Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15940 del 29/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 29/07/2016, (ud. 04/05/2016, dep. 29/07/2016), n.15940

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23232-2011 proposto da:

AZIENDA U.S.L. ROMA “(OMISSIS)” C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GERMANICO 146, presso lo studio dell’avvocato MOCCI ERNESTO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

R.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio

dell’avvocato MANNI MARIA CRISTINA, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4406/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/06/2011, R.G. N. 3483/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/0.5/2016 dal Consigliere Dott. TRICOMI IRENE;

udito l’Avvocato ERNESTO MOCCI;

udito l’Avvocato DOMENICO TOMASSETTI per delega MARIA CRISTINA MANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI RENATO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 4406 del 2009, pronunciando sull’impugnazione proposta dalla Azienda USL Roma (OMISSIS) nei confronti di R.G., avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Roma n. 1920 del 1 febbraio 2008, rigettava l’appello.

2. Il Tribunale di Roma aveva rigettato l’opposizione proposta dalla USL Roma (OMISSIS) avverso il decreto ingiuntivo con il quale, su istanza di R.G., gli era stato intimato il pagamento della somma di Euro 4.424,00 dovuta a titolo di indennità di coordinamento ex art. 10 del CCNL, comparto sanità 1998-2001.

2. La Corte di Appello confermava la decisione del Tribunale, ritenendo che la Delib. 847 del 2005, che aveva attribuito la suddetta indennità, in quanto atto negoziale, non poteva essere revocata da parte dell’Amministrazione, con la Delib. n. 1345 del 2006 (dopo la sospensione disposta con Delib. n. 329 del 2006), in sede di autotutela.

3. Per la tassazione della suddetta sentenza di appello ricorre la Azienda USL Roma (OMISSIS), prospettando due motivi di ricorso.

4. Resiste la R. con controricorso.

5. Entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’udienza pubblica.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISONE

1. R.G., dipendente della Azienda USL Roma C, appartenente alla ex categoria C, agiva in giudizio per la condanna della datrice di lavoro al pagamento delle somme che assumeva esserle dovute a titolo di indennità di coordinamento ai sensi dell’art. 10 del CCNL 1998/2001, in base alla Delib. n. 847 del 2005.

Tale delibera, era stata sospesa con la Delib. n. 329 del 2006, sul presupposto della pendenza di un accertamento da parte della Corte dei Conti, previa indagine della Guardia di Finanza, sulla regolarità di attribuzione dell’indennità di coordinamento.

Nelle more del giudizio l’Amministrazione adottava la Delib. n. 1345 del 2006, con la quale, in esito alla relazione resa da una Commissione di esperti esterni, disponeva il ritiro della Delib. n. 847 del 2005.

2. Oggetto della controversia è, dunque, la domanda di accertamento del diritto a percepire l’indennità di coordinamento di cui all’art. 10 del CCNL comparto sanità, 2^ biennio economico 2000-2001, rubricato “Coordinamento”, con conseguente condanna dell’Amministrazione al pagamento delle relative somme.

La Corte d’Appello ha ritenuto l’illegittimità della Delib. n. 1345 del 2006 atteso che l’Amministrazione, nell’ambito di un rapporto di lavoro di diritto privato contrattualizzato, in quanto priva di poteri autoritativi, non potendo agire in autotutela, non poteva ritirare l’atto con cui aveva attribuito l’indennità.

La ricorrente Azienda USL Roma (OMISSIS) censura la suddetta statuizione poichè il lavoro pubblico e il lavoro privato non possono essere totalmente assimilati (Corte costituzionale sentenza n. 146 del 2008) e le diversità, pur attenuate, persistono anche in presenza dell’estensione della contrattazione collettiva a una vasta area del lavoro prestato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, tanto che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, comma 1, del sancisce che “Le amministrazioni pubbliche assumono ogni determinazione organizzativa al fine di assicurare l’attuazione dei principi di cui all’art. 2, comma 1, e la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa”.

L’Amministrazione, pertanto, aveva il potere di rivedere le proprie determinazioni, revocando o annullando i propri atti, laddove la scelta discrezionale della stessa era lesiva dell’interesse pubblico e quindi dei criteri della buona amministrazione.

2.1. Con il primo motivo di ricorso, è dedotta violazione dell’art. 97 Cost., del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, comma 2 (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè erronea qualificazione della Delib. n. 847, quale atto paritetico.

Assume la ricorrente che la natura di atto paritetico della Delib. n. 847 del 2005, non consentiva, nella fattispecie in esame, in ragione degli interessi pubblici che venivano in rilievo, l’applicazione tout court della disciplina civilistica, dovendosi attribuire rilievo al buon andamento dell’amministrazione, in ragione della irregolarità dei criteri di attribuzione dell’indennità di coordinamento di cui all’art. 10 del CCNL, comparto sanità, 1998- 2001.

