Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15938 del 29/07/2016


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Cassazione civile sez. II, 29/07/2016, (ud. 21/06/2016, dep. 29/07/2016), n.15938

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8080-2011 proposto da:

ASSOCIAZIONE VOLONTARIA SENZA SCOPO DI LUCRO NOI DI MONTEPESCALI

(OMISSIS), F.M. (OMISSIS), C.A. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PANAMA 79, presso lo studio

dell’avvocato PIETRO FEDERICO, che li rappresenta e difende giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

e contro

PROCURATORE GENERALE REPUBBLICA CORTE D’APPELLO ROMA, REGIONE

TOSCANA;

– intimati –

e contro

AMMINISTRAZIONE SEPARATA DEI BENI DI USO CIVICO ASBUC DI MONTEPESCALI

(OMISSIS), R.E. R., C.M. (OMISSIS),

S.R. S., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DI VILLA SEVERINI 54, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI

CONTESTABILE, rappresentati e difesi dagli avvocati ROBERTO CARTEI,

MARCO MUSOTTO giusta procura a margine del controricorso;

F.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

PAISIELLO 27, presso lo studio dell’avvocato PIETRO FEDERICO, che lo

rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso

incidentale;

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 7/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/06/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato Contestabile per delega dell’Avvocato Cartei per i

controricorrenti ASBUC, R. e C.;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO LUCIO che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

e l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto del 23/3/2005 l’Amministrazione Separata dei Beni di Uso Civico di Montepescali (d’ora in poi ASBUC) proponeva ricorso in opposizione avverso la verifica demaniale della Regione Toscana ed in particolare in ordine al contenuto dell’istruttoria demaniale pubblicata nel 1993.

A seguito della presentazione del ricorso, con ordinanza del 15/12/2005 il Commissario agli usi civici di Lazio, Umbria e Toscana disponeva procedersi in contenzioso mediante citazione in giudizio della stessa opponente e della Regione Toscana.

Disposta consulenza tecnica d’ufficio al fine di accertare, sulla scorta della documentazione in atti, nonchè di quella reperibile presso gli archivi pubblici e privati, i confini della frazione di Montepescali nel contesto comunale nonchè l’estensione oggettiva e soggettiva dei diritti e dei beni civici spettanti alla frazione medesima, nel corso del giudizio si costituivano R.E., C.M. e S.R. nella qualità di cittadini di (OMISSIS), e l’ultimo anche in qualità di legale rappresentante del Comitato Usi Civici di Braccagni. Il Commissario con la sentenza n. 706 del 13/7/2007, recependo le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, riteneva che il territorio frazionale della Comunità di Montepescali risultava ben identificato sin dal 1905 a seguito del R.D. n. 367 e per l’effetto dichiarava che i confini della frazione di (OMISSIS) erano quelli tracciati con il suddetto decreto, e che i diritti sulle terre civiche spettanti alla collettività, gestiti dall’ASBUC rientravano in detto perimetro che comprendeva oltre l’abitato di (OMISSIS), anche altri nuclei all’interno dello stesso territorio.

Con citazione del 12/10/2007 la Regione Toscana proponeva appello avverso tale sentenza lamentando l’errore commesso dal c.t.u. nella sua relazione, fatta propria dal giudice di primo grado, in quanto si era confuso un atto amministrativo di distacco di terreni da un Comune ad un altro con la ricognizione del perimetro dell’antica Corte. Concludeva pertanto affinchè in riforma della decisione presa, fosse riconosciuta la titolarità dei diritti civici di (OMISSIS) esclusivamente in capo ai residenti di quella frazione, con esclusione delle nuove comunità sorte successivamente nel territorio circostante, con la conferma dell’istruttoria demaniale approvata dalla Regione.

Si costituiva l’ASBUC che eccepiva l’inammissibilità dell’appello in quanto la sentenza non riguardava l’esistenza, la natura o l’estensione dei diritti civici, e poteva pertanto essere impugnata soltanto con il ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost. Nel merito, nel condividere le conclusioni alle quali era pervenuto l’ausiliare d’ufficio, insisteva per il rigetto dell’appello e proponeva a sua volta appello incidentale relativamente alle spese di lite compensate in primo grado. Si costituivano altresì R.E., C.M. e S.R., anche nella qualità, i quali proponevano a loro volta appello incidentale relativamente al capo concernente le spese.

Nel corso del giudizio interveniva anche l’Associazione “Noi di (OMISSIS)” che eccepiva la nullità del giudizio di primo grado attesa la mancata nomina di un curatore speciale ai sensi del R.D. n. 332 del 1928, art. 75, comma 2 e dell’art. 78 c.p.c., stante l’esistenza di un conflitto di interessi fra l’ASBUC e l’originaria comunità di (OMISSIS).

