Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15932 del 08/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 08/06/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 08/06/2021), n.15932

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – rel. Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 20873 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

Contro

Finves s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale a margine del

controricorso, dall’Avv.to Gianni Ierardi, elettivamente domiciliata

presso lo studio dell’avv.to Roberto Giansante, in Roma, Via

Raffaele Caverni n. 16;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Lazio n. 405/29/14, depositata in data 28 gennaio

2014, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

23 febbraio 2021 dal Relatore Cons. Putaturo Donati Viscido di

Nocera Maria Giulia.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 405/29/14, depositata in data 28 gennaio 2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Lazio, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di Finves s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore avverso la sentenza n. 33/25/12 della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva accolto il ricorso proposti dalla suddetta società avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, aveva contestato nei confronti di quest’ultima, per l’anno 2005, ai fini Ires, Irap e Iva, maggiori ricavi non dichiarati, derivanti dalla vendita di immobili a prezzi al di sotto dei valori correnti di mercato e recuperato a tassazione costi indebitamente dedotti, ritenuti non inerenti in quanto attinenti al risarcimento per la ritardata consegna di un capannone oggetto di contratto preliminare di compravendita – in esito a transazione;

– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) dalla lettura del p.v.c., era emerso che i valori OMI non fossero specificamente afferenti alla zona di Mentana, anche se erano stati integrati da una disamina della complessiva operazione commerciale di vendita degli immobili nella zona, nell’anno 2005, effettuata dalla Gabetti; 2) di contro, la società contribuente aveva allegato, anche in primo grado, i valori di vendita di zona, estratti dalle quotazioni Osservatorio Immobiliare Fiaip, precisamente per la zona di Mentana, che risultavano sostanzialmente congrui rispetto ai prezzi dichiarati; 3) quanto al recupero a tassazione dei costi relativi al risarcimento danni da ritardo nella consegna di un immobile a seguito di transazione, la somma transatta poteva costituire un costo inerente al relativo ricavo, in quanto, ove non fosse stato sostenuto, anche lo stesso ricavo sarebbe stato compromesso, tanto più che tale somma transatta derivava dalla mancata consegna dell’immobile nei termini ma sussistevano anche difetti strutturali dello stesso;

– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui resiste, con controricorso la società contribuente;

– il ricorso è stato fissato in Camera di Consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– va preliminarmente rigettata l’eccezione di inammissibilità per tardività del ricorso per cassazione, essendo stato quest’ultimo – a fronte del ricorso in primo grado presentato successivamente ai 4/7/2009 – spedito per la notifica, a mezzo servizio postale, il 28/7/2014, entro il termine di sei mesi dal deposito (in data 28/1/2014) della sentenza di appello; infatti, “a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 477 del 26 novembre 2002, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 149 c.p.c. e della L. n. 890 del 1982, art. 4, comma 3, nella parte in cui prevedono che la notificazione si perfeziona per il notificante alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anzichè a quella antecedente di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, deve ritenersi tempestiva la notificazione del ricorso per cassazione che sia stato spedito a mezzo posta in data anteriore al decorso del termine (…) previsto dall’art. 327 c.p.c., essendo in proposito irrilevante che la ricezione da parte del destinatario sia avvenuta successivamente” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5853 del 16/03/2006);

– con il primo motivo, l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, e degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., per avere la CTR – a fronte di una contestazione dell’Ufficio, evidenziata nel p.v.c. e nell’avviso di accertamento, di inattendibilità della contabilità della società in ragione della antieconomicità del comportamento di quest’ultima alla luce della emersa notevole discordanza (del 48%) del valore al metro quadro mediamente applicato alle compravendite di immobili siti nella medesima palazzina a seconda che questi ultimi fossero stati prenotati entro il 2004 e venduti nel 2005 o direttamente acquistati, in pronta consegna nel 2005, e della notevole differenza (superiore all’81%) tra il valore al metro quadro applicato in concreto e quello desumibile dai dai OMI relativo ad immobili aventi analoghe caratteristiche nella medesima zona – rigettato l’appello in base alla verifica della sola discordanza dei valori al metro quadro applicati dalla società rispetto a quelli OMI, ancorchè questi ultimi avessero costituito soltanto un ulteriore elemento indiziario idoneo a supportare l’inattendibilità della contabilità per anomalie interne alle compravendite medesime;

– il motivo è fondato per le ragioni di seguito indicate;

– l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con cui il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorchè di rilevante importo, è consentito, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacchè la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata (ex multis: Cass., sez. 5, n. 33508 del 2018; n. 20060 del 2014);

