Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15923 del 24/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/07/2020, (ud. 05/06/2019, dep. 24/07/2020), n.15923

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11872/2015 proposto da:

P.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato DAMIANO COSIMO PANTALEO;

– ricorrente –

contro

RADIO COLLE T.R.C. SOCIETA’ COOPERATIVA A.R.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1860/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 17/09/2014 R.G.N. 874/2012.

La CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore.

 

Fatto

RILEVA

che:

con ricorso del 9 marzo 2012 il sig. P.M. (socio lavoratore dal 1991 al 2002) appellava la sentenza pronunciata il 14 dicembre 2011, con la quale il giudice del lavoro di Bari aveva rigettato la sua domanda, volta all’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della convenuta RADIO COLLE TRC soc. coop. a r.l., dal gennaio 1997 a tutto il mese di luglio dell’anno 2002, con conseguente richiesta di condanna al pagamento delle pretese spettanze;

la Corte d’Appello di Bari con sentenza n. 1860 in data tre luglio – 17 settembre 2014 rigettava il gravame interposto dal P., nonchè l’impugnazione incidentale della società, per la parte tesa ad ottenere declaratoria di nullità del ricorso introduttivo del giudizio, accogliendola tuttavia limitatamente alla contestata integrale compensazione delle spese di lite, perciò riformando in parte la gravata pronuncia con la condanna del soccombente alle spese, relativamente anche a quelle di secondo grado;

il sig. P., quindi, ha impugnato la sentenza d’appello come da ricorso per cassazione notificato il 9 aprile 2015 con tre argomentazioni;

RADIO COLLE T.R.C. soc. coop. a r.l. è rimasta intimata e comunale non ha svolto alcuna attività difensiva in proprio favore;

parte ricorrente, sebbene ritualmente avvisata, non ha depositato alcuna memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo il ricorrente ha denunciato violazione ed errata applicazione delle norme di diritto sulla incidentale dichiarata inammissibilità dell’atto d’appello, sostenendo che illegittimamente il gravame era stato dichiarato affetto da vizi d’inammissibilità per aver il ricorrente omesso di indicare i capi di sentenza impugnati “donde promosso i relativi progetti di modifica a norma e per gli effetti della normativa riformatrice recentemente introdotta”, vizio che “seppure superato dalla stessa Corte”, risultava insussistente in quanto la novella dell’agosto 2012 risultava ratione temporis nella specie inapplicapile al ricorso del 9 marzo 2012;

con la seconda doglianza il ricorrente ha lamentato “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su aspetti, anche documentali, decisivi della controversia” in ordine all'”erronea valutazione del governo probatorio di prove dirimenti”;

con la terza argomentazione, infine, il ricorrente ha lamentato la propria condanna alle spese di lite, pur in presenza di autocertificazione attestante la carenza di adeguate risorse economico/patrimoniali di essa pare ricorrente, avuto riguardo alla prodotta relativa documentazione;

in definitiva, secondo il ricorrente, la riduttiva e superficiale indagine conoscitiva da parte dei giudici di merito, aggravata dal frettoloso governo delle risultanze documentali si traduceva in un macroscopico travisamento delle contrapposte pretese e rivendicazioni e quindi in un vizio del processo formativo del libero convincimento e così pure dell’apparato argomentativo, “fortemente condizionato da siffatta predisposizione intellettuale”, all’uopo richiamando non meglio specificata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui nell’ipotesi di travisamento del fatto processuale prevale il principio in base al quale nell’esame delle questioni relative ad error in procedendo la Corte è anche Giudice del fatto, potendo così procedere direttamente all’esame dei relativi atti tanto premesso, il ricorso appare chiaramente inammissibile, sicchè va disatteso mediante corrispondente declaratoria, in primo luogo per carenti allegazioni, però inderogabilmente richieste a norma dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, in violazione quindi degli indispensabili requisiti di specificità e di autosufficienza per la ritualità dello stesso ricorso, mancando compiuta esposizione dei fatti di causa e dello svolgimento processuale unitamente ad idonea riproduzione della documentazione a sostegno della pretesa azionata, nonchè pertinenti confutazioni delle argomentazioni in base alle quali erano state del tutto respinte le richieste dell’attore appellante, già rigettate dal primo giudicante;

