Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15925 del 24/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/07/2020, (ud. 10/09/2019, dep. 24/07/2020), n.15925

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22343/2015 proposto da:

POSTEL S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo

studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’avvocato FRANCESCA BONFRATE;

– ricorrente –

contro

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

SALLUSTIANA 26 – (STUDIO LEGALE TOSATO), presso lo studio

dell’avvocato GIULIO RAFFAELE IPPOLITO, rappresentato e difeso

dall’avvocato PAOLO MOLTENI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 147/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 16/03/2015 R.G.N. 2736/2012.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’Appello di Milano con la sentenza n. 147 in data 5 febbraio – 24 marzo 2015 riformava soltanto in parte la pronuncia n. 2227/12, impugnata dal POSTEL S.p.a. come da ricorso depositato il 26 ottobre 2012, con la quale il Tribunale della stessa città aveva riconosciuto l’invalidità del contratto di somministrazione concluso il 19 febbraio 2009 per violazione della disciplina dettata in materia dal D.Lgs. n. 276 del 2003 e, di conseguenza, accertato la sussistenza tra l’attore G.A. e l’utilizzatrice POSTEL di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, condannando, quindi, la società convenuta al ripristino del rapporto nonchè al risarcimento dei danni commisurati alla retribuzione globale di fatto, a far luogo dal 20 gennaio 2011 sino alla effettiva riammissione in servizio. La Corte territoriale, in particolare, riteneva di integrare la motivazione posta a sostegno della sentenza gravata, rilevando che nella specie la ragione giustificativa del ricorso alla somministrazione, emergente sia dal primo contratto commerciale di somministrazione, in seguito prorogato, sia nel corrispondente contratto individuale di lavoro, si riconduceva a ragioni di carattere tecnico riferite a “lavorazioni tabulati Intesa San Paolo”, mentre nei contratti successivi la ragione organizzativa era stata collegata a “lavorazioni tabulati Intesa San Paolo”, causali tutte giudicate evidentemente generiche a tal punto da non consentire il benchè minimo controllo sulla loro effettiva sussistenza, non emergendo alcuna peculiarità di tale tipo di lavorazione tale da richiedere l’intervento della somministrazione di lavoro temporaneo, all’uopo richiamando anche il precedente di Cass. n. 8120/13, nonchè il principio affermato da Cass. lav. n. 17540 – 01/08/2014 (secondo cui in particolare, ai sensi del D.Lgs. 9 ottobre 2003, n. 276, artt. 20 e segg., la mera astratta legittimità della causale indicata nel contratto di somministrazione non basta a rendere legittima l’apposizione di un termine al rapporto, dovendo anche sussistere, in concreto, una rispondenza tra la causale enunciata e la concreta assegnazione del lavoratore a mansioni ad essa confacenti, con la conseguenza che la sanzione di nullità del contratto, prevista espressamente dall’art. 21, u.c., per il caso di difetto di forma scritta, si estende anche all’indicazione omessa o generica della causale della somministrazione, con conseguente trasformazione del rapporto da contratto a tempo determinato alle dipendenze del somministratore a contratto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze dell’utilizzatore). Peraltro, la Corte di merito osservava che anche sul piano probatorio, pur ipotizzando astrattamente la sufficiente specificità delle anzidette causali giustificative, le relative articolazioni probatorie contenute nella memoria difensiva apparivano carenti, per cui a tal riguardo concordava pienamente con quanto già affermato dal giudice di primo grado, in quanto nei vari capitoli di prova si faceva riferimento unicamente al complessivo numero dei fogli prodotti e la relativa distribuzione nei mesi da febbraio a dicembre 2009, così da impedire alcun controllo sull’effettiva sussistenza dell’addotta ragione temporanea. Viceversa, la Corte d’Appello riformava la statuizione impugnata sulle conseguenze economiche dell’accertata illegittimità e, in applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, condannava la società POSTEL al pagamento di una indennità risarcitoria, quantificata in sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita oltre agli interessi ed alla rivalutazione monetaria dalla data della sentenza di primo grado, condannando, quindi, l’appellato alla restituzione di quanto percepito in eccedenza in esecuzione della pronuncia impugnata. Spese di secondo grado, tuttavia, liquidate a carico della società appellante;

per la cassazione della sentenza ha proposto ricorsoi POSTEL S.p.a. con tre motivi, cui ha resistito con controricorso il sig. G.A..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

il primo motivo di ricorso, con il quale è censurata la sentenza per avere violato e falsamente applicato nella specie il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4 e art. 21, comma 1, è infondato, ritenendo infatti il collegio di dover dare continuità ai principi in materia ribaditi da questa Corte, in base ai quali ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20 e segg., la sanzione di nullità del contratto di somministrazione di lavoro, prevista espressamente dall’art. 21, u.c., per il caso di difetto di forma scritta, si estende anche all’indicazione omessa o generica della causale della somministrazione, con conseguente trasformazione del rapporto da contratto a tempo determinato alle dipendenze del somministratore a contratto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze dell’utilizzatore (cfr. Cass. lav. n. 197 pubblicata in data 08/01/2019, relativa ad una fattispecie in cui è stata ritenuta generica la causale “gestione delle attività di call center in relazione alle esigenze di carattere organizzativo connesse al riassetto societario”, in quanto non esplicativa delle ragioni di ricorso al lavoro somministrato nè del contenuto del riassetto societario ovvero del periodo temporale di riferimento. V. parimenti Cass. n. 17450/14 cit.). In altra sentenza, n. 22381/2018, riferita a contratto di somministrazione a tempo determinato con causale ben più “specifica” rispetto a quella utilizzata nel contratto con il sig. G., questa Corte ha ritenuto non censurabile la statuizione del giudice di merito secondo cui detta causale “non soddisfacesse quel minimo necessario di specificità che, sia pure non più legata a situazioni tipizzate dal legislatore o dal contratto collettivo, deve sempre essere chiaramente espressa con riferimento al contesto della peculiare situazione dell’impresa utilizzatrice e delle sue esigenze produttive… non risultando, in particolare, esplicitato per quali ragioni per la gestione del call center occorresse il ricorso al lavoro somministrato nè in cosa consistesse il riassetto societario indicato ovvero il periodo temporale di riferimento”;

