Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15927 del 29/07/2016


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Cassazione civile sez. II, 29/07/2016, (ud. 09/06/2016, dep. 29/07/2016), n.15927

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12430-2012 proposto da:

DR. D.O.D.L.F., elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA FILIPPO ERMINI, 68, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIA

SALUSTRI, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO MOMARONI;

– ricorrente –

contro

L.D.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

GIULIO CESARE 71, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO BELLOCCI,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato VINCENZO BIOLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 142/2010 depositata il 16/03/2010 (non

definitiva) sentenza n. 325/11 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 24/06/2011 definitiva;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/06/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO;

udito l’Avvocato MOMARONI Paolo, difensore del ricorrente che ha

chiesto di riportarsi ed insiste nell’accoglimento degli scritti

depositati;

udito l’Avvocato BELLUCCI Maurizio, difensore del resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO LUCIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – D.O.d.L.F. convenne in giudizio L.D., chiedendo la condanna del convenuto al rilascio del locale di proprietà di esso attore posto nel fabbricato sito in (OMISSIS), nonchè al risarcimento del danno.

Il convenuto resistette alla domanda, chiedendone il rigetto; chiese, in via riconvenzionale, che venisse accertato che egli era divenuto proprietario del detto locale per usucapione.

Il Tribunale di Perugia accolse la domanda attorea e condannò il convenuto al rilascio dell’immobile rivendicato; rigettò la domanda di risarcimento del danno e quella riconvenzionale proposta dal convenuto.

2. – Sul gravame proposto in via principale dal convenuto e in via incidentale dall’attore, la Corte di Appello di Perugia, in riforma della pronuncia di primo grado, prima – con sentenza non definitiva – rigettò la domanda attorea e, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dal convenuto, dichiarò che quest’ultimo era divenuto proprietario per usucapione del locale oggetto della causa; poi – con sentenza definitiva – individuò catastalmente l’immobile e autorizzò la trascrizione della sentenza nei registri immobiliari, compensando tra le parti le spese dei due gradi del giudizio.

3. – Per la cassazione di entrambe le sentenze di appello ricorre D.O.d.L.F. sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso L.D..

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., per avere la Corte di Appello escluso l’inammissibilità dell’appello proposto dal L. per difetto di specificità dei motivi.

La censura è inammissibile per difetto di autosufficienza, non avendo il ricorrente riportato nel ricorso i motivi di gravame formulati dalla controparte, sì da consentire a questa Corte di valutare la fondatezza della censura (anche in rapporto ai motivi di appello come interpretati e riassunti dalla Corte di Appello a p. 6 della sentenza impugnata).

Sul punto, va ribadito il principio, già enunciato da questa Corte, secondo cui il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – che trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte – vale anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali si denuncino errori da parte del giudice di merito; ne consegue che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. conseguente alla mancata declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte (Sez. 3, Sentenza n. 86 del 10/01/2012, Rv. 621100; Sez. 5, Sentenza n. 12664 del 20/07/2012, Rv. 623401; Sez. L, Sentenza n. 11477 del 12/05/2010, Rv. 613519).

2. – Col secondo motivo di ricorso, si deduce la contraddittorietà, l’insufficienza e l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata, sotto un triplice profilo: a) per avere la Corte territoriale ritenuto ammissibili e attendibili le testimonianze dei testi M., D., T. e Ma., nonostante il loro interesse nella causa in quanto condomini dell’edificio; b) per avere la Corte territoriale ritenuto, sulla base di una erronea valutazione delle prove acquisite, raggiunta la prova del possesso ultraventennale del L. valevole ai fini dell’usucapione, trascurando di valutare la decisiva testimonianza del teste O. e la richieste di restituzione del locale avanzate dall’attore; c) per avere la Corte di merito ritenuto assorbita la domanda di risarcimento del danno.

Tutti i profili della censura non possono trovare accoglimento.

2.1. – Con riguardo al punto sub a), va osservato che esattamente la Corte territoriale ha ritenuto che i testi indicati dal ricorrente non fossero interessati nè legittimati a prendere parte alla presente causa, la quale verte su un locale rispetto al quale essi non avrebbero potuto avanzare alcuna pretesa.

Come ha statuito questa Corte, l’interesse che determina l’incapacità a testimoniare, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., è solo quello giuridico, personale, concreto ed attuale, che comporta o una legittimazione principale a proporre l’azione ovvero una legittimazione secondaria ad intervenire in un giudizio già proposto da altri cointeressati. Tale interesse non si identifica con l’interesse di mero fatto che un testimone può avere a che venga decisa in un certo modo la controversia in cui esso sia stato chiamato a deporre, pendente fra altre parti, ma identica a quella vertente tra lui ed un altro soggetto ed anche se quest’ultimo sia, a sua volta, parte del giudizio in cui la deposizione deve essere resa (Sez. L, Sentenza n. 21418 del 21/10/2015, Rv. 637578).

Nella specie, l’interesse dei testi citati dal ricorrente è del tutto ipotetico, privo di attualità e di concretezza, cosicchè la loro testimonianza legittimamente è stata ritenuta ammissibile.