inconferente, oltre che infondato, si appalesa inoltre, il primo motivo di ricorso, visto che lo stesso ricorrente ammette che la eccepita inammissibilità del gravame era stata comunque superata dalla medesima Corte distrettuale, la quale infatti, dopo aver rilevato la quasi genericità dell’impugnazione, siccome non supportata da specifici motivi (a tale scopo richiamando anche il principio affermato da Cass. sez. un. 9628 del 1993, di epoca perciò ben anteriore alle modifiche degli artt. 342 e 434 c.p.c., introdotte dal legislatore del 2012, tenuto altresì conto poi che la specificità dei motivi d’appello era già richiesta secondo la precedente formulazione, in part. dell’art. 434, nel senso della necessità di dettagliata critica volta a confutare in modo pertinente le contestate motivazioni della gravata decisione, perciò senza limitarsi a riproporre quanto già dedotto in prime cure), ha ritenuto comunque di poter superare in qualche modo il pur riscontrato vizio formale, rigettando, perciò nel merito, il gravame per aver criticamente e pienamente condiviso la valutazione del quadro probatorio siccome operata in prime cure, osservando altresì in via preliminare che l’onere probatorio incombeva integralmente all’attore, laddove nello specifico all’esito dell’espletata istruttoria non risultava debitamente dimostrata l’asserita subordinazione, quale elemento costitutivo del diritto fatto valere dall’istante P., escludendo altresì ogni potere di eterodirezione da parte del titolare della società. Peraltro, lo stesso ricorrente con il proprio atto introduttivo del giudizio in data 31 luglio 2003 aveva indicato anche, quali prove dimostrative della sussistenza di collaborazione professionale in seno alla cooperativa resistente, “sia pure in chiave disorganica e svincolata dai criteri propri di subordinazioni dettati dal c.c. all’art. 2094, una serie di testi pure soci/collaboratori della stessa, ritualmente sentiti nell’ambito della cornice istruttoria assunta”;

pertanto, in relazione al primo motivo appare anche evidente il difetto ad impugnare ex art. 100 c.p.c., una pronuncia d’inammissibilità del gravame, che per tabulas non vi è stata, essendo stata espressamente superata la relativa eccezione, visto che l’appello sfiorava i limiti della genericità;

per la seconda doglianza, premesso che parte ricorrente ha mancato di precisare e di riprodurre, ai sensi e per gli effetti specialmente dell’art. 366 c.p.c., n. 6, la documentazione, sulla quale pure fonda le proprie censure, d’altro canto inammissibilmente la stessa parte pretende di rivedere il motivato ragionamento decisorio sulla cui scorta la Corte di merito ha giudicato infondato l’appello, ciò che nemmeno è consentito in questa sede di legittimità, alla luce per giunta dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, secondo il testo attualmente vigente, nella specie ratione temporis applicabile in relazione alla sentenza qui impugnata, risalente all’anno 2014. Ne deriva che la censura tende inammissibilmente a confutare gli accertamenti fattuali e le corrispondenti valutazioni compiuti dalla Corte di merito, con più che sufficiente motivazione, indubbiamente non inferiore al c.d. minimo costituzionale occorrente ex artt. 111 Cost., art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. (motivazione peraltro valutabile in sede di legittimità soltanto ove ritualmente censurata univocamente in termini di nullità ex art. 360 c.p.c., n. 4), visto anche che l’attuale formulazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, non fa più riferimento alla motivazione, ma soltanto all’omesso esame di un fatto storico e decisivo, ciò che pure è da escludersi per il caso di specie qui in discussione. Nella specie, peraltro, neppure è ravvisabile l’asserito, ma non meglio ritualmente individuato travisamento dei fatti di causa, laddove d’altro canto il solo travisamento del fatto processuale, attinente cioè ad error in procedendo (nella specie nemmeno ritualmente debitamente denunciato ex art. 360, n. 4), autorizza l’acceso diretto agli atti da parte della Corte di legittimità, sui presupposto tuttavia di idonea autosufficiente allegazione ex cit. art. 366, comma 1, nel caso in esame però, come già detto, del tutto assente;

anche la contestata condanna alle spese di lite, di cui al terzo motivo, dedotto senza alcuna precisa indicazione della norma che risulterebbe violata, si appalesa assolutamente generico nella sua enunciazione (non bastando di certo sul punto il mero riferimento alla documentazione afferente agli anni d’imposta 2010/2014), oltre che chiaramente infondato ed inconferente, attesa l’esauriente e corretta argomentazione sul punto contenuta nella sentenza impugnata circa la soccombenza del P., che nè giustificava pienamente la condanna, in ossequio ovviamente al fondamentale principio vigente in materia ex art. 91 c.p.c., comma 1, laddove pur applicandosi l’art. 92 c.p.c., secondo il testo vigente con riferimento al ricorso introduttivo del 31 luglio 2003, resta affidata alla piena discrezionalità del giudicante ravvisare nello specifico particolari giusti motivi che derogando al suddetto basilare principio inducano, perciò eccezionalmente, a compensare le spese;

trattandosi, poi, di causa di lavoro, non già di previdenza e di assistenza, non rilevano ex artt. 91 e 92 c.p.c., le personali disagiate condizioni economiche della parte, tali da poter giustificare l’esenzione da pagamento delle spese ex art. 152 disp. att. c.p.c.;

dunque, il ricorso va disatteso, peraltro senza pronuncia in ordine alte relative spese, nonostante la soccombenza, visto che la società è rimasta intimata senza svolgere alcuna attività difensiva;