Intervenivano altresì C.A. e F.M. in qualità di cittadini residenti nella frazione di (OMISSIS) i quali, unitamente all’altra interventrice, insistevano per l’accoglimento dell’appello.

La Corte di Appello di Roma – sezione usi civici – con la sentenza n. 7 del 21/1/2011 rigettava l’appello principale e le richieste degli interventori, ed in accoglimento degli appelli incidentali condannava la Regione al pagamento delle spese del giudizio di primo grado in favore delle controparti, nonchè la Regione e gli interventori in grado di appello al pagamento delle spese del relativo grado in favore delle controparti.

La sentenza, dopo avere ritenuto ammissibile l’intervento spiegato in grado di appello dall’Associazione Noi di (OMISSIS), da C.A. e da F.M., questi ultimi due quali residenti nella frazione di (OMISSIS), disattendeva l’eccezione di difetto di integrità del contraddittorio, sollevata in relazione alla mancata nomina di un curatore speciale ovvero della speciale rappresentanza ai sensi del R.D. n. 332 del 1928, art. 75, comma 2 e dell’art. 78 c.p.c., avendo l’ASBUC agito a difesa e nell’interesse di tutti i cittadini utenti, posto che fino a quel momento nessuno aveva avanzato rivendicazioni e non sussisteva alcun conflitto.

Inoltre la fattispecie esulava da quelle disciplinate dal citato art. 75, che presuppone un conflitto tra il Comune ed una frazione ovvero tra più frazioni dello stesso Comune.

Disattendeva altresì l’eccezione di inammissibilità del gravame, sollevata dall’ASBUC sul presupposto che il provvedimento fosse impugnabile solo con ricorso ex art. 111 Cost., assumendo che la decisione del Commissario in primo grado rientrava nell’ipotesi di cui alla L. n. 1766 del 1927, art. 32, che appunto prevede il reclamo alla Corte d’Appello.

Nel merito rigettava l’impugnazione della Regione, attribuendo rilievo fondamentale alla transazione del 1939, intervenuta tra il Comune di Grosseto, in rappresentanza della frazione di (OMISSIS) e dei suoi abitanti, ed alcuni privati proprietari, con la quale era stato creato ex novo e per scorporo un demanio civico, prescindendosi quindi da quella che era la situazione preesistente.

Poichè alla data della transazione esistevano anche altri nuclei abitativi al di fuori dell’antico Castello o delle sue prossimità, ma pur sempre all’interno del territorio di (OMISSIS), correttamente il giudice di prime cure ha concluso nel senso che beneficiari del demanio erano tutti gli abitanti dell’intera frazione, estesa anche ai nuclei abitativi insorti al di fuori del Castello.

Peraltro, l’appellante avrebbe dovuto dimostrare che gli attuali residenti dei nuclei posti al di fuori del Castello provenivano da altri comuni, essendosi quindi insediati sul posto, ma successivamente alla transazione, dovendosi quindi ritenere che tutta la popolazione fosse lo sviluppo di quella originariamente titolare del diritto.

Infine accoglieva gli appelli incidentali, condannando la Regione al rimborso anche delle spese del giudizio di primo grado in favore dell’ASBUC, del R., del C. e dello S..

Hanno proposto ricorso per la cassazione di tale pronunzia l’Associazione “Noi di (OMISSIS), C.A. e F.M. sulla base di tre motivi ed hanno resistito con controricorso l’ASBUC, R.E., C.M. e S.R., proponendo a loro volta ricorso incidentale condizionato sulla base di due motivi.

Ordinata l’integrazione del contraddittorio nei confronti di F.M., che aveva preso parte al giudizio di appello, e provvedutosi a tanto, quest’ultimo si costituiva e proponeva a sua volta ricorso incidentale affidato a tre motivi, nonchè controricorso al ricorso incidentale proposto dall’Asbuc da R., dal C. e dallo S., illustrato anche con memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente deve essere dichiarato inammissibile il ricorso proposto da F.M., trattandosi di soggetto che non ha preso parte alle precedenti fasi del giudizio di merito, e che come tale era privo di legittimazione ad impugnare la sentenza emessa dalla Corte d’Appello (essendo peraltro evidente l’errore in cui è incorsa la difesa di parte ricorrente, laddove, a fronte dell’intervento spiegato in sede di appello da F.M., equivocando sulle generalità dello stesso, ha individuato come parte ricorrente F.M.).