Deduce, comunque, che la delibera in questione, non avendo carattere meramente ricognitivo non poteva iscriversi nell’ambito degli atti paritetici secondo la classificazione datane dalla dottrina.

2.2. Con il secondo motivo di ricorso è prospettato il vizio dl insufficiente, contraddittoria motivazione, anche sotto il profilo dell’omesso esame di fatti, circostanze e prove, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5.

La Corte d’Appello ometteva di considerare che la delibera in questione era stata adottata non già in attuazione, ma in violazione dell’art. 10 del citato CCNL, senza che fosse accertata la sussistenza dei requisiti, richiesti in capo ai beneficiari, per l’attribuzione dell’indennità.

La Corte d’Appello avrebbe dovuto, comunque, riconoscere rilievo civilistico alla violazione del CCNL da parte della Delib. n. 847, atteso che le statuizioni del CCNL sono vincolanti ope legis per la Pubblica amministrazione, e le delibere adottate dal parte di quest’ultima, in contrasto con le stesse, sono affette da nullità ai sensi dell’art. 1418 c.c., per violazione di norme imperative. In particolare l’art. 10, comma 8, del CCNL richiamato, disponeva che “i criteri di valutazione del personale interessato verranno definiti previa concertazione con i soggetti sindacali di cui all’art. 9, comma 2 del CCNL 7 aprile 1999”, e dunque, l’assegnazione dell’indennità di coordinamento al personale di categoria C doveva avvenire in base ai suddetti criteri.

3. I motivi del ricorso, che supera il vaglio di autosufficienza in ragione delle prospettazioni difensive ritualmente proposte, devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi sono fondati.

4. In via preliminare, questa Corte ricorda che, con le sentenze n. 23060 e n. 22788 del 2013, ha deciso controversie analoghe a quella in esame quanto alle vicende che davano luogo al giudizio.

Con le citate sentenze, che rigettavano il ricorso dell’Azienda USL (rilevando, tra l’altro che non veniva eccepita la ricorrenza di cause di nullità o annullabilità della delibera, ma ci si limitava ad affermare la legittimità ell’agire in via di autotutela), si è statuito che gli atti compiuti dall’Amministrazione datrice di lavoro nella gestione del rapporto seguono gli stessi parametri utilizzati dai datOri di lavoro privati, onde rimane escluso lo svolgimento di procedimenti o l’emanazione di atti assoggettati alle forme del diritto amministrativo anche a fini di autotutela. Ciò non toglie che la stessa Amministrazione, nell’esercizio di un potere privato e attraverso atti di natura negoziale, cioè adottati con i poteri e le capacità del datore di lavoro privato, non possa correggere errori di legittimità in cui sia incorsa. La Delib. 21 luglio 2005, n. 847, con la quale veniva attribuita l’indennità economica in questione, costituiva atto di gestione del rapporto di natura privatistica.

E, dunque, in quanto tale, la stessa non era sindacabile per contrasto col pubblico interesse, come i provvedimenti amministrativi, ma nei limiti consentiti dal programma negoziale e dalle relative fonti – legali e contrattuali – di riferimento e, quindi, non alla stregua dei tradizionali vizi dell’atto amministrativo, ma secondo quelli propri della patologia dei negozi giuridici, derivanti dalla violazione della disciplina legale o contrattuale che presiede all’attività paritetica della pubblica amministrazione.

5. Tali principi devono essere confermati, ma occorre precisarne il portato precettivo, tenuto conto dell’odierno thema decidendum, che in ragione delle statuizioni della sentenza di appello e dei motivi di ricorso, investe anche le conseguenze della inosservanza delle disposizioni della contrattazione collettiva che rimettono alla Pubblica amministrazione, attraverso l’adozione di atti di diritto privato, l’attribuzione di determinati trattamenti economici, stabilendo i criteri di esercizio di detta facoltà.

6. E’ opportuno, in via preliminare, procedere ad una ricognizione della disciplina convenzionale di riferimento.

Il contratto collettivo nazionale di lavoro, comparto sanità, 2^ biennio economico 2000-2001, per favorire il processo di riordino e riorganizzazione delle professioni sanitarie prevedeva – ravvisando che l’insieme dei requisiti richiesti al personale appartenente alla categoria C del ruolo sanitario nonchè al profilo di operatore professionale assistente sociale del ruolo tecnico, per contenuti di competenze, conoscenze e capacità necessarie per l’espletamento delle relative attività lavorative, corrisponde a quello della categoria D dei rispettivi profili – la ricollocazione del personale della categoria C nella categoria D. Al personale già appartenente alla categoria D e svolgente funzioni effettive di coordinamento veniva attribuita una specifica indennità (cfr. artt. 9 e 10).

