Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15931 del 24/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/07/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 24/07/2020), n.15931

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 543/2014 proposto da:

F.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE XXI

APRILE 11, presso lo studio dell’avvocato CORRADO MORRONE, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO – quale successore ex lege dell’I.S.P.E.S.L.,

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli

avvocati LAURA DAMIANI, DONATELLA MORAGGI, che lo rappresentano e

difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6268/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/07/2013 R.G.N. 4734/2008.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’Appello di Roma ha rigettato l’appello proposto da F.E. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva accolto solo parzialmente, in riferimento alla unificazione della decorrenza degli effetti giuridici ed economici dell’inquadramento, la domanda con cui la predetta aveva chiesto, quale dipendente proveniente dall’ex E.N.P.I., il riconoscimento del suo diritto ad un tale inquadramento presso I.S.P.E.S.L. (poi confluito in I.N.A.I.L.), nella veste di primo ricercatore, con decorrenza dal 1.10.1982 e senza alcuna decurtazione di anzianità;

la Corte territoriale disattendeva la pretesa relativa alla decorrenza fin dal 1982 dell’inquadramento, sostenendo che non vi fosse alcuna base giuridica per far retroagire in tal senso i diritti della F. e, quanto alla decurtazione di un terzo dell’anzianità, ne traeva il fondamento nel D.P.R. n. 568 del 1987, art. 22, richiamato anche dall’art. 36 del Regolamento organico dell’ente (R.O.P.);

2. avverso tale sentenza la F. ha proposto sette motivi di ricorso, resistiti dall’I.N.A.I.L. con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo la F. adduce un error in procedendo (art. 360 c.p.c., n. 4), sul presupposto che la Corte territoriale avrebbe violato l’art. 436 c.p.c., per avere pronunciato nel merito – pur rigettandolo – sull’appello incidentale attraverso il quale l’ente aveva insistito per la conferma di una diversa decorrenza tra effetti giuridici ed economici, con omissione di pronuncia che aveva impedito alla Corte territoriale, nel rigettare l’appello principale, di riconoscere il ricorrere di una soccombenza reciproca e quindi di compensare le spese di giudizio;

il motivo va disatteso;

la ricorrente è infatti priva di interesse ad impugnare una pronuncia di reiezione dell’appello incidentale altrui che non la vede come tale soccombente, nè ha pregio il rilievo in ordine alle spese di giudizio, in quanto la Corte territoriale ha espressamente ritenuto di porle a carico dell’appellante principale valutando la soccombenza “prevalente” di quest’ultima e quindi prendendo in considerazione proprio anche la reiezione dell’appello incidentale avversario, con valutazione cui nulla aggiungerebbe evidentemente il fatto che la reiezione fosse avvenuta, come pretenderebbe la F., per ragioni di rito e non, come è stato, per ragioni di merito;

2. il secondo motivo afferma la violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sul terzo motivo di appello e violazione del giudicato formatosi sulla sentenza del T.A.R. del Lazio tra le parti e sul D.P.R. di accoglimento del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica;

il motivo è inammissibile, nella parte relativa all’asserita violazione di giudicato, in quanto esso non trascrive il testo, nelle parti rilevanti, delle pronunce (T.A.R. e Presidente della Repubblica) da cui si assume che deriverebbero accertamenti decisivi in proprio favore;

uno stralcio della sentenza del T.A.R. è riportato nell’ambito del (successivo) sesto motivo, in cui si afferma soltanto lo spettare dell’inquadramento alla F. sulla base del R.O.P. e non dei successivi D.P.R. n. 568 del 1987 e D.P.R. n. 171 del 1991, ma tale trascrizione non può avere rilievo, perchè essa deve semmai essere contenuta nel contesto del motivo di riferimento, anche per il necessario innestarsi di essa nel ragionamento logico che la medesima sarebbe destinata a suffragare (qui, in particolare, al fine di attestare il rilievo di quel giudicato);

la formulazione si pone dunque in contrasto con i presupposti di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1 (Cass. 24 aprile 2018, n. 10072) e di autonomia del ricorso per cassazione (Cass., S.U., 22 maggio 2014, n. 11308) che la norma nel suo complesso esprime, con riferimento in particolare, qui, ai nn. 4 e 6 della stessa disposizione, da cui si desume la necessità che la narrativa e l’argomentazione siano idonee, nel riferirsi con specificità al contenuto dei documenti ed atti cui essa si riferisce o si fonda, a manifestare pregnanza, pertinenza e decisività delle ragioni di critica prospettate, con l’inserimento logico del contenuto rilevante di essi nell’ambito del ragionamento impugnatorio;