2. Sempre in via preliminare i controricorrenti eccepiscono l’inammissibilità del ricorso per cassazione in quanto proposto da soggetti che avevano spiegato semplicemente un intervento adesivo dipendente, avendo richiesto semplicemente l’accoglimento delle difese sollevate da parte della Regione Toscana. Sostengono pertanto che, non avendo la parte appellante proposto ricorso per cassazione, quello invece avanzato da parte degli interventori sarebbe inammissibile per difetto di legittimazione ad impugnare.

La deduzione, in disparte la disamina dell’analoga questione oggetto di ricorso incidentale condizionato, e come tale subordinata all’eventuale accoglimento del ricorso principale, non appare fondata, occorrendo tener conto in particolare che la Corte di appello, nell’affrontare la questione relativa all’ammissibilità dell’intervento spiegato dai ricorrenti nel corso del giudizio di secondo grado, ha espressamente ritenuto di poter qualificare il loro intervento come ammissibile ai sensi dell’art. 344 c.p.c., assumendo che, e ciò con specifico riguardo alla posizione degli interventori persone fisiche, che nei giudizi relativi all’accertamento dell’esistenza di usi civici ovvero del demanio comunale, è consentito a ciascun cittadino appartenente alla collettività medesima di intervenire come tale anche in grado di appello o addirittura di prendere l’iniziativa dell’impugnazione in quanto la sentenza emananda sarebbe stata efficace anche nei suoi confronti, quale partecipe di quella comunità, pretesa titolare degli usi o delle terre demaniali di cui si controverte (Cass. 11 febbraio 1974 n. 387).

Alla luce di tale qualificazione dell’intervento, deve pertanto ritenersi che gli stessi siano legittimati a proporre ricorso, così come ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 7541/2002; Cass. n. 1671/2015).

3. Con il primo motivo del ricorso principale nonchè del ricorso incidentale di F.M., si deduce la nullità della costituzione in giudizio sia in primo che in secondo grado dell’ASBUC, in assenza di un’apposita delibera del Comitato, con la conseguente violazione dell’art. 83 c.p.c..

In particolare si sottolinea che la costituzione in entrambi gradi di giudizio sarebbe avvenuta in virtù di una procura speciale rilasciata dal Cav. M.G. all’epoca Presidente e legale rappresentante pro tempore dell’ASBUC senza che però tale costituzione fosse stata preceduta da una delibera del comitato.

Poichè alle Amministrazioni separate di cui alla L. n. 1766 del 1927 sono applicabili le disposizioni della legge comunale e provinciale (art. 26), anche in virtù del richiamo di cui al R.D. n. 332 del 1928, art. 64, la rappresentanza in giudizio potrebbe essere esercitata dal Presidente purchè però sia preceduta da un’apposita delibera del Comitato.

Tale conclusione troverebbe poi anche il conforto della giurisprudenza di legittimità la quale (cfr. Cass. 13/8/1980 n. 4929) ha affermato che è inammissibile il ricorso per Cassazione proposto dal Presidente del comitato preposto all’amministrazione separata dei beni di uso civico della frazione di un comune che non sia stato autorizzato da un’apposita deliberazione del comitato stesso, cui – a norma dell’art. 131, n. 5 della Legge Comunale e Legge Provinciale del 1915 – compete il potere di deliberare sulle azioni da promuovere e sostenere in giudizio (cfr. anche Cass. 6/12/1989, n. 5405, per la quale, con riguardo a beni di uso civico appartenenti a frazione di un comune, ove venga costituita un’amministrazione separata, affidata ad apposito comitato, ai sensi della L. 16 giugno 1927, n. 1766, art. 11, lett. A, il Presidente di detto comitato ha la rappresentanza, pure processuale, dell’amministrazione medesima. Tale principio opera anche nell’ambito della provincia di Bolzano, in base alla L.P. 12 giugno 1980, n. 16 (e poi della L.P. 23 dicembre 1987, n. 34); peraltro, al fine della valida costituzione del rapporto processuale (e quindi della ammissibilità della domanda, ove l’amministrazione separata sia attrice), occorre che la delibera a stare in giudizio, resa da detto comitato, sia approvata dalla giunta provinciale (citata L. n. 16 del 1980, art. 8), indipendentemente dal fatto che si profili un conflitto di interessi, per essere la provincia parte in causa).

Il motivo è privo di fondamento.

In primo luogo dalla lettura degli estremi della decisione presa a maggioranza dal Comitato in data 19/3/2005, riportata nel controricorso, emerge l’esistenza di una specifica volontà dello stesso Comitato della Associazione controricorrente di autorizzare la proposizione da parte del Presidente, e per conto della stessa, delle opposizioni che hanno poi dato vita al presente giudizio.

