Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15922 del 08/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 08/06/2021, (ud. 08/02/2021, dep. 08/06/2021), n.15922

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. MANCINI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23104/2018 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,

12;

– ricorrente –

contro

B.C., (C.F.), in qualità di legale rappresentante di NEW

MANAGEMENT SA, (C.F.);

– intimato –

contro

ELISMACO S.A., (C.F.), in persona del legale rappresentante pro

tempore;

– intimato –

contro

BU.MA., (C.F.);

– intimato –

contro

C.M., (C.F. (OMISSIS)), in qualità di rappresentante in

Italia per rapporti tributari di ELISMACO SA, (C.F. (OMISSIS)),

rappresentato e difeso dall’Avv. ALBERTO BERTORA, elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della

CORTE di CASSAZIONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale

dell’Emilia Romagna, n. 247/01/18, depositata il 18 gennaio 2018.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dell’8 febbraio

2021 dal Consigliere Relatore Filippo D’Aquino.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Risulta dalla sentenza impugnata che, a seguito di una verifica fiscale nei confronti della società New C. & B. SRL in liquidazione, relativa al periodo di imposta dell’esercizio 2003, a sua volta innescata da una verifica nei confronti di altra società dichiarata fallita, veniva contestata l’interposizione fittizia della società contribuente, finalizzata ad acquisto e rivendita di merce mai consegnata, con conseguente indeducibilità di costi per operazioni oggettivamente inesistenti. Stante l’estinzione della società accertata in data (OMISSIS), venivano emessi avvisi di accertamento a carico dei soci della suddetta, in persona (oltre a un quarto socio estraneo al presente giudizio) di BU.MA., C.M., quale legale rappresentante di ELISMACO SA e B.C., quale legale rappresentante di NEW MANAGEMENT SA. L’Ufficio ha, quindi, recuperato a tassazione IRPEG, IRAP e IVA, in costanza del raddoppio dei termini per l’accertamento, a mente del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57. E’ stata, inoltre, contestata l’omessa applicazione di ritenuta alla fonte sugli utili extracontabili presuntivamente distribuiti ai soci, stante la ristretta base partecipativa della società contribuente, nonchè la responsabilità sussidiaria dei suddetti soci a termini del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36.

A seguito di separati ricorsi dei contribuenti, la CTP di Parma ha accolto nel merito i ricorsi proposti dagli odierni contribuenti in relazione alla ristretta base sociale e alla percezione della quota di partecipazione da parte dei soci, nonchè in ordine alla inesistenza di reddito tassabile.

La CTR dell’Emilia Romagna, con sentenza in data 18 gennaio 2018, previa riunione degli appelli proposti dall’Ufficio, li ha rigettati. Il giudice di appello ha confermato la sentenza di primo grado, ritenendo insussistente la presunzione di percezione di utili extracontabili, alla luce del mancato accertamento della ristrettezza della base sociale, derivante dalla natura dei soci della partecipata, in parte costituiti da società di capitali residenti all’estero, non essendovi prova che la società costituisca mero schermo per i soci. La CTR, con una seconda ratio decidendi, ha ritenuto insussistenti i presupposti per il raddoppio dei termini di decadenza dal potere di accertamento, non essendovi prova del momento nel quale l’amministrazione finanziaria avesse presentato denuncia di reato presso la competente Procura della Repubblica; ciò sul presupposto dell’applicazione retroattiva del D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, art. 2, nella parte in cui prevede l’obbligo di presentazione della denuncia entro il termine di scadenza ordinaria dei termini di accertamento. In fatto, la CTR ha accertato come non presentata alla data del 31 dicembre 2008 la suddetta denuncia penale.

Propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso il solo intimato C.M., il quale ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1 – Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione dell’art. 2909 c.c.. Evidenzia l’Ufficio ricorrente come nel giudizio di appello fosse stata prodotta la sentenza relativa a un analogo accertamento di responsabilità relativamente all’anno di imposta 2002, in relazione al quale il giudice di primo grado si era pronunciato in senso favorevole all’Ufficio, la cui sentenza sarebbe divenuta definitiva per mancata impugnazione. Deduce il ricorrente che, in forza di tale giudicato, sarebbe stata accertata sia l’operatività del raddoppio del termine di decadenza di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, sia la ristrettezza della base partecipativa ai fini dell’operatività della presunzione di distribuzione degli utili in capo ai soci. Il ricorrente trascrive integralmente la suddetta sentenza (CTP di Parma n. 17/03/13 depositata in data 22 gennaio 2013), benchè senza trascrizione del timbro della cancelleria attestante il passaggio in giudicato della suddetta sentenza.

