Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15926 del 08/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 08/06/2021, (ud. 08/03/2021, dep. 08/06/2021), n.15926

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 16889/2014 R.G. proposto da:

G.G., rappresentata e difesa dagli avv.ti Cesare Zonca di

Bergamo, e Stefano Zonca di Milano, unitamente con l’avv. Gabriele

Pafundi, (fax (OMISSIS) – gabrielepafundi.ordineavvocatiroma.org),

presso il cui studio in Roma, Viale Giulio Cesare 14-A4, è

elettivamente domiciliata;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, Sezione staccata di Brescia, n. 312/67/2013 pronunciata

il 4.11.2013 e depositata il 19.12.2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 marzo 2021

dal consigliere Dott. Giuseppe Saieva;

Visto il parere espresso dal p.m. in persona dell’avvocato generale

Dott. Salzano Francesco il quale ha concluso per il rigetto del

ricorso.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo rigettava il ricorso con cui G.G. aveva impugnato gli avvisi dell’Agenzia delle entrate che aveva accertato un’evasione, ai fini IRPEF, di circa Euro 200.000,00 sia per l’anno 2005, che per l’anno 2006, contestando alla contribuente un incremento patrimoniale di circa Euro 900.000,00 senza un reddito dichiarato idoneo a giustificarlo; l’accertamento, preceduto dall’acquisizione del rituale questionario, era stato effettuato sulla base dei seguenti indici di capacità contributiva previsti dal c.d. “redditometro”. In particolare la contribuente, che si trovava nella disponibilità di tre appartamenti (uno in (OMISSIS) di mq. 150, adibito a residenza principale, un secondo in (OMISSIS) di mq. 77 ed un terzo in (OMISSIS) di mq. 81, adibiti a residenze secondarie), aveva conseguito incrementi patrimoniali nei periodi 2005-2009 e 2006-2010 pari a Euro 818.853,00, avendo proceduto all’acquisito in data (OMISSIS) di un fabbricato sito in (OMISSIS), via (OMISSIS), ad un prezzo dichiarato di Euro 1.978.400,00; all’acquisito in data (OMISSIS) di un autoveicolo targato (OMISSIS) al prezzo di Euro 14.000,00; alla vendita in data (OMISSIS) a Z.A., convivente more uxorio, di un immobile sito in (OMISSIS) ad un prezzo di Euro 635.000,00 ed al disinvestimento di titoli e fondi per complessivi Euro 538.547,00.

2. L’appello proposto dalla G. dinnanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, veniva rigettato con sentenza n. 312/67/13, depositata il 19.12.2013, con la quale veniva confermata la decisione della Commissione di primo grado.

3. La contribuente ha quindi proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

4. Il ricorso è stato fissato nella camera di consiglio dell’8 marzo 2021, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c..

5. In data 26 febbraio 2021 la ricorrente ha depositato una memoria, insistendo nell’accoglimento delle proprie richieste.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo deduce la ricorrente l’omessa valutazione di fatti controversi e decisivi per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamentando, in particolare, che la C.T.R. avrebbe omesso di valutare la convivenza more uxorio con Z.A.; il pagamento da parte di quest’ultimo della somma di Euro 1.000.000,00 a saldo del prezzo dell’appartamento di via (OMISSIS), in (OMISSIS), intestato alla ricorrente stessa con il conseguente incremento patrimoniale rilevato dall’ufficio; nonchè il mantenimento quasi totale (95%) da parte del convivente; fatti tutti documentalmente provati e mai contestati dall’Agenzia delle Entrate.

1.1. La censura è inammissibile.

1.2. La giurisprudenza di legittimità è conforme nel ritenere che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, contempla soltanto il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo. Ne consegue che non integra il vizio de quo l’asserita erronea valutazione delle risultanze istruttorie (ove il fatto storico da esse spiegato, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice), non dovendo la sentenza dar conto di tutte le emergenze probatorie.

