Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1594 del 24/01/2020

Cassazione civile sez. III, 24/01/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 24/01/2020), n.1594

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25515/2018 proposto da:

S.G., D.D., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE TITO LIVIO 59, presso lo studio dell’avvocato UGO PIOLETTI,

rappresentati e difesi dall’avvocato PIERLUIGI PARLATANO;

– ricorrenti –

contro

NUOVA EURODRINK SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore

D.C.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA S MELANIA

15, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO RICCIULLI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LIVIO DEBARBIERI;

– controricorrente –

e contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 694/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 20/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/11/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.D. e sua moglie S.G. hanno costituito un fondo patrimoniale, nel quale hanno conferito l’unico cespite di proprietà del D.. La società Nuova Eurodrink srl che era creditrice del D. per forniture di bevande fatte al Bar di quest’ultimo, e non pagate, ha agito per la revocatoria del fondo patrimoniale, ritenendolo elusivo e volto a sottrarre il bene alla garanzia patrimoniale. Nel giudizio di revocatoria è poi intervenuto il fallimento (OMISSIS), anche esso creditore del D..

La revocatoria è stata accolta in primo grado, con sentenza integralmente confermata in appello, sul presupposto che il fondo patrimoniale fosse stato costituito esclusivamente e con la consapevolezza di voler sfuggire alla garanzia per i debiti contratti.

Dopo la decisione di appello è intercorsa una transazione tra D. ed il fallimento (OMISSIS), con la conseguenza che il D. e la S. impugnano qui la sentenza di appello solo verso la Eurodrink srl. E lo fanno con nove motivi di ricorso, ai quali si oppone la Eurodrink srl con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La ratio della decisione impugnata.

La corte di merito ritiene che, da quanto emerso in giudizio, e soprattutto anche dalle stesse difese del D., è dato desumere che costui, consapevole del debito che aveva verso Eurodrink srl, ha agito allo scopo, o comunque con la consapevolezza, di volersi sottrarre al pagamento ed alla garanzia di quel debito.

2.- Il ricorso è articolato su nove motivi.

Il primo motivo pone una questione di competenza territoriale, e lamenta una erronea interpretazione dell’art. 21 c.p.c..

La corte di merito ha ritenuto che si dovesse applicare la regola dei fori alternativi, ossia non solo quello del convenuto, ma altresì, in alternativa a questo, gli altri criteri di individuazione della competenza previsti dagli artt. 18-20 c.p.c..

Il ragionamento della corte è basato sul richiamo di una giurisprudenza, seppure non recentissima, ma univoca, di questa corte secondo cui “la competenza per territorio sulla domanda di revocazione proposta ai sensi dell’art. 2901 c.c., essendo questa relativa ad una obbligazione da tutelare attraverso la dichiarazione di inefficacia (relativa) del negozio che si assume fraudolentemente posto in essere, deve essere determinata in base ai criteri di collegamento alternativamente previsti dagli artt. 18 – 20 c.p.c., con la conseguenza che anche in queste controversie l’eccezione di incompetenza non può essere limitata al foro generale del convenuto ma, come in ogni altra controversia relativa a diritti di obbligazione, deve investire tutti i predetti criteri di collegamento astrattamente applicabili” (Cass. 7377/1993; Cass. 15441/2002).

La regola trae dunque fondamento dal fatto che l’azione revocatoria serve a tutelare una obbligazione (rectius un credito) sottostante e che di conseguenza è all’obbligazione sottostante che deve farsi riferimento e non già all’atto da revocare, per stabilire la competenza per territorio. (Cass. 15441/2002).

Secondo i ricorrenti D. e S. in realtà l’obbligazione da tutelare non poteva essere quella che loro avevano verso Eurodrink srl, poichè quest’ultima era già tutelata dal decreto ingiuntivo ottenuto da tale società.

Eurodrink srl, agendo in revocatoria, non ha chiesto la tutela della obbligazione di pagare la fornitura, ma ha assunto tale obbligazione a mero antecedente logico dell’azione di revocatoria.

Questa tesi è però infondata.

Essa presuppone che la revocatoria non abbia collegamento con l’obbligazione sottostante, ossia con l’obbligazione rimasta inadempiuta, e che quest’ultima non è, di conseguenza, “tutelata” dalla revocatoria, ma dal provvedimento che l’ha ad oggetto, ossia, nel caso, dal decreto ingiuntivo.

La tesi è infondata in quanto la ratio della citata giurisprudenza è nel fatto che la revocatoria trae “giustificazione” da una obbligazione rimasta inadempiuta con la conseguenza che la competenza per territorio si deve determinare avendo a riferimento proprio il rapporto obbligatorio che giustifica la revocatoria, e dunque con i criteri propri delle cause in materia di obbligazioni, che non consistono nell’esclusivo criterio della residenza o del domicilio del convenuto, ma altresì nel luogo di pagamento dell’obbligazione, criterio che è stato seguito da Eurodrink srl e dunque ammesso dal giudice di merito.