Ai sensi dell’art. 10, comma 7, del citato CCNL, in sede di prima applicazione del contratto, al fine di evitare duplicazione di benefici, l’incarico di coordinamento era affidato di norma al personale già appartenente alla categoria D alla data del contratto stesso. Era poi rimessa alla valutazione aziendale, in base alla propria situazione organizzativa, la possibilità di attribuire l’indennità di coordinamento di cui al comma l’art. 10, comma 1, anche al personale proveniente dalla categoria C cui sia riconosciuto l’espletamento di funzioni di effettivo coordinamento ai sensi dell’art. 8, commi 4 e 5.

Ai sensi dell’art. 10, comma 8, i criteri di valutazione del personale interessato dovevano essere definiti previa concertazione con i soggetti sindacali di cui all’art. 9, comma 2 del CCNL 7 aprile 1999.

7. Dunque, il tenore delle disposizioni richiamate del CCNL evidenzia il fondamento contrattuale della possibilità di attribuire tale indennità al personale proveniente dalla categoria C, all’esito di una valutazione che doveva tenere conto della propria situazione organizzativa e che era prevista la previa concertazione sui criteri di valutazione da applicare.

Ciò, in linea con quanto previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 3, che stabilisce, tra l’altro, che l’attribuzione da parte delle Pubbliche amministrazioni di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi (…) o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali. Quest’ultimi, comunque, sono regolati contrattualmente.

Il comma 3-bis del medesimo art. 2, sancisce che nel caso di nullità delle disposizioni contrattuali per violazione di norme imperative o dei limiti fissati alla contrattazione collettiva, si applicano l’art. 1339 c.c. e art. 1419 c.c., comma 2.

8. Osserva il Collegio che la Pubblica amministrazione, nell’ambito dei rapporti di lavoro pubblico contrattualizzato, non può agire con gli istituti dell’autotutela, non potendo trovare applicazione, peraltro in mancanza di provvedimenti autoritativi, la L. n. 241 del 1990.

Tuttavia, l’adozione da parte della Pubblica amministrazione, nella gestione del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, di un atto negoziale di diritto privato, con il quale venga attribuito al lavoratore un determinato trattamento economico (nella specie indennità di coordinamento, che ha fondamento contrattuale), non è sufficiente, di per sè, a costituire una posizione giuridica soggettiva in capo al lavoratore medesimo, che osti al ritiro dell’atto. Ed infatti, poichè la misura economica trova fondamento nella contrattazione collettiva, la stessa si stabilizza in capo al lavoratore in ragione della conformità a quest’ultima, diversamente incorrendo la clausola negoziale nel vizio di nullità per contrarietà a norme imperative (cfr., Cass., S.U., n. 21744 del 2009), cui l’Amministrazione può porre rimedio mediante il ritiro dell’atto, in ragione del principio di buon andamento dell’amministrazione.

9. Pertanto, la natura privatistica della delibera in questione, non esclude, come ha statuito erroneamente la Corte d’Appello, che l’Amministrazione, avendo esercitato la facoltà attribuitagli dalla contrattazione collettiva al di fuori delle condizioni da quest’ultima previste, può intervenuta sulla precedente deliberazione, ritirandola.

Tale agire soddisfa quanto previsto anche dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, comma 1, secondo il quale “Le amministrazioni pubbliche assumono ogni determinazione organizzativa al fine di assicurare l’attuazione dei principi di cui all’art. 2, comma 1, e la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa”, atteso che la Pubblica amministrazione “conserva pur sempre – anche in presenza di un rapporto di lavoro ormai contrattualizzato – una connotazione peculiare”, essendo tenuta “al rispetto dei principi costituzionali di legalità, imparzialità e buon andamento cui è estranea ogni logica speculativa” (Corte cost., sentenze n. 146 del 2008, n. 82 del 2003).

10. Erroneamente, dunque, la Corte d’Appello ha ritenuto illegittima la determinazione con la quale l’Amministrazione ritirava, dopo averla sospesa, la Delib. n. 847, in quanto quest’ultima aveva natura di atto paritetico, senza vagliare la conformità della stessa alla norma imperativa sopra richiamata e, dunque, alla disposizione del CCNL. A differenza di quanto statuito dalla Corte d’Appello, il vaglio della legittimità della Delib. 847, che attribuiva l’indennità di coordinamento, alla luce non già del regime giuridico del provvedimento amministrativo, ma del regime privatistico, costituiva parte integrante del thema decidendum sottoposto al giudice di merito, che proprio sulla qualificazione giuridica di tale atto, e quindi sulla determinazione della complessiva disciplina regolatrice della fattispecie era chiamato a pronunciarsi.

11. Il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, che si atterrà ai suddetti principi di diritto, nel vagliare se la Delib. n. 847 era stata adottata nel rispetto delle condizioni stabilite dall’art. 10 del CCNL citato.

PQM

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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