1.3. Nel caso di specie, la ricorrente deduce sotto forma di “omessa valutazione di fatti controversi e decisivi” un vizio di motivazione senza tener conto dei limiti di deduzione previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5, nel testo applicabile ratione temporis, come modificato a seguito della novella richiamata di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012. Il vizio di motivazione va infatti interpretato “… alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicchè è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale, che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

1.4. Invero, l’esame dei documenti e la valutazione delle prove acquisite, così come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata. In caso contrario, infatti, il sindacato di legittimità si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione. (cfr. ex multis Cass. Sez. 6, 24/09/2020, n. 20017; Cass. Sez. 6, 10/06/2020, n. 11026; Cass. Sez. lav., 20/05/2020, n. 9299).

1.5. Va peraltro osservato che le doglianze della ricorrente si rivelano inammissibili sotto altro profilo, in quanto non colgono in alcun modo la ratio decidendi della sentenza impugnata, meramente applicativa delle disposizioni contenute nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, 5 e 6, vigente ratione temporis, secondo cui “Qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei cinque precedenti. Il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. L’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”.

1.6. Al riguardo, questa Corte ha già chiarito (Cass. Sez. 5, 26/11/2014, n. 25104) che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, prevede (al primo periodo) che gli uffici finanziari, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, possano “determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente, in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze, quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato”. In sostanza, il dettato del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, prevede che il controllo della congruità dei redditi dichiarati venga effettuato partendo da dati certi ed utilizzando gli stessi come indici di capacità di spesa, per dedurne, avvalendosi di specifici e predeterminati parametri di valorizzazione (c.d. redditometro), il reddito presuntivamente necessario a garantirla. Quando il reddito determinato in tal modo si discosta da quello dichiarato per almeno due annualità, l’ufficio può procedere all’accertamento con metodo sintetico, determinando il reddito induttivamente e quindi utilizzando i parametri indicati, a condizione che il reddito così determinato sia superiore di almeno un quarto a quello dichiarato.

1.7. Questa Corte con sentenza della Sez. 5, 18/04/2014, n. 8995, ha poi chiarito i confini della prova contraria a carico del contribuente, a fronte di un accertamento induttivo sintetico eseguito ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, “l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”. La norma richiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perchè in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati. La prova documentale richiesta dalla norma in esame non risulta peraltro particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la “durata” del possesso dei redditi in esame; quindi non il loro semplice “transito” nella disponibilità del contribuente”.

1.8. In sostanza, l’applicazione di tale metodo – sulla base degli indici previsti dai D.M. 10 settembre 1992 e D.M. 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro – dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicchè è legittimo l’accertamento fondato su di essi, restando a carico del contribuente – posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori – l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.

1.9. Nel caso in esame, l’Ufficio erariale ha assolto l’onere di individuare elementi certi indicatori di capacità di spesa, non avendo invece la contribuente assolto l’onere, sulla stessa gravante, oltre che, ovviamente, di contestare il possesso degli indicatori di capacità di spesa, di provare, con idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente era costituito in tutto o in parte “da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta”, così restando esposta alle conseguenze, in tema di accertamento presuntivo del reddito.

1.10. La ricorrente ha, infatti, giustificato l’incremento patrimoniale, affermando che il proprio convivente more uxorio le aveva concesso un prestito di Euro 1.000.000,00, facendola subentrare nell’acquisto della casa di Via (OMISSIS), solo in fase di rogito notarile, rimanendo “beneficiaria” della somma che il medesimo aveva versato quale anticipo nella veste di promissario acquirente, da lui rivestita in sede di contratto preliminare.

1.11. La C.T.R., confermando la decisione di primo grado, ha sottolineato che dalle risultanze documentali acquisite non risultava tra i due soggetti un rapporto di autonomia patrimoniale e reddituale solo apparente, come invece sostenuto dalla ricorrente, e che nell’atto notarile redatto per l’acquisito della casa di Via (OMISSIS) non figurava la persona di Z.A. quale promissario acquirente originario surrogato, così come non risultava quale anticipatore degli acconti già versati al venditore.

1.12. Ciò posto, avendo l’ufficio accertato nella specie un rilevante scostamento fra reddito imponibile dichiarato e reddito accertato, non giustificato dalla contribuente, appare conforme ai principi normativi sopra richiamati la decisione della C.T.R. che ha disatteso la pretesa della contribuente di giustificare incrementi patrimoniali e mantenimento da parte di persona convivente more uxorio, ma comunque estranea al nucleo familiare, in conformità con l’orientamento consolidato di questa Corte, fermo nel ritenere valido ai fini di cui trattasi il “riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero nucleo familiare, per tale intendendosi esclusivamente la famiglia naturale, costituita dai coniugi conviventi e dai figli” (cfr. Cass., sez. 5, n. 5365 del 07/03/2014; nonchè, più recentemente, Cass., sez. 5, n. 9905 del 27/05/2020).

