Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15917 del 25/06/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 15917 Anno 2013
Presidente: RORDORF RENATO
Relatore: DI VIRGILIO ROSA MARIA

SENTENZA

sul ricorso 25844-2006 proposto da:

Ud. 15/05/2013
PU

PROCEDURA DI LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA
DELLA SOCIETA’ COOPERATIVA AGRICOLA PIEMONTE POLLI
S.C.A.R.L., in persona dei Commissari Liquidatori

Data pubblicazione: 25/06/2013

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
LUNGOTEVERE MARZIO l, presso l’avvocato VIANELLO
2013
850

LUCA, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato PISTOLESI OSCAR, giusta procura
speciale per Notaio dott. OTTAVIO PILOTTI di
TORTONA – Rep.n. 93655 del 29.9.2009;

-/‘

1

- ricorrente contro

INTESA SANPAOLO S.P.A.
BANCA INTESA S.P.A.
SANPAOLO IMI S.P.A.),

(c.f. 00799960158), già
(che ha incorporato il
in persona del legale

domiciliata in ROMA, VIA BISSOLATI 76, presso
l’avvocato GARGANI BENEDETTO, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato FIORITO ANGELO,
giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1846/2005 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 11/07/2005;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 15/05/2013 dal Consigliere
Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato L. VIANELLO
che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato A.

rappresentante pro tempore, elettivamente

FIORITO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito

il

P.M.,

in

persona

del

Sostituto

Procuratore Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che
ha concluso per il rigetto del ricorso.

2

Svolgimento del processo
La Cooperativa Agricola Piemonte Polli S.c. a r.l. in
liquidazione coatta amministrativa, in persona dei
commissari liquidatori, agiva nei confronti della

CARIPLO, Cassa di Risparmio delle Province Lombarde, e,
premesso che nell’anno anteriore al decreto di messa in
liquidazione coatta amministrativa sui tre conti correnti
della società erano state effettuate rimesse solutorie( e
precisamente, per complessive lire 978.651.693 sul conto
3697/1, per lire 1.911.438.678 sul conto n. 5187/1, e per
lire 1.361.951.182 su quello n.13604) e che la CARIPLO,
alle date degli atti estintivi del suo corrispondente
credito, era consapevole dello stato di decozione della
debitrice, chiedeva la revoca, ex artt.67,2 ° comma e 203
1.f., delle rimesse in oggetto, e la condanna della
convenuta alla restituzione della somma complessiva di
lire 4.252.037.552, oltre gli interessi legali dalla
domanda giudiziale al saldo.
La CARIPLO eccepiva la prescrizione quinquennale e, nel
merito, contestava la fondatezza della domanda.
Il Tribunale di Milano, con sentenza depositata il
15/3/2001, respingeva la domanda e condannava la
Procedura alla rifusione delle spese a favore della
convenuta.

1
3

La Corte d’appello, con sentenza depositata 1’11/7/2005,
ha respinto l’appello della Procedura, condannando la
stessa alla rifusione delle spese alla controparte, negli
importi liquidati.
Nello specifico, e per quanto qui ancora interessa, la

Corte del merito ha rilevato che, con riguardo alle
risultanze de2 bilancio ed alle relative valutazioni del
perito delle Procedura e dei consulenti tecnici nominati
in altri giudizi, non era possibile ritenere che la Banca
avrebbe dovuto rendersi conto ed acquisire
consapevolezza, utilizzando strutture adeguate, della
scorrettezza delle appostazioni, talvolta addirittura
false, e che occorreva valutare il concreto svolgimento
del rapporto, posto che la concessione di ulteriore
credito non sempre vale ad escludere la scientia.
Tanto premesso, la Corte territoriale ha evidenziato che:
l) l’ appostazione “debitori diversi”, di ammontare
trascurabile nei bilanci dal 1986 al 1988, pari a lire
7.100.000.000 in quello del 1989, aumentata a lire
9.100.000.000 nel bilancio del 1990 e diminuita a lire
3.200.000.000 nel bilancio del 1991, poteva essere intesa
nel senso che negli anni 1989-1990, la Cooperativa aveva
incontrato notevoli difficoltà nella riscossione dei
crediti, in parte superate nell’anno successivo;
2) quanto alla voce “fatture da emettere/note credito da
ricevere”, anche a prescindere dalla considerazione che
4

la procedura aveva fatto riferimento agli esercizi
1986/1990, e quindi non all’anno antecedente alla messa
in liquidazione coatta, non era così univoca la
conclusione che si trattava di crediti inesistenti o di
non facile esigibilità, e la non univocità emergeva dalla

