Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15929 del 29/07/2016


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Cassazione civile sez. II, 29/07/2016, (ud. 09/06/2016, dep. 29/07/2016), n.15929

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7093-2012 proposto da:

C.A.L., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DI PIETRALATA 320-D, presso lo studio dell’avvocato GIGLIOLA

MAZZA RICCI, rappresentata e difesa dall’avvocato BERARDINO ARENA;

– ricorrente –

contro

D.M., D.T., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA T.CAMPANELLA 11, presso lo studio dell’avvocato

PATRIZIA TITONE, rappresentati e difesi dall’avvocato GIOVANNI

ERNESTO CERISANO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 499/2011 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 30/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/06/2016 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI;

udito l’Avvocato BONGIORNO GALLEGRA con delega depositata in udienza

dell’Avvocato Berardino ARENA, che si riporta agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO LUCIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – E’ impugnata la sentenza della Corte d’appello di Bari, depositata il 30 maggio 2011, che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Foggia – sezione distaccata di Manfredonia n. 132 del 2005, ha rigettato la domanda riconvenzionale proposta da C.A.L. nei confronti di D.M. e D.T..

1.1. – Il Tribunale – adito nel 1999 dai sigg. D. per l’accertamento negativo del diritto di servitù di passo esercitato da C.A.L. sul fondo di loro proprietà in agro di (OMISSIS), censito in catasto al foglio 3, particella 344 – aveva dichiarato improponibile la domanda di negatoria servitutis perchè introdotta nella pendenza del giudizio possessorio promosso dalla sig.ra C., e aveva accolto la domanda di usucapione della servitù.

2. – La Corte d’appello ha riformato la decisione riguardo all’accertamento dell’avvenuta usucapione della servitù, sul rilievo che era di ostacolo alla costituzione della servitù la situazione oggettiva dei luoghi, che vedeva l’interposizione tra i fondi “dominante e servente” di un’area demaniale, non liberamente accessibile. Risultava, infatti, che la convenuta C. aveva ottenuto il nulla-osta regionale al transito sull’area demaniale nel 1996, e perciò soltanto da tale data, e nei limiti previsti dal nulla-osta, si poteva configurare l’esercizio del possesso ad usucapionem, essendo altresì evidente che, al momento della proposizione della domanda, non era maturato il periodo di venti anni necessario per l’acquisto a titolo originario della servitù.

Analoghe considerazioni valevano a ritenere infondata la domanda riconvenzionale subordinata, peraltro non riproposta in appello, di costituzione di servitù coattiva ai sensi dell’art. 1051 cod. civ. 3. – Per la cassazione della sentenza C.A.L. ha proposto ricorso affidato a due motivi.

Resistono con controricorso D.M. e D.T..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Il ricorso è infondato.

1.1. – Con il primo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1031, 1140, 1158 e 1061 c.c..

La ricorrente contesta l’affermazione della Corte d’appello, secondo cui il periodo ventennale utile all’usucapione della servitù di passaggio sul fondo servente decorrerebbe solo dal momento dell’autorizzazione della P.A. al passaggio sul bene demaniale. La giurisprudenza di legittimità, richiamata dalla Corte d’appello, non legittimerebbe tale conclusione giacchè il bene demaniale interposto non è assoggettabile a servitù, e questa si costituisce sempre e solo tra i fondi privati, con il solo limite che il suo esercizio non trovi ostacolo in un impedimento della P.A..

In questa prospettiva, era sufficiente, ai fini dell’accertamento dell’avvenuta usucapione, l’esistenza dell’autorizzazione al passaggio nell’area demaniale al momento della proposizione della domanda di usucapione.

1.2. – La doglianza è infondata.

La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione dei principi in materia di possesso utile all’usucapione, in particolare del principio tantum praescriptum quantum possessum, in forza del quale il possesso da considerare è esclusivamente quello che sia stato posto a base dell’usucapione, non potendo essersi usucapito qualcosa di più o di diverso di ciò che si è posseduto (ex plurimis, Cass., sez. 2, sentenze n. 5060 del 1992, n. 10460 del 2003, n. 1616 del 2014).

Nel caso di specie la Corte d’appello ha evidenziato che, prima del rilascio del nulla-osta, l’area demaniale interposta tra il fondo di proprietà C. e quello di proprietà D. non poteva essere attraversata dalla ricorrente C., sicchè l’attraversamento di tale area costituiva attività contra legem, connotata da precarietà, non idonea a configurare una situazione di possesso ad usucapionem, inteso come attività di fatto corrispondente all’esercizio del diritto. La Corte d’appello ha messo in evidenza, correttamente, che l’attività di transito svolta prima del rilascio del nulla-osta non poteva essere qualificata come possesso ad usucapionem, ed ha inoltre rilevato la differenza tra il contenuto del nulla-osta, limitato al transito pedonale, e il diritto di servitù di passo che la ricorrente pretendeva di avere acquistato per usucapione, che comprendeva il transito anche con mezzi.

2. – Con il secondo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1031 e 1051 c.c. e artt. 112, 342 e 434 c.p.c., e si contesta l’extrapetizione in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello per avere affermato che non sussistevano i presupposti per la costituzione di servitù coattiva, in assenza di devoluzione sul punto, come la stessa Corte aveva rilevato.

2.1. – La doglianza è inammissibile.

La denunciata extrapetizione non sussiste in quanto la Corte d’appello ha rilevato la mancata riproposizione della domanda, che in effetti non era stata devoluta alla sua cognizione, e ha consumato, con tale rilievo, il potere decisorio. Le ulteriori affermazioni rese ad abundantiam dalla stessa Corte sulla fondatezza della domanda sono giuridicamente inesistenti, con conseguente inammissibilità, per carenza di interesse, della relativa doglianza (ex plurimis, Cass., Sez. U, sentenza n. 15122 del 2013).

3. – Al rigetto del ricorso segue la condanna della parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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