Altra cosa è il profilo del giudizio sulla attendibilità dei testimoni, che – però – è riservato ai giudici di merito e non è sindacabile nel giudizio di legittimità.

2.2. – Con riguardo al punto sub b), va poi osservato che il ricorrente critica – nella sostanza – la valutazione delle prove da parte dei giudici di merito e le conclusioni cui essi sono pervenuti in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale. La valutazione delle prove, tuttavia, è riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito e non è sindacabile in cassazione; a meno che ricorra una mancanza o illogicità della motivazione, ciò che – nel caso di specie – deve però escludersi.

Inammissibile è anche la critica circa la omessa valutazione testimonianza del teste O., essendo la censura non autosufficiente sul punto, per il fatto di non riportare il contenuto della detta deposizione, impedendo così alla Corte di valutarne la decisività; non senza considerare che la Corte di Appello ha valutato tale testimonianza (p. 8-9 della sentenza impugnata), ritenendola tuttavia generica e non utile ai fini decisori.

Infondata è anche la doglianza circa la mancata considerazione della richiesta di restituzione dell’immobile da parte del ricorrente, quale atto rilevante ai fini dell’interruzione del termine per usucapire.

E infatti, mediante il rinvio fatto dall’art. 1165 c.c. all’art. 2943 c.c. (norma che disciplina la prescrizione in generale), la legge elenca tassativamente gli atti interrottivi del termine utile per la prescrizione acquisitiva, cosicchè non è consentito attribuire tale efficacia interruttiva ad atti diversi da quelli stabiliti dalla norma, per quanto con essi si sia inteso manifestare la volontà di conservare il diritto, giacchè la tipicità dei modi di interruzione della prescrizione non ammette equipollenti (Sez. 2, Sentenza n. 14659 del 27/08/2012, Rv. 623921; Sez. 2, Sentenza n. 4892 del 01/04/2003, Rv. 561615). Va peraltro considerato che il rinvio dell’art. 1165 c.c. alle norme sulla prescrizione in generale (in particolare, a quelle dettate in tema di sospensione ed interruzione) incontra il limite della compatibilità di queste con la natura stessa dell’usucapione; pertanto, non è consentito attribuire efficacia interruttiva del possesso se non ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa oppure ad atti giudiziali diretti ad ottenere ope iudicis la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapente.

Ne deriva che, mentre può legittimamente ritenersi atto interruttivo del termine della prescrizione acquisitiva la notifica dell’atto di citazione con il quale venga richiesta la materiale consegna dei beni immobili dei quali si vanti un diritto dominicale, non valgono invece ad interrompere il termine utile per usucapire nè gli atti di diffida nè quelli di messa in mora (pur essendo tali atti idonei ad interrompere la prescrizione dei diritti di obbligazione), in quanto il possesso si può esercitare anche in aperto contrasto con la volontà del titolare del corrispondente diritto reale (Sez. 2, Sentenza n. 9845 del 19/06/2003, Rv. 564425; Sez. 2, Sentenza n. 15199 del 11/07/2011, Rv. 618610).

Nella specie, il D.O. si è limitato a richiedere per iscritto al L. il rilascio del locale oggetto di causa (il ricorso richiama la corrispondenza intercorsa tra il 1998 e il 2003); tali richieste, per quanto detto, sono irrilevanti ai tini dell’interruzione del termine ad usucapionem.

2.3. – Con riguardo al punto sub c), va rilevata infine la infondatezza della doglianza circa il ritenuto assorbimento della domanda di risarcimento del danno.

Infatti, la domanda di risarcimento del danno era stata proposta dall’attore in collegamento con la domanda di rilascio dell’immobile, essendo il danno lamentato quello conseguente all’illegittima occupazione del locale; pertanto, una volta rigettata la domanda di rilascio e riconosciuto che il convenuto ha acquistato per usucapione la proprietà dell’immobile, legittimamente la Corte territoriale ha dichiarato assorbita la domanda di risarcimento del danno.

3. – Col terzo motivo di ricorso, si deduce infine la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte di Appello omesso di pronunciare sul motivo di appello col quale l’odierno ricorrente aveva lamentato la mancata emissione di ordine di esibizione di documenti nei confronti del convenuto, da lui appositamente richiesto.

Anche questo motivo è infondato.

Nella specie, la Corte territoriale ha implicitamente pronunciato sul motivo di appello, ritenendo l’istruzione probatoria completa, sufficiente per decidere la causa, e ritenendo invece inutile e superflua la chiesta esibizione ai fini dell’accertamento dei fatti.

Va peraltro ricordato che – secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi – il provvedimento di cui all’art. 210 c.p.c. è espressione di una facoltà discrezionale rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, che non è tenuto ad indicare le ragioni per le quali ritiene di avvalersi, o no, del relativo potere, il cui mancato esercizio non può, quindi, formare oggetto di ricorso per cassazione, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione (Sez. 2, Sentenza n. 22196 del 29/10/2010, Rv. 614699).

4. – Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 2.900,00 (duemilanovecento), di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 9 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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