3.- Il secondo motivo assume una nullità della sentenza per contraddittorietà. Secondo i ricorrenti, la sentenza di appello avrebbe negato ingiustamente l’ammissione della prova testimoniale già richiesta in primo grado.

Il motivo mira a ribaltare il giudizio di merito sulla questione istruttoria, contestando che la prova testimoniale richiesta fosse valutativa e ininfluente come ritenuto dai giudici di appello.

Il motivo è inammissibile.

Si tratta di censura che attiene all’esercizio del potere discrezionale del giudice di merito circa la rilevanza di una prova, e che è qui inammissibile.

Lo stesso apprezzamento se una testimonianza importi o meno valutazioni del teste è un apprezzamento di fatto, come tale rimesso al giudice di merito e non censurabile in Cassazione.

4.- Il terzo e quinto motivo possono esaminarsi congiuntamente.

Entrambi attengono al ruolo avuto da una terza persona, tale F.P., la quale, secondo il D., sarebbe stata l’effettiva titolare del bar.

Con il terzo motivo si denuncia contraddittoria motivazione, tale da rendere nulla la sentenza, la quale avrebbe apoditticamente affermato che la F. era creditrice del D., come emerso dalle stesse difese di quest’ultimo; invece costui, nel ricorso, assume di non aver fatto ammissioni simili, ed anzi di avere ritenuto la F. l’unica responsabile del debito contratto dal Bar, e per cui Eurodrink ha agito in revocatoria.

Il motivo è inammissibile.

Al di là dell’obiter contenuto nella sentenza, e che quindi non costituisce ratio decidendi soggetta a censura, non si comprende quale sia lo scopo del motivo di ricorso, posto che secondo la corte un eventuale credito della F. verso il D. è del tutto estraneo al giudizio.

Il quinto motivo denuncia pure esso rispetto a tale questione una nullità della sentenza per motivazione contraddittoria.

Si tratta sempre del ruolo della F.. Secondo la corte di merito il tribunale avrebbe correttamente accertato che non era vero che costei fosse magna pars dell’attività e dunque l’unica a sapere dei debiti del bar, e che anzi, era il D. a saperne.

Secondo i ricorrenti questa motivazione sarebbe contraddittoria in quanto affermata nonostante la mancata ammissione delle prove, che, se invece ammesse, avrebbero consentito di chiarire il ruolo della F. e dunque la totale ignoranza del D. circa i debiti contratti con Eurodrink.

Il motivo è inammissibile.

In sostanza si risolve nella denuncia della mancata ammissione della prova testimoniale, e quindi nella contestazione dell’uso della discrezionalità del giudice di merito nella decisione istruttoria. Ma soprattutto non dimostra la asserita contraddittorietà della sentenza, che starebbe nel fatto di non avere, da un lato, ammesso le prove, e dall’altro, però tratto comunque argomenti di prova dai capitoli, come formulati.

Nessuna contraddizione a ben vedere, in quanto il modo in cui sono articolati i capitoli, integra una modalità difensiva, dalla quale si possono ben trarre argomenti di prova. Nella fattispecie, la corte di merito ha rilevato che il D. mirava a dimostrare che i genitori gli avevano inviato denaro per pagare i debiti, avendo articolato una prova in tal senso, e ciò autorizzava a ritenere che allora fosse a conoscenza delle passività, e non v’è nulla di contraddittorio nel ritenere questa esposizione dei fatti, contenuta nei capitoli di prova, come indicativa di uno stato soggettivo, ma nel contempo, non ammettere la prova.

5.- Il quarto motivo denuncia, anche esso contraddittorietà della motivazione, tale da rendere nulla la sentenza, nonchè violazione dell’art. 116 c.p.c.. Secondo i due ricorrenti la corte non avrebbe tenuto in debito conto che il D. aveva, prima della costituzione del fondo, dismesso la partita IVA, segno della sua ignoranza del debito, unitamente al fatto di non aver mai ricevuto il decreto ingiuntivo di Eurodrink, ma solo la citazione per revocatoria.

il motivo è inammissibile.

La questione è di puro fatto. Non si può qui mettere in discussione come e perchè il decreto ingiuntivo non sia stato notificato, circostanza tra l’altro irrilevante, in quanto non smentita, come avrebbe dovuto essere, da una opposizione tardiva. Ma soprattutto, infondata è l’affermazione di indiziarietà della cancellazione della partita iva, che non si vede perchè debba essere elemento presuntivo della ignoranza del debito. Del resto, il valore indiziario di un fatto è questione anche essa di puro merito.