1.2 – Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 36, comma 3, e dell’art. 2495 c.c., comma 2, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto non operante la presunzione di distribuzione degli utili. Deduce il ricorrente che la responsabilità del socio discende dal fenomeno successorio proprio delle società estinte e dal fatto che la presunzione di distribuzione degli utili consegue all’accertamento di redditi occulti in capo alla società. Evidenzia, in particolare, il ricorrente, che il sistema fraudolento cui aveva preso parte anche la società partecipata, oggetto di accertamento, aveva generato notevole liquidità, girata ai soggetti partecipi della frode e, quindi, in quanto tale presumibilmente distribuita ai soci.

1.3 – Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, nella formulazione anteriore alla novella di cui al D.Lgs. n. 128 del 2015, nonchè falsa applicazione della L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 132 (legge di stabilità 2006), nella parte in cui la CTR, nell’adottare la seconda ratio decidendi relativa alla decadenza dal potere impositivo, ha ritenuto tardivo l’accertamento. Evidenzia, tuttavia, il ricorrente, come la suddetta interpretazione sarebbe basata su una erronea interpretazione, in quanto è stata erroneamente fatta applicazione per l’accertamento in oggetto relativo all’anno di imposta 2003 – della disposizione transitoria di cui alla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 132, laddove la legge sopravvenuta fa salvi gli effetti degli avvisi di accertamento notificati alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 208 del 2015.

2 – Va preliminarmente rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per “errata identificazione di ELISMACO come parte del giudizio”, sul presupposto che la società in oggetto avrebbe nominato come rappresentante stabile in Italia il controricorrente C.M.; sicchè – deduce il controricorrente – il ricorso si sarebbe dovuto notificare a quest’ultimo nella sua spiegata qualità e non quale legale rappresentante per l’Italia, aggiungendosi che la procura alle liti conferita al difensore costituito in grado di appello non sarebbe stata rilasciata dal legale rappresentante.

La deduzione è inammissibile, posto che la circostanza riferita dal controricorrente – già parte appellata nel procedimento di appello – non risulta dalla sentenza impugnata, nella quale si è, al contrario, statuito (con accertamento non oggetto di specifica impugnazione e quindi passato in giudicato) che il controricorrente è stato evocato in giudizio quale legale rappresentante della società ELISMACO SA (“Elismaco S.A. legalmente rappresentata da C.M. (…)”).

3 – Il primo motivo è infondato.

3.1 – Si osserva preliminarmente come il giudicato esterno si è formato in data precedente la pubblicazione della sentenza impugnata (la sentenza invocata è stata depositata in data 22 gennaio 2013), se non precedente la decisione della sentenza di primo grado (17 marzo 2016, come indica la sentenza impugnata), sicchè il vizio della sentenza impugnata per contrasto con l’eventuale giudicato esterno si sarebbe dovuto impugnare con il ricorso per revocazione e non con quello per cassazione (Cass., Sez. V, 4 novembre 2015, n. 22506).

3.2 – Manca, inoltre, nel caso di specie sia il giudicato formale, sia il giudicato sostanziale. Quanto al primo aspetto, è principio consolidato quello secondo cui la formazione del giudicato formale può avvenire solo per effetto della produzione della sentenza di cui si invoca il giudicato munita del relativo attestato di cancelleria (Cass., Sez. III, 23 agosto 2019, n. 20974; Cass., Sez. III, 9 marzo 2017, n. 6024; Cass., Sez. Lav., 8 maggio 2009, n. 10623). Mancando la sentenza trascritta (e allegata) della suddetta attestazione, non vi è prova del giudicato formale.

