenza impugnata non è stata detratta, a titolo di aliunde perceptum, l’indennità di mobilità percepita dalla B., in quanto i giudici di appello avrebbero erroneamente ritenuto che l’indennità di mobilità non si configuri come “una somma che riduca l’entità del danno subito dalla lavoratrice e che perciò non sia detraibile dall’ammontare dell’importo riconosciuto a titolo di risarcimento del danno quale aliunde perceptum”, poichè “a seguito dell’accertamento della prosecuzione del rapporto di lavoro con Telecom Italia S.p.A., l’importo dell’indennità di mobilità dovrà essere restituito all’Istituto erogatore”;

che il primo motivo non è meritevole di accoglimento, in quanto la società non ha prodotto la transazione cui fa riferimento, nè l’accettazione, da parte della B., della collocazione in mobilità da parte della cessionaria e della risoluzione del rapporto di lavoro; e ciò, in violazione del principio più volte ribadito da questa Corte, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 in combinato disposto con l’art. 369 c.p.c.), in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (Cass. n. 14541/2014). Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 11205/2016; 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013); per la qual cosa, questa Corte non è stata messa in grado di apprezzare la veridicità delle doglianze mosse all’iter argomentativo seguito dai giudici di merito;

che il secondo motivo (peraltro articolato “subordinatamente al primo motivo di ricorso”) non è fondato, poichè, alla stregua del recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, che ha rivisitato il precedente indirizzo giurisprudenziale nella materia (v. Cass., SS.UU. n. 2990/2018 – relativa alla illecita interposizione di manodopera ed alla natura delle somme spettanti al lavoratore – ai cui principi ispiratori è stato riconosciuto valore di “diritto vivente” dal Giudice delle leggi con la sentenza n. 29/2019; e cfr., altresì, Cass. nn. 17786/2019; 17785/2019; 17784/2019, che quei principi hanno recepito in tema di trasferimento di azienda, poi dichiarato invalido), qualora il datore di lavoro abbia operato un trasferimento di (ramo di) azienda dichiarato illegittimo ed abbia rifiutato il ripristino del rapporto senza una giustificazione, non sono detraibili dalle somme dovute al lavoratore dal datore cedente, quanto il lavoratore stesso abbia percepito, nello stesso periodo, anche a titolo di retribuzione, per l’attività prestata alle dipendenze dell’imprenditore già cessionario, ma non più tale, una volta dichiarata giudizialmente – come nella fattispecie – la non opponibilità della cessione al dipendente ceduto; e ciò, perchè, in tale ipotesi, permane in capo allo stesso il diritto di ricevere le somme ad esso spettanti, da parte del datore cedente, a titolo di retribuzione e non di risarcimento (v., ancora, Cass. SS.UU. n. 2990/2018, cit.). Per la qual cosa, non trova applicazione il principio della compensatio lucri cum damno, su cui si fonda la detraibilità dell’aliunde perceptum dal risarcimento, poichè, appunto, è stato escluso che la richiesta di pagamento del lavoratore abbia titolo risarcitorio; che per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va respinto; che, in considerazione del superamento del precedente orientamento giurisprudenziale nella materia, appare equo disporre la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto precisato in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2021

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