stessa alternativa, perché se i crediti erano inesistenti
(ma non si vede come di ciò potesse avere contezza la
Banca), i bilanci avrebbero dovuto essere ritenuti falsi,
se non erano di facile esigibilità, il bilancio era
veritiero e i crediti avrebbero potuto essere riscossi;
3) non era condivisibile l’assunto dell’appellante, del
maggiore rischio di insolvenza nelle cooperative, perché
di solito sottocapitalizzate, caratterizzate da scopo
mutualistico e non di lucro, perché, se fosse stato vero
l’assunto, le banche non avrebbero dovuto iniziare i
rapporti con la cooperativa o comunque li avrebbero
dovuti cessare molto tempo prima;
4)il

fatto

che

la

cooperativa

beneficiasse

di

finanziamenti pubblici per somme ammontanti a diversi
miliardi di lire non si poteva ritenere un fattore
“esogeno” all’impresa, perché la società aveva ottenuto
detti finanziamenti in conformità a legge, e avrebbe
verosimilmente continuato ad ottenerli se, a seguito di
ispezione e revisione della Confederazione delle
cooperative italiane nell’ottobre del 1992, non fossero
emerse le gravi irregolarità che avrebbero condotto alla
5

messa in liquidazione, né sussisteva alcuna prova che la
CARIPLO fosse venuta a conoscenza del verbale di
revisione del 29/10/92, evidenziante la crisi della
cooperativa, prima della chiusura dei rapporti bancari,
avvenuta circa un mese dopo;

5) dalle stesse allegazioni dell’appellante emergeva che
tutte le banche, tranne la Cassa di Risparmio di Saluzzo,
avevano continuato ad avere rapporti con la Cooperativa,
mentre non era provato che della revoca degli affidamenti
da parte della Cassa di Risparmio di Saluzzo fosse venuta
a conoscenza la CARIPLO, non essendo sufficiente il
riferimento alla Centrale Rischi presso la Banca
d’Italia;
6) a parte la prospettiva dei finanziamenti pubblici, la
Liquidazione non aveva indicato il motivo per cui le
banche, ove consapevoli dello stato di decozione della
società e in particolare dell’asserita falsità di alcune
rilevanti poste di bilancio, avrebbero continuato a
tenere rapporti con la cooperativa;
7)

dall’esame degli estratti conto prodotti dalla

Liquidazione Coatta, emergeva che nel 1992, la Banca non
aveva tenuto comportamento inteso al rientro, anzi detti
estratti conto

mostravano un fisiologico andamento

altalenante, caratterizzato anche da incrementi del saldo
negativo;

-/t
6

8) come evidenziato dal Tribunale, per il conto 3697/1, a
metà aprile 1992, l’indebitamento si aggirava sui 110130 milioni di lire, all’inizio di giugno dello stesso
anno aveva superato i 400 milioni, per scendere a
settembre a circa 200 milioni, e risalire ad ottobre ad

oltre 350 milioni di lire: se la Banca avesse avuto la
percezione dello stato di dissesto ad aprile o settembre,
avrebbe interrotto i rapporti, e non avrebbe aumentato la
sua esposizione debitoria, e tante altre banche avevano
continuato a confidare nella solvibilità della società;
9) per il conto 5187/1, come esattamente rilevato dal
Tribunale, dagli estratti conto emergeva un andamento
fisiologicamente altalenante sino a ridosso della
chiusura, mentre non appariva significativo l’andamento
del conto 13606, chiuso a giugno 1992; nell’ultimo mese
di operatività del conto 5187/1, come rilevato dal
Tribunale, la Banca aveva accettato 19 assegni emessi
dalla Cooperativa, nonché effetti per lo sconto con
anticipazione del

relativo controvalore ed aveva

rilasciato diversi libretti di assegni, circostanze
denotanti ulteriormente la fiducia della CARIPLO e
l’assenza della volontà di rientro.
Avverso detta pronuncia ricorre la Procedura, con ricorso
affidato ad un unico motivo.