per quanto invece riguarda l’omessa pronuncia sul motivo di appello nella parte in cui esso denunciava – in sostanza – l’erronea sovrapposizione del “profilo” e della “qualifica”, esso, risultando nel merito la questione infondata (come si dirà di seguito e in particolare poi al punto 4.5.4), vale il principio per cui la “mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame” (Cass., S.U., 2 febbraio 2017, n. 2731);

3. il terzo, quarto e quinto motivo sono formulati ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e quindi sub specie di omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio;

anch’essi sono inammissibili perchè i fatti di cui si assume l’omesso esame consistono in realtà di profili giuridici rispetto ai quali si sostiene che non sarebbero state chiarite le ragioni per cui la Corte territoriale aveva disatteso la pretesa della F. di riconoscimento del profilo (e non della qualifica) di primo ricercatore (terzo motivo) di fissare la decorrenza dell’inquadramento al 1982 (quarto motivo) e di non applicare alcuna decurtazione dell’anzianità (quinto motivo);

la critica di cui all’art. 360, n. 5, non può in effetti riguardare i profili giuridici, cui semmai devono dedicarsi, come del resto la ricorrente ha fatto con i successivi motivi, censure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

4. il sesto e settimo motivo criticano la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, appunto per violazione delle norme di disciplina della fattispecie, riprendendo anche gli argomenti irritualmente svolti con i motivi dal terzo al quinto ed affermando, entrambi, la violazione dell’art. 36, punto V e dell’art. 10 del R.O.P. (D.M. 10 febbraio 1988), nonchè del D.P.R. n. 568 del 1987, art. 22; la F. afferma in particolare che la disciplina del proprio inquadramento presso I.S.P.E.S.L. non andava tratta dall’art. 36 punto IV del R.O.P., che prevedeva la decurtazione di anzianità, ma dal punto V il quale, richiamando anche l’art. 10 dello stesso R.O.P., imponeva di considerare in modo pieno l’anzianità spettante;

così come incongruo era, sempre a dire della ricorrente, il riconoscimento dell’inquadramento sulla base del D.P.R. n. 568 del 1987, entrato in vigore dopo la data di decorrenza dell’inquadramento stesso e quindi giuridicamente inidoneo a disciplinarla;

non diversamente, quanto alla decorrenza dell’inquadramento, avendo essa maturato i nove anni che giustificavano l’attribuzione della qualifica di primo ricercatore fin dal 1.10.1982, era da quella data che si sarebbero dovuti far decorrere i suoi diritti;

4.1 nell’istituire l’I.S.P.E.S.L., il D.P.R. n. 619 del 1980, stabilì all’art. 16, comma 1, che ai dipendenti spettasse lo stesso trattamento previsto per il personale dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), la cui disciplina (L. n. 519 del 1973, art. 30) riconosce, per quanto qui interessa, tra le carriere direttive, quella dei dirigenti di ricerca e quella dei ricercatori, quest’ultima suddivisa (art. 32) nelle qualifiche di primo ricercatore ed in quella (inferiore) di ricercatore;

per l’inquadramento del personale nei ruoli I.S.P.E.S.L. il predetto art. 16 rimandava ad un successivo decreto del Ministero della Sanità, da emanarsi entro novanta giorni, assicurando medio tempore il mantenimento dello stato giuridico e del trattamento economico dell’ente di provenienza (qui, quanto alla F., l’ENPI);

al contempo l’art. 23 del medesimo D.P.R. stabiliva che entro sei mesi fosse emanato dal predetto Ministero il regolamento organico del personale (R.O.P.) dell’ente;

il primo provvedimento (inquadramento) fu adottato con D.M. 23 luglio 1987, ma, mancando ancora all’epoca il R.O.P., con esso si stabilì soltanto, in attesa della definizione dell’assetto del personale mediante il R.O.P., un inquadramento provvisorio del personale transitato da altri enti, attraverso un’equiparazione tra le qualifiche dell’ordinamento statale dei Ministeri e le posizioni giuridiche precedentemente rivestite;