– quanto al censurato malgoverno del materiale probatorio da parte del giudice di merito, è pacifico che competa alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, il controllo della corretta applicazione dei principi contenuti nell’art. 2729 c.c. alla fattispecie concreta, poichè se è devoluta al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 c.c., per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, violando i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (cfr. Cass., sez. 5, ord. 19352 del 2018, Cass., sez. 6-5, n. 10973/2017, Cass., sez. 5, n. 1715/2007). Infatti, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360 c.p.c., n. 3 (e non già alla stregua dello stesso art. 360 c.p.c., n. 5), competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (Sez. 3 -, Sentenza n. 19485 del 04/08/2017; Sez. 3, Sentenza n. 17535 del 26/06/2008). Ebbene, in ordine all’utilizzo degli indizi, mentre la gravità, precisione e concordanza degli stessi permette di acquisire una prova presuntiva che, anche sola, è sufficiente nel processo tributario a sostenere i fatti fiscalmente rilevanti, accertarti dalla amministrazione (Cass., sent. n. 1575/2007), quando manca tale convergenza qualificante è necessario disporre di ulteriori elementi per la costituzione della prova. La giurisprudenza di legittimità ha tracciato il corretto procedimento logico del giudice di merito nella valutazione degli indizi, affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), ancorchè preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perchè è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (tra le più recenti cfr. Cass., sent. n. 12002/2017; Cass., ord. n. 5374/2017). Ciò che dunque rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi, o anche di un solo significativo indizio, a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l’ampio diritto del contribuente a fornire la prova contraria; nella sentenza gravata la CTR, mal governando i suddetti principi – a fronte della ricostruzione analitico-induttiva da parte dell’Ufficio, come si evince dallo stralcio del p.v.c. e dell’avviso riprodotti in ricorso (pagg. 5-9), di maggiori ricavi non dichiarati desunti dalla riscontrata inattendibilità della contabilità in ragione del comportamento antieconomico tenuto dalla società, in particolare, avuto riguardo allo scostamento (del 48%) tra la media del valore a metro quadro degli appartamenti prenotati nel 2004 e venduti nel 2005 e la media a metro quadro degli immobili venduti in pronta consegna nel 2005 nonchè avuto riguardo al divario (dell’81%) tra il prezzo al metro quadro applicato alle compravendite nel 2005 e i valori OMI relativi ad immobili aventi analoghe caratteristiche, situati nella medesima zona- ha fondato la decisione di conferma dell’illegittimità dell’avviso di accertamento esclusivamente sulla ritenuta, da un lato, inattendibilità dei valori OMI in quanto non specificamente afferenti alla zona (Mentana) di ubicazione degli immobili compravenduti, dall’altro, di contro, rilevanza probatoria dei valori di vendita per la zona (Mentana) di cui alle allegate quotazioni FIAIP, senza operare una valutazione di sintesi di tutti gli presuntivi posti dall’Ufficio a fondamento della verifica fiscale, costituendo nella contestazione erariale il riferimento al divario dei prezzi applicati rispetto ai valori Orni solo un ulteriore elemento indiziario in aggiunta alla riscontrata anomalia interna alle compravendite per prezzi ingiustificatamente diversi a seconda che l’immobile fosse stato prenotato nel 2004 e venduto nel 2005 o venduto pronta consegna nel 2005; con ciò, dunque, disattendendo il principio di diritto secondo cui “La valutazione della prova presuntiva esige che il giudice di merito esamini tutti gli indizi di cui disponga non già considerandoli isolatamente, ma valutandoli complessivamente ed alla luce l’uno dell’altro, senza negare valore ad uno o più di essi sol perchè equivoci, cosi da stabilire se sia comunque possibile ritenere accettabilmente probabile l’esistenza del fatto da provare” (Cass. sez. 3, n. 5787 del 2014; v. Cass., sez. 6-5, n. 30276 del 2017); in particolare, al riguardo, si osserva che, secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, nella ricerca e nella valutazione degli elementi presuntivi del proprio convincimento, il giudice del merito è investito del più ampio potere discrezionale, nel senso che è libero di scegliere gli elementi che ritiene maggiormente attendibili e meglio rispondenti all’accertamento del fatto ignoto ed a valutarne la gravità e la concludenza. Tale potere discrezionale vale tuttavia allorchè detto giudice giunga alla conclusione della sussistenza del fatto ignoto; quando, invece, perviene a diversa conclusione, non può escludere dalla valutazione quegli elementi di fatto che, se presi in considerazione, avrebbero comportato un differente giudizio. Tuttavia, nella ricerca di tali elementi, il giudice non può trascurare dal prendere in esame quelli che appaiono maggiormente indizianti, salvo che non motivi congruamente e logicamente tale omissione; in ogni caso, deve comunque procedere ad un esame organico e complessivo (globale) degli elementi di fatto presi in considerazione, cioè esprimere un ragionamento non viziato da illogicità o da errori giuridici, quale l’esame isolato dei singoli elementi presuntivi, al fine di ritenerne la irrilevanza caso per caso (Cass. n. 7084-90; n. 6850-82; n. 2002-76); nella specie, la mancata valutazione complessiva di tutti gli elementi indiziari posti dall’Ufficio a fondamento della ricostruzione induttiva dei maggiori ricavi ha viziato il ragionamento sotteso alla decisione medesima;