3.3 – Sotto il profilo del giudicato sostanziale, va rilevato che il giudicato verificatosi in un determinato periodo di imposta ha attitudine a proiettare i suoi effetti sull’accertamento della medesima imposta relativo ad altro periodo solo ove l’accertamento si riferisca a elementi costitutivi della fattispecie che assumano carattere permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai diversi periodi si fondi su presupposti di fatto di carattere non permanente (Cass., Sez. V, 19 aprile 2018, n. 9710; Cass., Sez. VI, 26 settembre 2016, n. 18875; Cass., Sez. V, 9 ottobre 2015, n. 20257; Cass., Sez. V, 8 aprile 2015, n. 6953). Parte ricorrente non ha evidenziato in quali termini gli elementi del periodo di imposta sui quali si sarebbe formato il giudicato proietterebbero i loro effetti nel caso di specie, con particolare riferimento alla questione della ristretta base partecipativa. Inoltre, si osserva che la questione dell’esclusione della ristretta base partecipativa non risulta trattata nell’invocato precedente, come non risulta trattata in quel giudizio la questione della applicabilità al caso di specie dello ius superveniens costituito dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, commi 131 e 132.

4 – Il secondo motivo è fondato.

4.1 – E’ accertato nella sentenza impugnata che la società partecipata dagli odierni intimati è società “cartiera”, in quanto soggetto interposto facente parte di un complesso sistema di società, volto alla creazione di maggior valore derivante da cessioni di beni “carosello” mai avvenute, società successivamente estinta. Per tale frode fiscale sono state avviate indagini in sede penale. Non si tratta, pertanto, di un ordinario accertamento di maggiori utili distribuiti derivante dall’accertamento del maggior reddito sociale, bensì dell’accertamento di utili distribuiti ai soci di una società priva di struttura organizzativa (cartiera), interposta nell’ambito di una frode carosello.

L’esistenza di ricavi provenienti da frode non elimina, in questo caso, il ruolo dei propri soci che, a seguito dell’estinzione della società, continuano a rispondere dell’obbligazione della società stessa, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, trattandosi di ricavi provenienti da attività fraudolente, a prescindere dalla ristrettezza della base sociale.

4.2 – Nel qual caso opera il principio – diversamente da quanto accertato nella sentenza impugnata – secondo cui la persona giuridica deve considerarsi in quanto tale una mera fictio, ossia un veicolo creato nell’interesse esclusivo delle persone fisiche che la partecipano quali esclusive beneficiarie del sistema fraudatorio, come avviene nel caso di responsabilità sanzionatoria a termini del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 7, ove non vi è alcuna differenza fra trasgressore e contribuente (Cass., 3 marzo 2021, n. 5776; Cass., Sez. VI, Cass., Sez. VI, 18 aprile 2019, n. 10975; Cass., Sez. V, 28 agosto 2013, n. 19716).

4.3 – Il principio appare, del resto, conforme alla opportunità come indicato nella Raccomandazione UE n. 772 del 2012, paragrafi 4.2 e 4.4 – di un intervento degli Stati membri ove si riscontri “una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione e che comporti un vantaggio fiscale” (Cass., Sez. V, 2 febbraio 2021, n. 224; Cass., Sez. V, 5 dicembre 2019, n. 31772), nel caso in cui si possa ritenere, sulla base di elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi, che la società stessa corrisponde a un’installazione fittizia che non esercita alcuna attività economica effettiva sul territorio dello Stato alla luce, in particolare, del livello di presenza fisica di tale società in termini di locali, di personale e di attrezzature (Corte di Giustizia UE, 26 febbraio 2019, X GMBH, C135/17, punto 82; Corte di Giustizia UE, 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, C-196/04, punti 55, 67 e 68), nonchè ove si evidenzi che scopo essenziale delle operazioni di cui trattasi sia quello dell’ottenimento di un vantaggio fiscale (Corte di Giustizia UE, 26 febbraio 2019, T Danmark, C116/16 e 117/16, punto 79; Corte di Giustizia UE, 22 novembre 2017, Cussens, C.-251/16, punto 53; Corte di Giustizia UE, 21 febbraio 2008, Part. Service, C-425/06, punto 45; Corte di Giustizia UE, 27 ottobre 2011, Tanoarch, C-504/10, punto 52).

4.4 – Nel caso, pertanto, di società costituita allo scopo di beneficiare di utilità provenienti da frode fiscale, non assumono rilievo le rilevazioni ai fini della distribuzione di utili di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, non ostando alla presunzione di distribuzione la natura di soci di capitali (Cass., Sez. VI, 23 ottobre 2019, n. 27049; Cass., Sez. V, 10 giugno 2009, n. 13338), posto che la presunzione di distribuzione degli utili occulti si estende anche a quegli ulteriori livelli di partecipazione (in tesi ristretta) per il tramite di altre società, salva la prova contraria.