Ancora, deve rilevarsi che, ferma restando la qualità di legale rappresentante in capo al Presidente, che ha materialmente sottoscritto la procura alle liti relativa agli atti del presente giudizio, il difetto di una previa delibera di autorizzazione dell’organismo collegiale, non incide sulla validità ma solo sulla efficacia della costituzione in giudizio (cfr. ex multis Cass. n. 475/2006).

Inoltre costituisce principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui l’autorizzazione a stare in giudizio, emessa dall’organo collegiale competente, possa intervenire anche dinanzi al giudice di legittimità, purchè in precedenza non sia intervenuta una pronuncia del giudice di merito in ordine al difetto di legittimazione processuale (cfr. Cass. 20/6/1998 n. 6166).

Infatti, si è ribadito che (Cass. S.U. 27/4/2004 n. 8020) l’autorizzazione a stare in giudizio emessa dall’organo collegiale competente, che è necessaria perchè un ente pubblico possa agire o resistere in causa, attiene alla legitimatio ad processum, ossia all’efficacia e non alla validità della costituzione dell’ente medesimo a mezzo dell’organo che lo rappresenta; essa, pertanto, può intervenire ed essere prodotta anche nel corso del giudizio e, quindi, anche dopo che sia scaduto il termine per l’opposizione a decreto ingiuntivo, senza che la controparte possa dedurre l’insussistenza delle ragioni d’urgenza che hanno indotto l’organo che rappresenta l’ente pubblico (nella specie, il Presidente di una regione) a proporre l’opposizione senza essere ancora munito dell’autorizzazione dell’organo (nella specie, la Giunta), al quale unicamente spetta la valutazione della correttezza dell’operato del primo, ben potendo intervenire anche in sede di legittimità (Cass. 3/8/2004 n. 14813), sanando così retroattivamente i vizi prodottisi nelle fasi precedenti (conf. Cass. 26/9/2006 n. 20820 che ammette l’intervento della delibera sanante con efficacia retroattiva sino all’udienza di discussione in sede di legittimità).

Nella fattispecie, l’associazione controricorrente con delibera adottata dal Comitato dell’Ente in data 15/4/2011, all’unanimità dei presenti, oltre ad autorizzare la costituzione dell’ASBUC nel giudizio scaturente dal ricorso in esame, nel richiamare il contenuto delle precedenti delibere del 19/3/2005 e del 31/1/2007, da intendersi come rivolte ad autorizzare il Presidente pro tempore alla costituzione nei giudizi all’esito dei quali è stata emessa la sentenza oggi impugnata, in ogni caso ha dichiarato di voler confermare e ratificare l’operato, l’attività e gli atti del precedente Presidente, cavaliere M.G..

Deve pertanto ritenersi che per effetto di tale delibera, le doglianze poste a fondamento del ricorso debbano intendersi in ogni caso del tutto superate in ragione dell’esistenza di una valida delibera autorizzativa, espressamente finalizzata altresì a ratificare il precedente operato del Presidente.

Inoltre, non deve trascurarsi la circostanza che, proprio in ragione del richiamo delle predette disposizioni normative alla disciplina prevista dalle leggi comunali e provinciali, a seguito degli interventi modificativi compiuti da parte del legislatore su queste ultime, deve ragionevolmente concludersi nel senso che la delibera autorizzativa della resistenza o della costituzione in giudizio oggi sia del tutto superflua.

In tal senso deve rammentarsi l’intervento delle Sezioni Unite di cui alla sentenza del 27/06/2005 n. 13710, secondo cui, a seguito delle modifiche del T.U.E.L. (D.Lgs. n. 267 del 2000) la rappresentanza in giudizio del Comune spetta in via generale al sindaco senza necessità di preventiva autorizzazione della giunta, salvo che lo statuto del Comune non richieda espressamente l’autorizzazione della giunta o di un competente dirigente, altrimenti non necessaria.

In termini si veda anche Cass. 10/06/2010 n. 13968, secondo cui nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, la rappresentanza processuale del comune spetta istituzionalmente al sindaco, cui compete, in via esclusiva, il potere di conferire al difensore la procura alle liti, senza necessità di autorizzazione della giunta municipale, salvo che una disposizione statutaria la richieda espressamente, spettando in tal caso alla parte interessata provare la carenza di tale autorizzazione producendo idonea documentazione.

