Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15922 del 29/07/2016


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Cassazione civile sez. II, 29/07/2016, (ud. 08/06/2016, dep. 29/07/2016), n.15922

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5249-2012 proposto da:

S.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CIRCONVALLAZIONE CLODIA 82, presso lo studio dell’avvocato FABIO

FEDERICO, rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO MARIA DI

NAPOLI;

– ricorrente –

contro

C.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LABICANA 58,

presso lo studio dell’avvocato ELIO MICHELINI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANGELO MINOPOLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1597/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

emessa il 01/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/06/2016 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Il tribunale di Napoli accoglieva l’opposizione proposta da L.M. e S.M. avverso il decreto con il quale era stato loro ingiunto di pagare al perito agrario C.V. la somma di Lire 10.195.000 a titolo di compenso per prestazioni professionali.

Con sentenza del primo aprile 2011 la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della decisione impugnata dall’opposto, condannava la S. al pagamento della somma di Euro 2.471,24, pari a Lire 4.785.000.

Premesso che era ancora in discussione esclusivamente il compenso preteso nei confronti della sola S. limitatamente alla prestazione professionale relativa al giudizio di divisione fra i germani S., i Giudici innanzitutto escludevano che il perito avesse prestato attività di consulente di parte, ritenendo invece che il medesimo aveva svolto la sua opera per la definizione transattiva della lite.

Secondo la sentenza di appello, se non era in contestazione il conferimento dell’incarico, il ruolo in concreto svolto era risultato dalla deposizione del teste Se. che aveva fatto riferimento alla partecipazione del C. ai diversi incontri finalizzati alla conclusione dell’accordo cristalizzato in una bozza poi trasfusa nell’atto pubblico. Peraltro, non risultando il compenso chiaramente convenuto dalle parti, lo stesso andava determinato in base alle tariffe professionali ed era quantificato limitatamente a 55 vacazioni.

2. – Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione S.M. sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso l’intimato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. – Il primo motivo lamenta che la sentenza impugnata aveva fondato la decisione su una domanda nuova, proposta per la prima volta in appello (relativa alla attività esercitata per lo scioglimento della comunione al di fuori del contesto giudiziario) diversa da quella azionata in primo grado che faceva riferimento alla redazione di note tecniche di parte alla consulenza di ufficio nel giudizio di divisione intercorso fra i germani S..

1.2. Il motivo è infondato.

Occorre ricordare che il vizio di ultrapetizione o extrapetizione ricorre quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione (“petitum” e “causa petendi”) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (“petitum” immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (“petitum” mediato). Ne consegue che il vizio in questione si verifica quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori, attribuendo alla parte un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato. Il che certamente è da escludersi nella specie in cui il credito accertato rientrava nell’ambito della richiesta formulata: infatti, con la domanda svolta con il ricorso per decreto ingiuntivo, il C. aveva indicato – fra le diverse prestazioni professionali poste a fondamento del diritto al compenso – incontri e trattative per definizione bonaria della causa pendente fra i germani S., partecipazione alla preparazione della redazione di alcuni atti transattivi; assistenza e presenza in occasione; stipula accordo transattivo dinanzi al notaio Prattico.

2.1. Il secondo motivo lamenta la omessa pronuncia sulla eccezione di novità della domanda proposta per la prima volta in appello.

2.2. Il motivo va disatteso.

Le considerazioni sopra svolte evidenziano la irrilevanza della omessa pronuncia sulla eccezione, attesane la manifesta infondatezza. 3.1. Il terzo motivo censura la motivazione della sentenza laddove aveva affermato che il compenso non era stato chiaramente convenuto, quando con l’interrogatorio reso l’opposto aveva reso confessione circa l’avvenuta pattuizione, posto che essa può risultare da accordo verbale.

3.2. Il motivo è infondato.

Con motivazione immune da vizi logici o giuridici, la sentenza ha indicato le ragioni per le quali non si poteva considerare determinato convenzionalmente il compenso, dovendo escludersi – in considerazione del complessivo tenore delle dichiarazioni rese dall’opposto in sede di interrogatorio formale – che vi sia stata alcuna confessione, posto che il professionista aveva precisato che la iniziale indicazione del compenso per la futura attività di conciliazione si era rivelata del tutto insufficiente rispetto all’attività in concreto espletata e durata alcuni anni. Al riguardo, la Corte ha fatto corretta applicazione dell’art. 2734 c.c. posto che, in tema di confessione giudiziale il valore probatorio della dichiarazione – in essa contenuta – di fatti o circostanze idonee ad infirmare l’efficacia del fatto confessato ovvero a modificarne o estinguerne gli effetti, è, ai sensi degli artt. 2734 c.c. e art. 116 c.p.c., liberamente apprezzato dal giudice, quando tali circostanze o fatti aggiunti alla confessione siano contestati dalla controparte; pertanto, in assenza della prova di un accordo, la sentenza ha determinato il compenso sulla base delle tariffe professionali.

4.1. Il quarto motivo denuncia la ultrapetizione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata laddove aveva liquidato l’onorario in base alle tariffe professionali, quando il C. aveva chiesto la liquidazione che la S.V vorrà liquidare.

4.2. Il motivo è infondato.

Oggetto della domanda era la condanna (petitum immediato) al pagamento del compenso (petitum mediato) preteso in virtù del contratto di opera professionale: la Corte, in accoglimento della domanda, ha per l’appunto liquidato il compenso secondo diritto a stregua di quanto prescritto dall’art. 2233 c.c., non ricorrendo i presupposti per una pronuncia di equità (artt. 113 e 114 c.p.c.), che peraltro non è stata mai richiesta dall’opposto, non potendo considerasi tale la domanda formulata con l’espressione di cui si è detto.

5.1. Il quinto motivo denuncia il vizio di motivazione della sentenza impugnata che, dopo avere escluso il conferimento dell’incarico di consulente di parte e dato per pacifico che la S. si era rivolta al professionista quale persona di fiducia della famiglia, aveva poi riconosciuto l’attività professionale per la conciliazione della lite senza fare comprendere se avesse ritenuto la esistenza o meno dell’incarico professionale. Denuncia l’omesso esame del complessivo contenuto della deposizione Se. che in effetti era conforme all’assunto difensivo della S.. Censura la determinazione del numero di vacazione in assenza di prova, evidenziando al riguardo la carenza di motivazione.

5.2. Il motivo è infondato.

La sentenza ha chiaramente precisato che: a) non risultava provato l’incarico di consulente di parte (e infatti nessun compenso era al riguardo riconosciuto); b) l’incarico aveva piuttosto avuto a oggetto l’attività prestata per la conciliazione del giudizio di divisione definito con transazione anche per l’intervento fattivo del C.. L’attività professionale svolta è stata accertata alla stregua di quanto emerso dalla istruttoria testimoniale, alla quale ha fatto per l’appunto riferimento la motivazione della sentenza impugnata.

Orbene, le critiche formulate dalla ricorrente non sono idonee a scalfire la correttezza e la congruità dell’iter logico giuridico seguito dalla sentenza: le censure lamentate, in realtà, non denunciano un vizio logico della motivazione ma si concretano in argomentazioni volte a sostenere l’erroneo apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dai giudici. Al riguardo, va sottolineato che il vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice ovvero nell’incoerenza logica delle argomentazioni poste a base della decisione, che vanno verificati alla stregua del solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 citato, la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione.

Il ricorso va rigettato.

Le spese della presente fase vanno poste a carico della ricorrente, risultato soccombente.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 1.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1.300,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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