4.5 – Del resto, le compagini societarie, laddove operino quali soggetti privi di organizzazione (“cartiere”), non sono certamente un fine in sè ma un mero strumento, mirando cioè a produrre per i soci partecipi quel lucro da attività illecita, dal quale deriva, sul piano logico più che circostanziale in fatto, la presunzione di distribuzione di utili occulti, senza dei quali, in tesi generale, la frode carosello non avrebbe ragion d’essere sulla scorta della normalità dei comportamenti imprenditoriali. Il che evidenzia, inoltre, l’incoerenza logico-giuridica derivante dall’asserzione della CTR che addebita all’Ufficio di non aver provato che la ELISMACO SA e la NEW MANAGEMENT SA “avessero assunto la veste di mero schermo per i propri soci”, in realtà pochi e in posizione apicale. La sentenza non si è attenuta a tali principi e va, dunque, cassata.

5 – Il terzo motivo è fondato nei termini che seguono.

5.1 – Secondo una costante giurisprudenza di questa Corte, il presupposto del raddoppio dei termini per l’accertamento in caso di “violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74,” (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, e D.P.R. n. 633 del 1972, 57, comma 3), è integrato dalla mera sussistenza dell’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.c., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, sicchè, ove il contribuente denunci il superamento dei termini di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, deve contestare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, non potendo mettere in discussione la sussistenza del reato il cui accertamento è precluso al giudice tributario (Cass., Sez. V, 2 luglio 2020, n. 13481; Cass., Sez. VI, 4 novembre 2019, n. 28311; Cass., Sez. VI, 28 giugno 2019, n. 17586; Cass., Sez. V, 13 settembre 2018, n. 22337). Il che è conforme all’insegnamento del Giudice delle leggi, ove osserva che “la lettera della legge impedisce di interpretare le disposizioni denunciate nel senso che il raddoppio dei termini presuppone necessariamente un accertamento penale definitivo circa la sussistenza del reato (..) quest’ultima interpretazione (..) contrasterebbe anche con il vigente regime del cosiddetto “doppio binario” tra giudizio penale e procedimento e processo tributari” (Corte Cost., 25 luglio 2011, n. 247). E’, pertanto, sufficiente ai fini del raddoppio dei termini il riscontro, ex ante, della sussistenza di seri indizi di reato tali da far insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza (Cass., Sez. VI, 14 maggio 2018, n. 11620).

5.2 – Nè incidono retroattivamente, in relazione agli avvisi già notificati, relativi a periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, le modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, nella parte in cui fa salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni e degli inviti a comparire D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 5, già notificati, dimostrando un “favor” del legislatore per il raddoppio dei termini se non incidente su diritti fondamentali del contribuente, quale il diritto didifesa, in ossequio ai principi costituzionali di cui agli artt. 53 e 112 Cost. (Cass., Sez. V, 8 ottobre 2020, n. 21698; Cass., Sez. V, 15 luglio 2020, n. 15001; Cass., Sez. VI, 19 dicembre 2019, n. 33793; Cass., 5 novembre 2019, n. 28356; Cass., Sez. VI, 14 maggio 2018, n. 11620; Cass., Sez. V, 16 dicembre 2016, n. 26037).

5.3 – Diversamente, il motivo si rivela infondato quanto all’IRAP. E’ accertato dalla sentenza impugnata che l’accertamento trae origine da una notizia di reato inoltrata alla Procura della Repubblica di (OMISSIS) e che il raddoppio dei termini abbia riguardato uno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 47. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il raddoppio dei termini previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, non può trovare applicazione anche per l’IRAP, poichè le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali (Cass., Sez. V, 13 gennaio 2021, n. 341; Cass., Sez. VI, 20 maggio 2020, n. 6668; Cass., Sez. VI, 9 marzo 2020, n. 6668; Cass., Sez. VI, 24 febbraio 2020, n. 4742; Cass., Sez. VI, 3 maggio 2018, n. 10483).

La sentenza impugnata non ha, pertanto, fatto corretta applicazione dei suindicati principi in relazione alle imposte dirette e all’IVA, in relazione ai quali va accolto, rigettandolo quanto all’IRAP.

6 – Il ricorso va, pertanto, accolto in relazione ai motivi secondo e terzo, per quanto indicato in motivazione e rinviata alla CTR a quo, anche per la liquidazione delle spese processuali.

PQM

La Corte, rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo e il terzo motivo per quanto in motivazione, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, anche per la regolazione e liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2021

 

 

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