Cosicchè deve ritenersi che, risalendo l’introduzione del presente giudizio ad una data successiva alle innovazioni prodotte dal suddetto testo unico, in assenza della dimostrazione dell’esistenza di una specifica previsione che, relativamente alla gestione della controricorrente, prevedesse la permanente necessità di una delibera autorizzativa da parte del Comitato, ben potesse il Presidente autonomamente attivarsi per la proposizione ovvero per la resistenza del presente giudizio.

4. Con il secondo motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale di F.M. si denunzia la violazione di legge per avere la sentenza impugnata rigettato l’eccezione di nullità della decisione adottata dal Commissario in primo grado in assenza della nomina della rappresentanza speciale di cui al R.D. n. 332 del 1928, art. 75 ovvero del curatore speciale ex art. 78 c.p.c..

Infatti, a fronte dell’eccezione sollevata già dinanzi al giudice d’appello, la sentenza oggetto di ricorso ha ritenuto non pertinente il riferimento all’art. 78 c.p.c., escludendo l’esistenza di una situazione di conflitto di interessi tra l’ASBUC ed una parte dei cittadini, precisamente di quelli residenti nel borgo del Castello di (OMISSIS). Ad avviso della corte di merito, poichè l’associazione è un mero ente esponenziale, relativamente al quale non sarebbe configurabile in senso stretto l’istituto della rappresentanza, ed essendosi opposto alla verifica demaniale nell’interesse di tutti cittadini, non avendo in precedenza alcuno rivendicato dei diritti in contrasto con quelli degli abitanti delle altre parti della frazione, non poteva ravvisarsi alcuna situazione di conflitto, ben potendo peraltro ogni singolo cittadino valutare se intervenire o meno nel giudizio. Sempre a detta del giudice d’appello, non ricorrevano i presupposti per l’applicazione del R.D. n. 332 del 1928, art. 75, in quanto tale ultima norma riguardava la differente fattispecie di un conflitto fra il Comune e una frazione ovvero tra più frazioni dello stesso Comune.

Ad avviso dei ricorrenti tale soluzione non può essere condivisa in quanto il Comitato di cui alla L. n. 1766 del 1928, art. 26 e R.D. n. 332 del 1928, art. 64, quale è appunto l’ASBUC controricorrente, in realtà ha permanentemente la rappresentanza dei cittadini utenti, essendo espressione di una collettività titolare di beni civici, come peraltro confermato dalle previsioni di cui alla L. n. 178 del 1957, che disciplinano le modalità di nomina dei componenti del Comitato stesso, mediante un meccanismo elettorale che prevede la partecipazione potenziale di tutti cittadini della frazione iscritti nelle liste elettorali.

Pertanto ci troveremmo di fronte ad una comunità di abitanti che possiede a titolo originario dei beni, i quali vengono amministrati mediante l’ASBUC. Il motivo è infondato.

Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione sollevata dalla controparte in ordine all’inammissibilità del motivo per la sua erronea formulazione, assumendosi che il vizio dedotto, ove ritenuto sussistente, andrebbe inquadrato nell’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, laddove invece la formulazione del motivo appariva ricondurre le doglianze nell’ipotesi di cui al precedente n. 3.

Occorre a tal fine ricordare l’autorevole intervento di Cassazione civile sez. un. 24/07/2013 n. 17931 che al fine di risolvere il contrasto manifestatosi, ha affermato che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge.

Nel caso di specie, sebbene manchi un puntuale riferimento da parte dei ricorrenti all’error in procedendo, tuttavia il riferimento alla conseguenza della nullità della sentenza per effetto della violazione dell’art. 78 c.p.c., con la conseguente richiesta di rirnessione della causa al giudice di primo grado ex art. 354 c.p.c., consente di ritenere in ogni caso dedotta la sussistenza di tale tipologia di vizio, senza che pertanto il motivo incorra nella sanzione di inammissibilità. Passando alla disamina delle doglianze sollevate sul punto dai ricorrenti, occorre rilevare che ai sensi del R.D. n. 332 del 1928, art. 75, è previsto che laddove il Commissario ravvisi che, nei procedimenti promossi dalle parti, ovvero da promuoversi di ufficio, esista opposizione di interessi tra il Comune e una frazione ovvero tra più frazioni dello stesso comune per le quali non sia già stata costituita la speciale rappresentanza prevista dall’art. 64 del cit. R.D., occorre darne notizia al CORECO, il quale costituirà la rappresentanza delle frazioni nominando commissioni di tre o cinque membri scelti tra i frazionisti.