anche il secondo motivo di ricorso, con il quale è denunciata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20,21,27, in relazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, art. 12 preleggi e artt. 1362 c.c. e segg., va rigettato. Invero, ai sensi del D.Lgs. 9 ottobre 2003, n. 276, artt. 20 e segg., la mera astratta legittimità della causale indicata nel contratto di somministrazione non basta a rendere legittima l’apposizione di un termine finale al rapporto, dovendo anche sussistere, in concreto, una rispondenza tra la causale enunciata e la concreta assegnazione del lavoratore a mansioni ad essa confacenti, con la conseguenza che la sanzione di nullità del contratto, prevista espressamente dall’art. 21, u.c., per il caso di difetto di forma scritta, si estende anche all’indicazione omessa o generica della causale della somministrazione, donde la trasformazione del rapporto da contratto a tempo determinato alle dipendenze del somministratore a contratto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze dell’utilizzatore. L’impugnazione del contratto presupposto, intercorso tra la società utilizzatrice e la società di somministrazione e la deduzione della genericità delle causali delle singole somministrazioni è sufficiente, quindi, a far ritenere devoluta tutta la materia e correttamente la Corte ha ritenuto applicabile la sanzione della conversione;

del pari è infondata la terza censura, con la quale è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116,421,434 e 437 c.p.c., anche in relazione all’art. 2697 c.c.. Vero è, infatti, che nel rito del lavoro, il giudice, ove si verta in situazione di “semipiena probatio”, ha il potere-dovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttori idonei a superare l’incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, indipendentemente dal verificarsi di preclusioni o di decadenze in danno delle parti, dovendo, quindi, motivare sulla mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi laddove sollecitato dalla parte ad integrare la lacuna istruttoria. Tuttavia, come già anticipato nella narrativa di cui sopra, nel caso in esame la Corte di merito non ha ammesso le prove, perchè le ha ritenute, con un giudizio di opportunità rimesso ad un apprezzamento meramente discrezionale a lei riservato, generiche e inidonee a superare le incertezze probatorie esistenti. Peraltro, parte ricorrente deve riprodurre esaurientemente ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dall’art. 366 c.p.c., gli atti processuali dai quali emergeva l’esistenza di una “pista probatoria”, ossia l’esistenza di fatti o mezzi di prova idonei a sorreggere le sue ragioni con carattere di decisività (rispetto ai quali avrebbe potuto e dovuto esplicarsi l’officiosa attività di integrazione istruttoria demandata al giudice di merito), e deve altresì allegare di avere nel giudizio di merito espressamente e specificamente richiesto l’intervento officioso e nella specie non risulta averlo specificatamente richiesto, tale non potendosi considerare la richiesta, formulata ai sensi dell’art. 346 c.p.c., con la quale si è insistito nelle richieste istruttorie ed eccezioni articolate in primo grado. La parte ricorrente, nell’illustrazione della censura, non ha dunque specificato, con riferimento agli elementi ricostruttivi desumibili dagli atti, quali di questi erano idonei ad integrare, con carattere di decisività, la esistenza di una “pista probatoria” qualificata rispetto alla quale appariva doverosa un’integrazione istruttoria mediante l’esercizio dei poteri officiosi. Per non sovrapporre la volontà del giudicante a quella delle parti in conflitto di interessi tra loro e non valicare il limite obbligato della terzietà, è necessario invece che l’esplicazione dei poteri istruttori del giudice venga specificamente sollecitata dalla parte con riguardo alla richiesta di una integrazione probatoria qualificata (cfr. Cass. 29/09/2015 n. 19358, 10/12/2008 n. 29006, 18/06/2008n. 16507 e già Cass. 07/05/2002 n. 7119). D’altro canto, in effetti le asserite violazioni, non meglio illustrate, degli artt. 421,434 e 437 c.p.c., integrano errores in procedendo, però irritualmente denunciate ex art. 360 c.p.c., n. 3, anzichè n. 4, comunque non univocamente in termini di nullità. Ed in proposito nemmeno è stata specificamente denunciata una eventuale violazione del minimo costituzionale circa la motivazione al riguardo svolta, in relazione a quanto previsto dall’art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c.. Nè, parimenti, è stato ritualmente dedotto un eventuale omesso esame, da parte degli aditi giudici di merito, di fatti decisivi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

l’esito negativo dell’impugnazione de qua comporta la condanna al rimborso delle relative spese processuali a carico della parte rimasta soccombente, sussistendo, quindi, anche i presupposti processuali di legge in ordine al versamento dell’ulteriore contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte RIGETTA il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese, che liquida, a favore del controricorrente, in 4000,00 Euro per compensi professionali ed in 200,00 Euro per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2020

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