Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15915 del 26/06/2017
Cassazione civile, sez. VI, 26/06/2017, (ud. 16/03/2017, dep.26/06/2017), n. 15915
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14567-2016 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e
difende ope legis;
– ricorrente –
contro
M.E.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 6468/6/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE di ROMA, depositata il 09/12/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 16/03/2017 dal Consigliere Dott. LUCA SOLAINI.
Fatto
FATTO E DIRITTO
Con ricorso in Cassazione affidato a due motivi, nei cui confronti la parte privata non ha spiegato difese scritte, l’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza della CTR del Lazio, relativa a una mancata risposta a un’istanza di richiesta di annullamento parziale in autotutela, relativamente all’imponibilità ai fini Irpef di canoni di locazione riguardanti l’annualità precedente alla risoluzione contrattuale per sfratto per morosità. L’ufficio ha denunciato, con il primo motivo, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18, 19 e 21 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, erroneamente i giudici d’appello avrebbero ritenuto impugnabili gli atti di diniego di autotutela tributaria, anche allorchè essi si estrinsechino nella forma del silenzio-rifiuto.
Con il secondo motivo di ricorso, l’ufficio denuncia la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 26 (nella versione vigente a seguito delle modifiche di cui alla L. n. 431 del 1998), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, la risoluzione del contratto di locazione, i cui canoni il contribuente aveva percepito o avrebbe potuto percepire nel 2007 era intervenuta solo nel corso del 2008, pertanto, nella vicenda, poteva essere riconosciuto solo un credito d’imposta di pari ammontare, che doveva essere richiesto, ricorrendone i presupposti, nella dichiarazione dei redditi dell’anno successivo.
Il Collegio ha deliberato di adottare la presente decisione, con motivazione semplificata.
Il primo motivo di ricorso è fondato, con assorbimento del secondo.
E’, infatti, insegnamento di questa Corte, quello secondo cui “In tema di contenzioso tributario, il sindacato giurisdizionale sull’impugnato diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo” (Cass. n. 3442/15, ord. 25524/14, 26087/14).
Nel caso di specie, l’atto di diniego di autotutela tributaria era l’oggetto del ricorso in primo grado (v. sentenza CTP, pp. 3, 4 e 5 del ricorso), con il quale la parte contribuente mirava a rimettere in discussione la pretesa tributaria, rappresentato dall’avviso bonario di liquidazione, alla stessa notificato ben prima di avanzare l’istanza di autotutela e non impugnato nei termini.
Va, conseguentemente accolto il ricorso, cassata senza rinvio l’impugnata sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, ex art. 384 c.p.c., rigettato l’originario ricorso introduttivo.
Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di merito, ponendosi a carico dell’intimata le spese del giudizio di legittimità secondo soccombenza.
PQM
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente.
Dichiara compensate le spese del giudizio di merito e condanna il contribuente intimato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 marzo 2017.
Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2017