Ancorchè tale norma sia stata interpretata da Cass. Sez. U, n. 1877 del 13/05/1977 nel senso che in luogo della gestione affidata al comitato di cui all’art. 64 menzionato, dovrebbe operare un Commissario prefettizio, per effetto delle modifiche apportate dalla successiva legislazione in materia di enti locali, in ogni caso deve ritenersi condivisibile la conclusione alla quale è pervenuta la sentenza impugnata circa l’impossibilità di estendere la previsione de qua anche alla ipotesi, non contemplata espressamente dal legislatore di conflitto, non già tra frazioni e Comune ovvero tra singole frazioni, ma tra abitanti all’interno di un’unica frazione.

In tal senso, oltre a doversi condividere la considerazione per la quale l’ASBUC non è ente che abbia la rappresentali dei singoli abitanti della frazione, essendo al contrario un mero ente esponenziale, di tal chè non è dato ravvisare in senso stretto una situazione di conflitto di interessi (ben potendo gli eventuali interessati ad una soluzione diversa da quella propugnata in giudizio dalla controricorrente spiegare autonomo intervento, onde far valere le loro ragioni di dissenso), effettivamente il testo dell’art. 75 invocato da parte ricorrente non depone a favore della soluzione auspicata.

Il cit. R.D. n. 332 del 1928, art. 75, espressamente prevede che “Quando il Commissario ravviserà che nei procedimenti promossi dalle parti, o da promuoversi d’ufficio, esista opposizione d’interessi tra il Comune e una frazione o tra più frazioni dello stesso comune per le quali non sia stata già costituita la speciale rappresentanza prevista dall’art. 64 del presente regolamento, ne darà notizia al CO.RE.CO., il quale costituirà la rappresentanza delle frazioni nominando commissioni di tre o cinque membri scelti fra i frazionisti.

Lo stesso procedimento si seguirà quando, contestandosi dal Comune la qualità demaniale del suolo o comunque la esistenza degli usi civici, sorga opposizione d’interessi tra il Comune e i comunisti ed occorra nominare a questi ultimi la speciale rappresentanza, sicchè appare esclusa dal chiaro tenore letterale della norma la possibilità di invocare la nomina di un’apposita commissione.

A tali considerazioni, già di per se sole idonee a legittimare il rigetto del motivo, deva poi aggiungersi che nel caso concreto la Regione Toscana, si è contrapposta nei gradi di merito all’ASBUC facendo valere proprio le medesime ragioni che sorreggono le difese dei ricorrenti e dell’associazione asseritamente rappresentativa degli interessi degli abitanti dell’originario nucleo abitativo del castello, avendo altresì provveduto ad impugnare la decisione di primo grado sfavorevole alla tesi della spettanza dei diritti di uso civico solo in favore di parte degli abitanti della frazione.

Emerge quindi con evidenza che, anche a voler ravvisare una situazione di conflitto di interessi nell’operato dell’ASBUC, le difese dei che versavano in tale condizione sono state adeguatamente e vigorosamente prese dalla Regione, e cioè da un ente istituzionale, il cui concreto atteggiamento rendeva del tutto superflua l’eventuale nomina di una commissione ai sensi del riportato art. 75, posto che gli interessi degli abitanti del nucleo abitativo del castello erano già tutelati e supportati dall’appellante.

5. Con il terzo motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale di F.M. si lamenta la violazione della L. n. 1766 del 1927, artt. 1, 2, 11 e 26, del R.D. n. 332 del 1928, art. 64, della L. n. 278 del 1957, art. 1 e della L.R. Toscana n. 1 del 1992, per avere la Corte d’Appello erroneamente identificato nella comunità di (OMISSIS) quale titolare dei diritti sulla proprietà collettiva di (OMISSIS), con l’estensione dei diritti al di fuori del perimetro del Castello e della limitrofa campagna, con particolare riferimento alla diversa ed autonoma frazione di (OMISSIS), sorta dopo la transazione del 1939, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio.

Deducono i ricorrenti che erroneamente sarebbe stato rigettato il reclamo della Regione Toscana avverso il provvedimento del Commissario, atteso che la decisione non si fonderebbe su prove certe, ma avrebbe posto a fondamento anche delle consulenze tecniche incomplete.

In particolare sarebbe stata utilizzata la perimetrazione dei confini della frazione di cui al R.D. 15 giugno 1905, n. 367, opinandosi quindi che alla data della transazione del 25 luglio 1939, dovevano reputarsi esistenti altri nuclei abitativi, al di fuori di quello originario del Castello, comprensivi in particolare della frazione (OMISSIS).