7

Si difende con controricorso Intesa Sanpaolo s.p.a., già
Banca Intesa s.p.a.,società incorporante per fusione la
CARIPLO, con effetti verso i terzi dal 31 dicembre 2000.
Motivi della decisione
1.1.- Con l’unico motivo del ricorso, la Liquidazione

Coatta denuncia il vizio di omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio, concernente la ricorrenza
dell’elemento soggettivo della scientia decoctionis.
Sostiene la ricorrente che la Corte d’appello, quanto
all’ elemento costituito dalla prosecuzione dei rapporti,
si è basata sull’erroneo presupposto dell’aumento
dell’esposizione

debitoria

nel

corso

del periodo

sospetto, mentre il saldo dei conti correnti, su cui sono
state registrate le operazioni oggetto di revocatoria,
non è di per sé rappresentativo della complessiva entità
dei rapporti di dare e avere, intercorrendo tra le parti
rapporti ulteriori non risultanti dagli estratti conto,
ed a riguardo, evidenzia le operazioni di giroconto, che
involgono conti correnti diversi da quelli noti alla
Procedura e verosimilmente sarebbero riferibili a
presentazione salvo buon fine di effetti o documenti
commerciali, con la conseguenza che l’effettività degli
accrediti sarebbe stata condizionata al buon fine
dell’operazione, che non risulta dagli estratti conto.

8

La Corte del merito inoltre non ha provveduto alla
disamina complessiva dell’andamento dei tre conti(vedi
pag.25 sentenza) e non ha particolare pregio la
circostanza che la Banca abbia provveduto a pagare gli
assegni della Cooperativa anche nel periodo più prossimo

alla messa in liquidazione coatta.
E’ stata ignorata l’analisi del bilancio, a prescindere
dalla fittizietà delle poste, che conduceva a ritenere la
società in stato di insolvenza già in base al bilancio
chiuso al 31/12/1990, sulla base di un’ analisi di
carattere istituzionale; la Corte d’appello ha valutato
solo la voce “debitori diversi” e non anche le
sopravvenienze attive, ed ha trascurato di considerare
che l’ipotizzata difficoltà di riscossione avrebbe
richiesto l’appostazione di un fondo di svalutazione
almeno del 10%, da cui l’emergere di perdite di esercizio
di ammontare miliardario.
Secondo la ricorrente, l’argomentazione della Corte del
merito è basata sul’equivoco di fondo di ritenere che
solo con un bilancio evidenziante perdite significative
si potesse provare la scientia decoctionis; significativa
deve ritenersi la voce “fatture da emettere/note credito
da ricevere”, che evidenzia la sussistenza di un credito
plurimiliardario verso i soci conferenti, e nei cui
confronti la Cooperativa era ulteriormente creditrice per

9

la sottoscrizione dell’aumento di capitale deliberato nel
1988 e parzialmente eseguito.
Quanto ai finanziamenti pubblici, non erano a fondo
perduto o a copertura perdite, ma servivano a supportare
specifiche iniziative, in ogni caso costituivano una

fonte di finanziamento incerta ed eventuale, non
ordinaria; nel bilancio del 1991 era stato contabilizzato
il contributo ministeriale di 3,240 miliardi, non ancora
erogato e scorrettamente inserito tra le sopravvenienze
attive.
Secondo la ricorrente, la Banca era ben al corrente che
la Cooperativa stava per percepire finanziamenti pubblici
ed era in attesa di rientrare, e tale circostanza denota
una conoscenza approfondita dei fatti della Cooperativa
da parte della Banca.
Insufficiente è la motivazione sulla ritenuta irrilevanza
della natura cooperativistica.
Il finanziamento pubblico è stata la vera ragione della
prosecuzione dei rapporti da parte dellek CARIPLO e delle
altre banche; oltre al finanziamento di lire
3.240.000.000, la Cooperativa era in attesa di ricevere
altro finanziamento di circa 5 miliardi, che non venne
percepito e verosimilmente determinò il manifestarsi del
dissesto.
Infine, la ricorrente richiama le C.T.U. espletate in
altri giudizi, depositate in atti, e la consulenza di
10

parte prodotta in primo grado, che si sono espresse nel
senso di ritenere riscontrabile lo stato di insolvenza da
parte di un lettore professionalmente qualificato già a
partire dall’esercizio 1989, perlomeno dall’esercizio
1990, anche a prescindere dalla rettifica dei bilanci,

che avrebbe reso ancor più evidenti i dati negativi, ed i
bilanci vengono acquisiti per prassi oltre che in
adempimento di obbligo normativo, dalle banche, che sono
dotate di specifiche conoscenze tecniche, che consentono
di percepire ogni elemento idoneo a desumere gli elementi
indiziari dello stato di decozione.
2.1.- Il motivo di ricorso deve essere ritenuto
inammissibile.
In materia di revocatoria di rimesse bancarie, quanto
alla conoscenza dello stato d’insolvenza da parte della
Banca, è stato più volte affermato che la qualità di
banca di colui che entra in contatto con l’insolvente
rileva, non di per sè, neppure se correlata al parametro,
del tutto teorico, del creditore avveduto, ma solo in
presenza di concreti collegamenti di quel creditore con i
sintomi conoscibili dello stato di insolvenza; in tal
senso dovendosi dare rilievo ai presupposti ed alle
condizioni in cui si è trovato ad operare, nella
specifica situazione,