1.13. In base a tali elementi la C.T.R. ha poi ritenuto che l’autodichiarazione della ricorrente non poteva modificare il quadro probatorio, soprattutto tenendo conto del fatto che, come questa Corte ha già avuto occasione di chiarire, l’attribuzione di efficacia probatoria alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, così come l’autocertificazione in genere, trova, con specifico riguardo al contenzioso tributario, ostacolo invalicabile nella previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, giacchè finirebbe per introdurre nel processo tributario – eludendo il divieto di giuramento e prova testimoniale – un mezzo di prova, non solo equipollente a quello vietato, ma anche costituito al di fuori del processo (v. Cass. Sez. 5, 09/07/2019, n. 18374 e n. 18375).

1.14. Correttamente, pertanto, il giudice di appello ha ritenuto, con valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, sorretta da motivazione adeguata e logicamente coerente, che dall’esame della documentazione prodotta a supporto della tesi difensiva non vi era prova del prestito capace di giustificare l’incremento patrimoniale contestato, tale da inficiare la ricostruzione reddituale presuntiva operata dall’Amministrazione finanziaria.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce “contraddittorietà della motivazione là dove tratta non linearmente dei rapporti contrattuali alla luce dei rapporti tra la ricorrente ed il suo convivente more uxorio” (ex art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5, nella formulazione antecedente, richiamata a pag. 12 nell’ultimo capoverso del ricorso).

2.1. Anche tale censura si appalesa inammissibile.

2.2. Occorre rammentare che, dopo la modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alla sentenza impugnata in quanto pubblicata successivamente alla data del 11 settembre 2012 di entrata in vigore di detta norma modificativa, è sottratto al sindacato di legittimità di questa Corte il vizio di mera insufficienza o di contraddittorietà della motivazione per inesatta valutazione delle risultanze istruttorie, qualora dalla sentenza sia comunque possibile trarre la premessa in fatto e la conseguenza in diritto che giustifica il decisum. Per effetto della nuova formulazione del vizio di legittimità, la censura deve essere limitata alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, per cui, al di fuori di tale omissione, il controllo deve essere esclusivamente volto a verificare la esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ricollegabile alle ipotesi di “mancanza della motivazione” quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale, di “motivazione apparente”, di “motivazione perplessa od incomprensibile”, che integrano la violazione dell’art. 132 c.p.c., e determinano nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità.

2.3. Il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, può, dunque, essere dedotto solo in caso di omesso esame di un “fatto storico” controverso, che sia stato oggetto di discussione e appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione, essendo precluso impugnare la sentenza per criticare il percorso argomentativo adottato dal giudice di merito sulla base di una valutazione degli elementi fattuali acquisiti, da questi ritenuti determinanti oppure non pertinenti (Cass. Sez. U, n. 8053 del 7/4/2014; Cass. Sez. U, n. 19881 del 22/9/2014; Cass. n. 11892 del 10/6/2016); ne consegue che esula dal vizio di legittimità di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il giudice si sia formato all’esito dell’esame del materiale probatorio previa valutazione della sua attendibilità ed operando un giudizio di prevalenza.

2.4. A nulla rileva pertanto che i giudici di secondo grado non abbiano adeguatamente tenuto conto di tutti gli elementi di prova offerti dalla contribuente, ritenendo comunque ingiustificato lo scostamento tra il reddito dichiarato e quello desumibile dal cd. redditometro e rigettato il ricorso della contribuente.

3. Sulla base delle argomentazioni esposte, pertanto, si ritiene che i Giudici di secondo grado abbiano correttamente applicato le disposizioni normative poste alla base dell’accertamento sintetico. Il ricorso va quindi rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso della contribuente che condanna al rimborso delle spese sostenute dall’Agenzia delle Entrate che liquida in 7.000,00 Euro, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 8 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2021

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