Inoltre, la sentenza avrebbe dato credito alla presunzione secondo cui la popolazione oggi insediata al di fuori del nucleo originario del Castello sarebbe proveniente dallo stesso Castello, in virtù dei flussi migratori avvenuti verso la piana, omettendo di prendere in considerazione tutte le argomentazioni sviluppate dall’associazione ricorrente nella comparsa conclusionale in grado di appello.

In primo luogo, nel motivo, si evidenzia l’irrilevanza dei confini amministrativi ai fini della decisione della controversia, occorrendo invece avere riguardo alla collettività degli abitanti che originariamente era titolare dei diritti di uso civico, senza potersi quindi tenere conto dell’accorpamento di altri nuclei abitativi, anche per effetto di mutamenti delle circoscrizioni amministrative.

In secondo luogo si afferma la necessità di prendere in considerazione l’incolato, l’originarietà dell’appartenenza dei terreni alle frazioni e la discendenza delle collettività odierne rispetto a quelle originarie.

In particolare la previsione di cui alla L. n. 1766 del 1927, art. 26 andrebbe interpretata nel senso che i diritti sui demani comunali non spettano a tutti gli appartenenti del Comune ma ai soli abitanti di quelle frazioni, discendenti storicamente da quel nucleo abitativo minimo che se ne serviva ab initio.

Trattasi di una nozione di frazione affatto diversa da quella prevista dalle leggi comunali e provinciali, sicchè nella fattispecie, in relazione ai diritti oggetto di causa, la titolarità non potrebbe che essere riconosciuta agli abitanti del nucleo abitativo storico del Castello, apparendo il nucleo (OMISSIS) essere in realtà una diversa ed autonoma frazione.

Ancora, si rileva che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente affermato che già all’epoca della transazione esistevano nuclei abitativi al di fuori dell’antico castello e delle sue prossimità, laddove invece in località (OMISSIS) vi erano semplicemente la stazione ferroviaria, una stazione di posta, una locanda e qualche casa sparsa.

Infine, sarebbe del tutto erronea l’asserzione secondo cui gli abitanti della frazione (OMISSIS) sarebbero discendenti degli abitanti dell’originario nucleo del Castello, trattandosi di affermazione priva di qualsivoglia prova e che invece appare contrastata dalla ricostruzione storica delle vicende di (OMISSIS), così come effettuata negli scritti difensivi dei ricorrenti.

Il motivo, ancorchè formalmente denunzi anche violazione di legge, si risolve in sostanza in una inammissibile contestazione della valutazione dei fatti di causa così come operata dal giudice del merito, senza che peraltro nemmeno sia dato ravvisare l’incongruità logico argomentativa delle ragioni in base alle quali si è pervenuti ad affermare la sussistenza dei diritti per cui è causa in favore di tutti gli abitanti della frazione.

Il giudice di appello, nel confermare la decisione del Commissario ha in primo luogo valorizzato gli accertamenti del CTU che aveva stabilito e verificato che i confini della frazione erano stati determinati con il R.D. 15 giugno 1905, n. 367, ricomprendendo nel territorio della frazione anche i nuclei di (OMISSIS) Scalo e (OMISSIS).

E’ stato poi sottolineato che i diritti di cui si controverte erano stati riconosciuti in favore della frazione, a seguito della transazione del 1939 (successiva quindi alla nuova determinazione dei confini), previa creazione ex novo e per scorporo di un demanio civico, su di una parte del territorio di (OMISSIS), prescindendosi quindi da quella che potesse essere la situazione preesistente.

Si è altresì rimarcato che la detta transazione vide come parte il Comune di Grosseto, che però agiva in rappresentanza di tutta la frazione nella sua più ampia estensione, quale risultante dell’atto del 1905, comprensiva anche di (OMISSIS) e (OMISSIS). Ha poi evidenziato che già all’epoca della transazione vi erano nuclei abitativi fuori del castello e specifica come ciò sia riconosciuto anche nelle difese della Regione e dei ricorrenti.

L’affermazione circa la novità della creazione ex novo di un demanio civico, oltre a costituire chiaramente un accertamento in fatto, non risuta adeguatamente contestata dalle difese dei ricorrenti, dovendosi del pari reputare valutazione in fatto, non sindacabile in sede di legittimità, quella secondo cui già alla data della transazione (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano dato vita a degli insediamenti abitativi. In tal senso, ed a fronte di un ricostruzione dei fatti che appare esente da censure di carattere logico giuridico, che ha appunto dato rilevanza alla situazione esistente dalla data della transazione, diviene del tutto ininfluente accertare quale fosse la consistenza e l’estensione della frazione sulla base delle mappe storiche, dovendosi effettivamente avere riguardo al nuovo assetto determinato dal provvedimento di rideterminazione dei confini, che aveva preceduto di oltre trenta anni l’atto per effetto del quale venivano acquisiti, in favore di tutti gli abitanti della frazione, i diritti oggetto di causa.

