Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15924 del 29/07/2016


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Cassazione civile sez. II, 29/07/2016, (ud. 08/06/2016, dep. 29/07/2016), n.15924

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7267-2012 proposto da:

TERMOZETA SPA, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZAA

DEL FANTE 2, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI PALMIERI, che

lo rappresenta e difende giusta procura speciale notarile n.

(OMISSIS) del 24/5/2016;

– ricorrente –

contro

B. DESIGN & ENGINEERING SRL IN LIQUIDAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3452/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 12/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/06/2016 dal Consigliere Dott. MIGLIUCCI EMILIO;

udito l’Avvocato PALMIERI Giovanni, difensore della ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Tribunale di Milano rigettava le domande con la quale Termozeta C. s.p.a. aveva chiesto la declaratoria di nullità per indeterminatezza o, in subordine, la risoluzione per inadempimnento della convenuta B. Design & Engeeering s.r.l. del contratto di servizi di progettazione intercorso con essa committente nonchè la condanna alla restituzione dei compensi corrisposti per complessivi Euro 351.106,58 nonchè delle attrezzature; in accoglimento della riconvenzionale proposta dalla convenuta, condannava l’attrice al pagamento degli ulteriori compensi pari a Euro 261.825,32, mentre condannava la convenuta alla restituzione dell’autoveicolo datole in comodato dall’attrice.

La decisione era confermata con sentenza dep. il 12 dicembre 2011 dalla Corte di appello di Milano.

Secondo i Giudici, con l’appello erano state riproposte le argomentazioni formulate dall’attrice circa l’inadempimento e la nullità del contratto che il tribunale con motivazioni persuasive aveva respinto, laddove era stato accertato che l’incarico conferito alla convenuta aveva avuto a oggetto i compiti di invenzione ovvero di sviluppare embrionali modelli di elettrodomestici e non già di confezionare oggetti sulla base di schemi collaudati. Il che aveva trovato conferma nel legame fra le parti (prima con B., persona fisica, poi proseguito con la società convenuta), consolidatosi negli anni dal 1996, atteso che il budget destinato agli svolgimenti del rapporto de quo era andato via via aumentando; d’altra parte, nessuna contestazione era stata mai formulata dalla committente, e neppure la vicenda relativa al progetto (OMISSIS) aveva scalfito il rapporto fiduciario esistente fra le parti.

2.- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione Termozeta C. s.p.a. sulla base di tre motivi illustrati da memoria.

Non ha svolto attività difensiva l’intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. – Il primo motivo denuncia l’omesso esame della questione dedotta con il primo motivo di appello, con cui era stata denunciata la carenza di legittimazione della società convenuta, essendo risultato che la partita IVA e il codice fiscale indicati in comparsa di costituzione e poi nella stessa sentenza qui impugnata non era ad essa attribuibile. Denuncia che erroneamente non era stata disposta la richiesta esibizione delle scritture contabili della convenuta, posto che sarebbe emerso che i crediti pretesi non erano stati indicati nei bilanci e, dunque, dovevano ritenersi saldati.

1.2. Il motivo è infondato.

In primo luogo va osservato che la questione, secondo cui il numero di partita IVA non identificasse la società attrice ma la persona fisica del B., era esposta al fine di valutare la opportunità di dare seguito alla provvisoria esecuzione e seppure era contenuta l’affermazione conclusiva “da quanto sopra ne discende quanto meno un’ incertezza sulla legittimazione e, in subordine, che il credito vantato con la domanda riconvenzionale non esiste per come risulta dalla scritture contabili”, deve escludersi che sia stato formulato, secondo il paradigma di cui all’art. 342 c.p.c., uno specifico motivo di appello volto a contrastare la motivazione della decisione del tribunale; peraltro – e tale rilievo è assorbente di ogni altro – il codice fiscale e il numero di partita IVA non sono elementi identificativi del soggetto e la errata indicazione sotto il profilo in esame è priva di rilievo; d’altra parte, la sentenza ha implicitamente escluso che potesse sussistere alcuna incertezza sulla individuazione del soggetto che era stato evocato in giudizio, peraltro, dalla stessa attrice nella persona della società con la quale era proseguito negli anni il contratto de quo.

Infine, l’ordine di esibizione che peraltro non può essere surrogatorio dell’onere probatorio imposto alla parte di provare i fatti secondo la ripartizione di cui all’art. 2697 c.c., rientra nell’esercizio del potere discrezionale del giudice di merito che non è sindacabile in sede di legittimità.

2. Il secondo motivo denuncia che il tribunale, prima, e la corte di appello, dopo, avevano omesso di motivare in ordine all’assolvimento dell’onere di provare, incombente a carico della convenuta, di avere adempiuto il contratto de quo, non avendo i Giudici fatto riferimento ad alcun concreto elemento, emergente dalla documentazione in atti, attesa la natura di obbligazione di risultato di quella avente a oggetto un progetto, tale non potendo configurasi gli “scarabocchi” apposti sui fogli depositati. In effetti, a stregua del tenore letterale del contratto si trattava di un accordo quadro per l’inizio dello sviluppo di una collaborazione per realizzare piccoli elettrodomestici che l’attrice potesse produrre e commercializzare.

Censura, quindi, la determinazione del compenso posto che nel contratto non era determinato e comunque era superiore a quello che sarebbe stato dovuto, considerando la data del recesso e la circostanza che controparte aveva ammesso di avere ricevuto i compensi fino al luglio 2003.

Il terzo motivo lamenta che, in contrasto con l’art. 1346 c.c., il contratto aveva oggetto indeterminato e impossibile, così come indeterminato era il compenso; il B. avrebbe dovuto conoscere l’impossibilità del contratto alla luce della normativa europea.

4. – Il secondo e il terzo motivo – che, per la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati.

Deve negarsi il vizio di motivazione denunciato. Ed invero, la sentenza ha, in primo luogo, accertato – anche facendo proprie le argomentazioni di cui alla sentenza del tribunale richiamata per relationem – la natura della prestazione dovuta, escludendo, da un lato, che essa si dovesse concretare nella creazione di oggetti e, dall’altro, l’inadempimento addebitato alla convenuta, in considerazione delle modalità del rapporto, concretatosi in un legame di natura fiduciaria protrattosi per una lunga durata e caratterizzato da investimenti addirittura incrementatisi nel tempo, e ciò evidentemente a conferma della reciproca utilità per le parti delle prestazioni, senza che vi fossero state nel tempo contestazioni di sorta.

Per quel che concerne poi quello che sarebbe stato l’oggetto del contratto – indipendentemente dal carattere assorbente delle motivazioni di cui si è detto – la questione si risolve nella denuncia della interpretazione del negozio che ha a oggetto un accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità se non per violazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e ss.. Orbene, le critiche formulate dalla ricorrente non sono idonee a scalfire la correttezza e la congruità dell’iter logico giuridico seguito dalla sentenza: le censure lamentate, in realtà, non denunciano un vizio logico della motivazione ma si concretano in argomentazioni volte a dimostrare l’erroneo apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dai giudici Al riguardo, va sottolineato che il vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza, ai sensi dell’art. 360, n. 5 citato, la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione.

In relazione alla quantificazione del compenso liquidato, la questione appare inammissibile perchè nuova, posto che dalla sentenza impugnata non risulta trattata, per cui la ricorrente avrebbe dovuto dimostrare di averla sollevata con i motivi di appello Il ricorso va rigettato.

Non avendo svolto attività difensiva l’intimata, non va adottata alcuna statuizione sulle spese della presente fase.

PQM

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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