il R.O.P. fu poi adottato con D.M. 10 febbraio 1988, con cui sono stati regolati gli inquadramenti nelle qualifiche di primo ricercatore sulla base delle posizioni di inquadramento provvisorio e stabilendosi, all’ultimo punto dell’art. 36 ed anche per rinvio all’art. 10, per chi avesse avuto un’anzianità di almeno nove anni, la possibilità, fruita dalla F. (v. ricorso per cassazione, pag. 4), di analogo inquadramento come primo ricercatore previo giudizio di idoneità tecnico-scientifica ad opera del Comitato amministrativo dell’I.S.P.E.S.L.;

4.2 la F. solo con d.d. 1.4.1992 fu inquadrata nel “profilo” di ricercatore, ma il T.A.R. del Lazio, con sentenza n. 1050/1996, impose l’avvio della procedura di valutazione (v. ricorso per cassazione, pag. 5, punto 4) ai sensi dell’art. 36 del R.O.P.;

seguì il d.d. 10.10.1997, con cui alla ricorrente venne riconosciuto l’inquadramento ancora di ricercatore, con differente decorrenza degli effetti giuridici rispetto a quelli economici ed anzianità ridotta di un terzo;

in esito all’accoglimento di ricorso amministrativo al Presidente della Repubblica, fu poi emesso nuovo d.d. 7.1.2003 con riconoscimento dell’inquadramento di “primo” ricercatore, applicazione della decurtazione di 1/3 dell’anzianità e decorrenza giuridica dal 23.7.1987 ed economica dal 1.6.1988;

la sentenza di primo grado del Tribunale di Roma, nel confermare il contenuto di tale ultimo decreto, ha tuttavia stabilito (con decisione in parta qua passata in giudicato per rigetto del motivo di ricorso incidentale, su cui non vi è stata impugnazione per cassazione da parte di I.N.A.I.L.) la parificazione della decorrenza economica e giuridica al 23.7.1987;

4.3 la Corte territoriale, quanto all’anzianità, ha evidenziato come il R.O.P. (art. 36) richiamasse del D.P.R. n. 568 del 1987, art. 22, il quale prevedeva (comma 1) che nella fascia iniziale inerente il profilo di ricercatore l’inquadramento avvenisse alla classe derivante dal riconoscimento dell’anzianità effettiva, mentre l’inquadramento alla seconda e prima fascia (riguardanti rispettivamente i primi ricercatori e i dirigenti di ricerca) avvenisse con riconoscimento dell’anzianità effettiva diminuita a due terzi;

la Corte riteneva poi che l’art. 10 del R.O.P. riguardasse sia il ricercatore che il primo ricercatore, così come l’art. 36, punto IV, sempre del R.O.P., faceva riferimento anch’esso ai ricercatori ed ai primi ricercatori, attraverso il richiamo alla rispettiva carriera unitaria, affiancata alla diversa carriera dei dirigenti di ricerca;

4.4 secondo gli argomenti sviluppati dalla ricorrente, il suo inquadramento doveva invece avvenire sulla base dell’art. 36 del R.O.P., punto V, secondo cui l’anzianità di qualifica posseduta era da considerare senza decurtazioni, nè poteva applicarsi del D.P.R. n. 568 del 1987, art. 22, in quanto entrato in vigore dopo la data da cui doveva decorrere l’inquadramento;

4.5 i motivi non sono accoglibili;

4.5.1 entrambe le parti riferiscono all’art. 36, ultimo punto del R.O.P. la previsione per cui ai fini della promozione a primo ricercatore l’anzianità di qualifica era da considerare nella sua integralità;

ciò però individua soltanto un criterio di valutazione dell’anzianità al fine di conseguire quell’inquadramento, criterio che la stessa F. riferisce essere stato applicato in suo favore per il riconoscimento quale “primo ricercatore”; quel comma non regola invece la misura del riconoscimento dell’anzianità una volta che l’inquadramento sia avvenuto, perchè tale aspetto, come rileva la Corte territoriale, è disciplinato invece dal punto IV, con la previsione, attraverso il rinvio al D.P.R. n. 568 del 1987, art. 22, di un abbattimento di un terzo dell’anzianità, per il rilievo che essa evidentemente può avere rispetto ai successivi trattamenti e sviluppi del rapporto;