l’acciplens,

ed in quest’ambito

anche all’attività professionale da esso esercitata ed
alle regole di prudenza ed avvedutezza che caratterizzano
11

concretamente, indipendentemente da ogni doverosità,
l’operare della categoria di appartenenza; da ciò
consegue che la prova va accertata non in ragione della
mera qualità professionale della banca, ma sulla base
dell’esistenza di segni esteriori dello stato di

insolvenza quali notizie di stampa, risultati del
bilancio, protesti, esecuzioni, ecc., e sulla percezione
di tali sintomi da parte di quel soggetto
professionalmente

qualificato

(così

pronunce

le

8827/2011, 2557/2008, 1719/01).
La Corte del merito, attenendosi a tali principi, ha
ampiamente dato ragione del proprio convincimento,
esaminando i diversi elementi probatori, valutandoli
partitamente, collocandoli nello svolgimento concreto dei
rapporti tra Cooperativa e Banca, e pervenendo alla
conclusione della non univocità o gravità degli stessi.
Le prime censure che la ricorrente muove alla motivazione
della sentenza impugnata sono intese a far valere la
mancata considerazione che il saldo dei conti correnti in
oggetto non fosse di per sé rappresentativo della
complessiva

entità

intercorrendo altri

dei

rapporti

rapporti,

tra

le

parti,

facendo valere una

deduzione generica.
Nel resto, la parte si duole della svalutazione ad opera
della Corte d’appello degli elementi addotti a prova del
proprio assunto o del fatto che alcuni di essi siano
12

stati ignorati dal Giudice del merito, per inferirne che,
ove correttamente e congruamente valutati, sarebbero
stati idonei a supportare e provare la

sci entia

decoctionis da parte della Banca: è palese il profilo
dell’inammissibilità delle censure, atteso che la parte

vorrebbe far valere una diversa valutazione di merito
rispetto a quella fornita dalla sentenza impugnata, e
sollecitare il riesame da parte di questa Corte della
documentazione in atti, che è invece preclusa in questa
sede.
Ed infatti, il giudice di merito, mentre è libero di
attingere il proprio convincimento utilizzando gli
elementi probatori che ritiene rilevanti per la sua
decisione, non è obbligato a prendere in esame e
disattendere analiticamente tutte le risultanze
processuali prospettate dalle parti, essendo sufficiente
che egli abbia indicato gli elementi posti a fondamento
della statuizione adottata, onde risultino confutati per
implicito quelli non accolti o non menzionati, a
condizione che risulti logicamente giustificato il valore
preminente accordato agli elementi da lui utilizzati
(Cass., 6956/95; Cass. 2008/96; Cass. 3904/00), e la
scelta degli elementi che costituiscono la base della
presunzione ed il giudizio logico con cui dagli stessi si
deduce l’esistenza del fatto ignoto costituiscono un
apprezzamento di fatto, che, se adeguatamente motivato,
13

sfugge al controllo di legittimità (Cass. n. 5332 del
2007;

n.

27284

2006;

del

n. 21745 del 2006; n. 1216 del 2006), rimanendo
ammissibile il solo controllo sulla coerenza, congruenza
e logicità della relativa motivazione.

Procedendo dalle citate, corrette, premesse, la sentenza
ha argomentato partitamente in relazione agli elementi
• probatori centrali, fatti valere dalla Procedura,
fornendo una motivazione completa e coerente nella
valutazione degli indizi, condotta al fine di ritenere
provata la conoscenza, e non l’astratta conoscibilità,
dello stato di insolvenza da parte dalla Banca, ed
escludendola in concreto, alla stregua della valutazione
della società, nello specifico avente natura
cooperativistica
considerazione
.

e
delle

non

scopo

risultanze

lucrativo;
dei

bilanci,

della
non

univocamente denotanti lo stato di insolvenza; della
continuazione

dei

rapporti

e

degli

andamenti

“altalenanti” degli stessi, considerati sia
analiticamente che nel complesso, per congruamente
pervenire all’esclusione della valenza sintomatica degli
elementi probatori considerati.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese del presente giudizio, liquidate come in
dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
14

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la
ricorrente al pagamento del compenso, liquidato in euro
12.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi; oltre accessori
di legge.

Il Consigliere est.

Così deciso in Roma, in data 15 maggio 2013

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