6.- Il sesto motivo denuncia anche esso, insieme contraddittorietà della motivazione, violazione dell’art. 116 c.p.c. e violazione degli artt. 2730 e 2733 c.c..

In sostanza, la corte ha tratto un argomento di prova, circa l’elemento soggettivo, dalle stese difese del D. che ha dichiarato di essere fuggito da Genova, sia per sottrarsi alle rivendicazioni della F., sia perchè aveva “pendenze con i fornitori”.

Secondo i due ricorrenti questo argomento della corte di appello sarebbe basato su un’ erronea interpretazione degli artt. 2731 e 2733 c.c., in tema di confessione. I ricorrenti eccepiscono che mai delle dichiarazioni contenute in atti difensivi possono essere intese come prove legali a sfavore, ossia come confessioni.

Il motivo è inammissibile.

La corte infatti non ha affatto attribuito a quelle dichiarazioni valore confessorio: ha piuttosto ritenuto che esse rilevassero quale semplice argomento di prova, valutato unitamente ad altri al fine di accertare elemento soggettivo.

7.- Anche il settimo motivo è inammissibile perchè pone questioni di merito.

Si lamenta, sempre sotto l’egida degli artt. 132 e 116 c.p.c. e art. 2901 c.c., che la corte di merito ha ritenuto l’elemento soggettivo come provato dalle risultanze di causa, precisando che, ai fini della revocatoria non occorre l’intenzione di eludere la garanzia, essendo sufficiente la consapevolezza di avere debiti non pagati.

L’errore della corte di merito starebbe secondo i ricorrenti nel non aver considerato che il D. non sapeva alcunchè non venendo mai informato della contabilità da parte della F..

Come è evidente questa è una circostanza di fatto che qui non può essere fatta valere in alcun modo, e che avrebbe dovuto semmai esserlo nei giudizi di merito. I ricorrenti cercano di aggirare questa inammissibilità, spiegando che qualora la conclusione della corte (ossia che D. era consapevole dei debiti) fosse il risultato di presunzioni, allora il ragionamento induttivo sarebbe viziato, poichè le presunzioni devono rivestire il carattere della gravità, precisione e concordanza: il che, in astratto è certamente vero, e tuttavia non si dice perchè in concreto non lo sia, cioè perchè i fatti noti (che non sono neanche indicati compiutamente) utilizzati dalla corte per risalire all’ignoto elemento elemento soggettivo non abbiano le caratteristiche richieste di gravità, concordanza e precisione.

8.- L’ottavo motivo enuncia errore della corte per violazione dell’art. 91 c.p.c.. Il giudice di primo grado aveva liquidato le spese della sua fase, prendendo correttamente lo scaglione di riferimento, ma applicando il valore medio al suo interno, senza considerare che il valore della causa tendeva verso il minimo.

La corte ha ritenuto corretto questo criterio di liquidazione, secondo i ricorrenti, violando l’art. 91 c.p.c..

Il motivo è infondato.

Il tribunale, con giudizio confermato dalla corte, ha tenuto conto non solo del valore, ma altresì della varietà e molteplicità delle questioni trattate, che rendevano la causa più complessa, e dunque inducevano a non tener conto solo del valore economico, ma altresì della complessità della trattazione.

Intanto, va ricordato che in tema di liquidazione delle spese processuali, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1, il giudice può scendere anche al di sotto o salire pure al di sopra dei limiti risultanti dall’applicazione delle massime percentuali di scostamento, purchè ne dia apposita e specifica motivazione. (Cass. 11601 del 2018).

E la corte lo ha fatto, dicendo che la necessità di esaminare diversi profili di lite ha giustificato una liquidazione sopra al minimo dello scaglione.

Del resto, il D.M. n. 55 del 2014, stesso art. 4, richiamato dai ricorrenti indica tra i criteri di liquidazione proprio la qualità e complessità delle trattazioni.

9.- Infine, con il nono motivo, si lamenta pur sempre violazione dell’art. 91 c.p.c..

Secondo i ricorrenti la corte di appello ha liquidato le spese del secondo grado sul presupposto erroneo che la causa avesse valore indeterminabile, mentre aveva valore di 37 mila Euro.

In realtà, il riferimento al valore indeterminabile, come si evince chiaramente dal tenore della sentenza, è frutto di un refuso, o comunque è irrilevante, in quanto la sentenza prende a base, pur sempre, lo scaglione tra 26 mila e 52 mila Euro, e lo dice anche: “Tenuto conto del valore indeterminabile della causa (scaglione da 26.000,01 a Euro 52000,00) della natura della causa ecc.”.

E tale indicazione è riportata dagli stessi ricorrenti nel corpo del motivo.

Il ricorso va pertanto rigettato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese di lite nella misura di 4200,00 Euro oltre 200,00 Euro di spese generali, dando atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2020

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