Nè inficia la correttezza logica della motivazione, il riferimento a spostamenti di abitanti dalla zona del castello a quella della piana e viceversa, occorrendo a tal fine ribadire che si tratta di argomenti spesi solo ad abundantiam, ma che lungi dall’inficiare la coerenza argomentativa della sentenza, si inseriscono proprio nel percorso argomentativo del giudice di appello.

Ed, infatti se il dato di fatto sul quale si fonda la decisione impugnata è che occorre guardare alla consistenza della frazione alla data della transazione del 1939 (ivi inclusi i territori di (OMISSIS) e (OMISSIS) Scalo), anche a voler far leva sulle opinioni dottrinali alle quali fa richiamo la difesa dei ricorrenti, correttamente la sentenza d’appello ha chiarito che per escludere il diritto in favore degli odierni abitanti delle porzioni della azione site nella piana, sarebbe stato necessario dimostrare che queste erano state popolate esclusivamente da soggetti ivi trasferitisi dopo la transazione del 1939, e cioè da persone escluse dal novero dei beneficiari del demanio civico scaturente dalla transazione.

Pertanto non essendo stata offerta tale prova, non potevano escludersi dalla titolarità dei diritti di uso civico coloro che abitano oggi nella piana, dovendosi presumere, in assenza della prova di fenomeni di migrazione di abitanti da altri comuni o frazioni, che in ogni caso si tratti di una popolazione che è lo sviluppo di quella che originariamente apparteneva alla frazione nella configurazione assunta nel 1905 (ben potendosi ipotizzare anche spostamenti all’interno della stessa).

Le argomentazioni di parte ricorrente trascurano di sottoporre ad adeguata critica la valorizzazione ad opera della sentenza impugnata della transazione del 1939 e della sua efficacia, occorrendo altresì evidenziare che la tesi dottrinale alla quale fa ampio richiamo la difesa dei ricorrenti presuppone evidentemente l’impossibilità di riconoscere i diritti di uso civico in favore degli abitanti di territori che siano successivamente accorpati al territorio della frazione a favore della quale sussiste il diritto di uso civico, situazione questa che però evidentemente non ricorre nel caso in esame, laddove i diritti risultano essere stati acquistati in un’epoca in cui, e già da oltre trenta anni, era stato determinato il confine della frazione, ricomprendendo anche quelle porzioni di territorio i cui odierni abitanti invece si vorrebbe escludere dal godimento dei diritti de quibus.

Alla luce delle insindacabili valutazioni in fatto operate dalla sentenza impugnata, che non possono essere rimesse in discussione in questa sede, deva altresì escludersi che vi sia stata un’errata o falsa applicazione delle norme di diritto invocate nella rubrica del motivo, che deve essere quindi rigettato.

6. L’ASBUC, il C., il R. e lo S., anche nella qualità hanno a loro volta proposto ricorso incidentale sulla base di due motivi.

Con il primo motivo si fa valere la violazione della L. n. 1766 del 1927, art. 32 e dell’art. 111 Cost. perchè la sentenza di primo grado non era appellabile ma solo ricorribile in Cassazione.

Con il secondo motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, la violazione delle previsioni di cui agli artt. 268 e 344 c.p.c., in quanto l’Associazione Noi di (OMISSIS) sarebbe intervenuta solo in grado di appello, ma semplicemente per aderire alle difese della Regione, con la conseguenza che l’intervento spiegato deve essere ritenuto come meramente adesivo dipendente (e come tale inammissibile ove spiegato in grado di appello), mentre il F. e C., oltre ad avere a loro volta spiegato un intervento meramente adesivo dipendente, erano in ogni caso intervenuti in maniera tardiva, e cioè successivamente all’udienza di precisazione delle conclusioni in grado di appello.

Tuttavia, trattandosi di ricorso incidentale condizionato, il rigetto del ricorso principale ne determina l’assorbimento.

7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Nulla a disporre nei confronti delle parti intimate che non hanno svolto difese in questa fase.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto da F.M.; rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale di F.M.;

dichiara assorbito il ricorso incidentale proposto dall’ASBUC, da R.E., C.M. e S.R.;

condanna i ricorrenti principali e F.M. al rimborso delle spese in favore dell’ASBUC, di R.E., C.M. e S.R., che liquida in Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, della Sezione Seconda Civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 21 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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