– con il secondo motivo, l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso per il giudizio, per avere la CTR – fondando la decisione di rigetto dell’appello dell’Ufficio soltanto sulla inattendibilità dei dati OMI – omesso di verificare gli elementi presuntivi dei maggiori ricavi – come emergenti dal p.v.c. e dall’avviso di accertamento – attinenti alle riscontrate anomalie interne alle compravendite, con prezzi di vendita diversi a seconda che l’immobile fosse stato prenotato entro il 2004 e venduto nel 2005 o venduto pronta consegna nel 2005;

– l’accoglimento del primo motivo rende inutile la trattazione del secondo motivo con assorbimento dello stesso;

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del TUIR, art. 109, comma 5, in combinato con l’art. 1218 c.c., per avere la CTR ritenuto erroneamente deducibili i costi relativi- in esito ad atto di transazione- al risarcimento danni da ritardo ingiustificato nella consegna di un immobile oggetto di un preliminare di vendita, ancorchè le conseguenze patrimoniali della “mora debendi” non potessero essere considerate conseguenze dirette scaturenti dal contratto da cui erano scaturiti i ricavi in quanto discendenti da un ulteriore comportamento del debitore in violazione degli obblighi temporali di esecuzione contrattuale;

– il motivo è fondato;

– in base al T.U.I.R. (art. 75, ora art. 109), le spese e gli altri componenti negativi, di norma, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi od altri proventi che concorrono a formare il reddito;

– questa Corte, nel superare un precedente orientamento (in termini, ex multis, Cass. n. 10914 del 2015), ha affermato il condivisibile principio di diritto secondo cui “In tema di detrazione di costi, l’inerenza deve essere valutata secondo un giudizio di carattere qualitativo, e non quantitativo, correlato all’attività di impresa, con la conseguenza che, in tema di IVA, la stessa non può essere esclusa solo in virtù di un giudizio sulla congruità del costo che non condiziona nè esclude il diritto alla detrazione, salvo che l’amministrazione finanziaria dimostri la macroscopica antieconomicità della operazione, che costituisce elemento sintomatico dell’assenza di correlazione della stessa con l’esercizio dell’attività imprenditoriale” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 33574 del 28/12/2018; Cass., sez. 5, ord. n. 450 del 2018);

– ciò premesso in ordine alla nozione di inerenza, la correlazione fra costo e attività di impresa è stata senz’altro esclusa con riferimento, ad esempio, al pagamento di sanzioni pecuniarie irrogate per punire comportamenti illeciti del contribuente (conf. per le infrazioni stradali, Cass. n. 7071 del 2000 e n. 7317 del 2003; per gli interessi su somme pagate a titolo di sanzione, Cass. n. 11766 del 2009; per le sanzioni irrogate dagli organismi garanti della concorrenza e del mercato, Cass. n. 5050 del 2010 e n. 8135 del 2011); in particolare, questa Corte ha escluso la deducibilità dei costi conseguenti alla “mora debendi” del contribuente nei confronti di terzi (nella specie, spese di giudizio, nonchè rivalutazione monetaria ed interessi corrisposti a lavoratori dipendenti in esito a controversia di lavoro), atteso che il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, comma 5, stabilisce, ai fini della deducibilità dei costi, il requisito dell’inerenza “ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito”, mentre la “mora debendi” non costituisce un costo da cui derivi un ricavo (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2979 del 01/03/2002); l’orientamento passato in rassegna pone l’accento sul fatto che in questi casi manca il nesso d’inerenza, atteso che la spesa non nasce più nell’impresa, ma in un atto o fatto antigiuridico, che per sua natura si pone al di là della sfera aziendale. La spesa non deriva, dunque, da un’attività connessa al corretto esercizio dell’impresa stessa e non può pertanto qualificarsi come fattore produttivo, trattandosi di condotta non soltanto autonoma ed esterna rispetto alla normale vita aziendale, ma antitetica rispetto al corretto svolgimento di tale attività;

– nella specie, la CTR non si è attenuta ai suddetti principi, avendo ritenuto deducibili i costi relativi al risarcimento dei danni da ritardo nella consegna di un immobile oggetto di preliminare di vendita, scaturenti da atto di transazione, in quanto la somma transatta costituiva una spesa “inerente al relativo ricavo”; invero il costo relativo al risarcimento danni scaturito dall’atto di transazione – lungi dall’originare come le penali contrattuali (stabilite ex art. 1382 c.c.) per ritardate consegne a clienti, pur sempre dalle pattuite vicende del rapporto tra l’impresa (per la cui deducibilità v. da ultimo Cass., sez. V, 22938 del 2018) – trovava la sua fonte in un fatto antigiuridico, qual era l’inadempimento contrattuale, per sua natura al di là della sfera aziendale, con la conseguenza che la mora debendi (in ordine alla quale non assume rilievo la precisazione operata dal giudice di appello circa la derivazione della somma transatta oltre che dalla mancata tempestiva consegna dell’immobile anche da difetti strutturali dello stesso) non concreta un costo inerente alla produzione di ricavi;

– in conclusione, vanno accolti il primo e il terzo motivo di ricorso, assorbito il secondo; con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla CTR del Lazio, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

la Corte:

accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2021

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