è dunque corretto l’assunto della Corte d’Appello secondo cui il richiamo, all’interno dell’art. 36, punto IV, dei ricercatori, va inteso come riferito alla relativa carriera (di cui all’art. 10 del R.O.P. e già alla L. n. 519 del 1973, art. 32) e dunque sia ai ricercatori che ai primi ricercatori, non avendo tra l’altro spiegazione, come osserva l’I.N.A.I.L. nel controricorso, la conseguenza che si avrebbe adottando la tesi della ricorrente, ovverosia il fatto che solo dirigenti e ricercatori (e non i primi ricercatori) subirebbero una decurtazione di anzianità nel calcolo di essa a fini successivi a quello di conseguimento della qualifica-profilo;

4.5.2 parimenti infondato è l’assunto della ricorrente in ordine al fatto che il suo diritto all’inquadramento decorrerebbe dal 1982, anno di maturazione dell’anzianità valutata come utile in suo favore per l’accesso alla qualifica di “primo ricercatore”;

l’intero sistema normativo quale ricostruito al punto 4.1 si fonda infatti sulla centralità, per l’inquadramento, del decreto ministeriale da assumere sulla base della previsione di cui al D.P.R. n. 619 del 1980, art. 16;

è da quel decreto che, secondo l’art. 16 cit. dovevano decorrere gli effetti dell’inquadramento, assicurandosi medio tempore il mantenimento dello stato giuridico e del trattamento economico dell’ente di provenienza, nè l’interpretazione delle norme può essere alterata dall’indubbio ritardo avutosi, rispetto alla tempistica di legge, nell’adozione dei necessari regolamenti attuativi;

è pertanto corretto che, dalla data del regolamento previsto dall’art. 16 cit., siano fatti decorrere gli effetti, mentre il superamento del novennio di anzianità ha rilievo al solo fine di aver consentito la legittimazione della F. all’accesso alla qualifica di primo ricercatore secondo le modalità di cui all’art. 36, ultimo punto, del R.O.P.;

4.5.3 infondato è altresì l’assunto secondo cui il D.Lgs. n. 568 del 1987, essendo entrato in vigore solo successivamente alla data in cui doveva decorrere l’inquadramento, non sarebbe idoneo a disciplinare lo stesso;

il D.Lgs. n. 568 del 1987, era infatti destinato, come emerge dall’art. 1 del medesimo, a regolare “gli effetti giuridici” concernenti “il triennio 1 gennaio 1985-31 dicembre 1987”, con decorrenza “dal 1 gennaio 1985” e gli effetti economici, con decorrenza “dal 1 gennaio 1986”;

è dunque del tutto coerente che il R.O.P., emanato nel 1998, dovendo fare riferimento ad un’epoca storica (la data di emanazione del D.M. 23 luglio 1987) destinata a ricadere nell’ambito di efficacia del D.P.R. n. 568 del 1987, facesse riferimento alla normativa introdotta con quest’ultimo e propria del momento di decorrenza degli inquadramenti conseguenti allo stesso R.O.P.; non si tratta d’altra parte di affermare, in difformità dallo stralcio della sentenza del T.A.R. riportato nel contesto del sesto motivo, che l’inquadramento della F. discendesse dal D.P.R. n. 568 cit. e non dal R.O.P., perchè è indubbio che l’inquadramento sia derivato dall’art. 36, punto V, del R.O.P., mentre dal D.P.R. deriva solo la disciplina di alcuni effetti di quell’inquadramento;

4.5.4 da tutto quanto precede deriva infine la portata del tutto nominalistica della questione in merito all’avvenuta attribuzione del “profilo” di primo ricercatore in luogo della “qualifica”, in quanto resta comunque applicabile il D.P.R. n. 568 cit.; d’altra parte, la portata puramente nominalitica dell’assunto è confermata anche dal tenore testuale del D.P.R. n. 568 cit., art. 14, che, nel regolare i “profili”, lo fa all’interno di una norma rubricata come inerente alle “qualifiche” a riprova della sostanziale coincidenza dei significati dei termini nello stesso uso fatto di essi da parte della normativa di regolazione della fattispecie;

5 il ricorso va dunque respinto, con regolazione delle spese secondo soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 27 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2020

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