Sussistono, infine, anche i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, atteso l’esito interamente negativo della qui proposta impugnazione principale (a nulla rilevando, invero, per quanto di competenza di questo organo Giudicante, l’anzidetto certificato, in data 17 marzo 2015, dell’Agenzia delle Entrate, relativo agli anni d’imposta 2010/2013. Invero, assume rilievo preliminare che il versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, costituisce oggetto di un’obbligazione che sorge ex lege per effetto del rigetto integrale dell’impugnazione, ovvero della dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità della stessa – “Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso” – dunque presupposti esclusivamente processuali, di cui il giudice deve dare atto, in base all’univoco testo della norma, perciò limitatamente alle ipotesi ivi contemplate di esito interamente negativo della proposta impugnazione. Trattasi, infatti, di obbligazione di natura tributaria dell’obbligazione, che sorge direttamente dalla legge al verificarsi del relativo presupposto, rispetto al quale il provvedimento possiede mera funzione ricognitiva. Il presupposto, in altri termini, è solo quello dianzi menzionato e risultante dalla norma, la quale esige dunque dal giudice unicamente l’attestazione dell’avere adottato una decisione di inammissibilità o improcedibilità o di reiezione integrale dell’impugnazione, anche incidentale, competendo poi in via esclusiva all’Amministrazione di valutare se, nonostante l’attestato tenore della pronuncia, vi sia in concreto, a causa di fattori soggettivi, la possibilità di esigere la doppia contribuzione. Qualora l’Amministrazione constati la prenotazione a debito – come nel caso del patrocinio a spese dello Stato -, le ulteriori deliberazioni rimangono di sua spettanza, tanto è vero che solo contro di esse può estrinsecarsi – se del caso – la reazione della parte, mediante i mezzi di tutela avverso l’eventuale illegittima pretesa di riscossione. Cfr. parimenti Cass. III civ. n. 13055 del 25/05/2018, secondo cui, infatti, il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, esige dal giudice unicamente l’attestazione dell’avere adottato una decisione di inammissibilità o improcedibilità o di “respingimento integrale” dell’impugnazione, anche incidentale, competendo in via esclusiva all’Amministrazione valutare se, nonostante l’attestato tenore della pronuncia, spetti in concreto la doppia contribuzione. Ne consegue che, qualora l’Amministrazione constati l’esenzione o la prenotazione a debito – come nell’ipotesi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato – le ulteriori deliberazioni rimangono di sua spettanza ed è contro di esse che potrà estrinsecarsi la reazione della parte, mediante i mezzi di tutela avverso l’eventuale illegittima pretesa di riscossione, senza che l’attestazione del giudice civile possa leggersi come di debenza della doppia contribuzione, non avendo essa tale oggetto. Del resto, come si evince dalla circolare 8-7-2015 appositamente emanata dal Ministero della Giustizia, gli uffici giudiziari sono ovviamente tenuti a dare esecuzione al provvedimento del giudice che, nel definire il procedimento d’impugnazione, abbia dato atto dell’obbligo di pagamento dell’ulteriore importo pari a quello, ove dovuto, per il ricorso. Nei procedimenti con la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, ogni spesa, anticipata o prenotata a debito, va poi annotata nei registri previsti dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 161, come individuati dal D.M. 28 maggio 2003 e nel correlato foglio notizie ex art. 280 del D.P.R. citato. Ne deriva, poi, che nessuna azione di recupero può essere mai esperita nei confronti della parte ammessa al patrocinio – ciò che risulta pure riconosciuto dallo stesso Ministero della Giustizia con circolare del 7.2.2011 – La prassi ministeriale postula, in questa prospettiva, che, alla definizione della causa, “i funzionari addetti alla tenuta del foglio notizie” debbono curare l’annotazione delle spese ed espletare il successivo controllo ai fini del recupero, provvedendo quindi alla relativa chiusura ed attestando in calce ad essa la presenza o assenza di spese da recuperare. Invero “la sottoscrizione del foglio notizie costituisce assunzione di responsabilità”. La conseguenza è che la cancelleria deve dare esecuzione al provvedimento giurisdizionale, limitando le attività alla mera annotazione dell’importo nel foglio notizie e nel registro. E tuttavia, dopo tale incombente, il foglio notizie, ove perdurino le condizioni che hanno dato origine all’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, va semplicemente chiuso con la dicitura che non vi è titolo per il recupero, considerato che il recupero nei confronti della parte ammessa al patrocinio è esclusivamente previsto nelle ipotesi di revoca del patrocinio o nelle ipotesi normativamente previste di rivalsa D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 134).

P.Q.M.

la Corte dichiara INAMMISSIBILE il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello (ove dovuto, nei sensi di cui alla motivazione che precede) per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 5 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2020

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