Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15914 del 29/07/2016


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Cassazione civile sez. II, 29/07/2016, (ud. 12/05/2016, dep. 29/07/2016), n.15914

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25651 – 2011 proposto da:

S.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’Avv. MAURO DAVIN;

– ricorrente –

contro

B.A. C. F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA VALSAVARANCHE 46 SC D INT 5, presso lo studio dell’avvocato

MARCO CORRADI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ANNA MARIA POSSETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2386/2010 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 29/11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/05/2016 dal Consigliere Dott. MIGLIUCCI Emilio;

udito l’Avvocato Corradi Marco anche in delega per l’Avv. Possetti

Anna Maria difensori del controricorrente e chiede il rigetto del

ricorso riportandosi agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Tribunale di Rovigo rigettava la domanda, con cui B.A. aveva chiesto nei confronti di S.S. la condanna al pagamento della somma di Lire 92.086.66, pari alla differenza fra quanto ricevuto e quanto a lei spettante relativamente ai depositi bancari cointestati alle parti, deducendo che la suddivisione delle somme, seppure avvenuta in base a ordini di scarico disposti nei confronti della Banca e sottoscritti anche da essa istante, era frutto di errore nel quale era stata indotta dal convenuto ed ex convivente, posto che ella aveva diritto al 50% delle somme depositate.

Con sentenza dep. il 29 novembre 2010 la Corte di appello di Venezia, in riforma della decisione impugnata dall’attrice, ne accoglieva la domanda.

I Giudici ritenevano quanto segue.

– Non era emerso che i titoli fossero stati acquistati in prevalenza con denaro del convenuto o con proventi derivanti dai beni personali, essendo piuttosto emerso che i correntisti vi avevano contribuito in èguale misura;

– stante la presunzione di parità delle quote sancita dall’art. 1101 c.c., sarebbe stata necessaria – ma non era stata raggiunta – la prova di un accordo intercorso fra i medesimi in merito a una diversa suddivisione dei titoli, non fornendo alcun elemento utile in tal senso gli ordini di scarico sottoscritti da entrambe le parti, atteso che dagli stessi non era desumbile la volontà circa la destinazione delle somme così come effettuata dalla Banca, che aveva trasferito titoli per Lire 250 milioni su un conto corrente intestato al convenuto e Lire 80 milioni a favore dell’attrice;

– dovendo trovare applicazione la presunzione di cui all’art. 1854 c.c., i titoli andavano ripartiti per quote uguali, per cui l’attrice, ex art. 2033 c.c., aveva diritto alla restituzione delle maggiori somme percepite dal convenuto.

2. – Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione S.S. sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso l’intimata, depositando memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata laddove, dopo avere affermato la esistenza di un accordo sulla divisione, aveva poi ritenuto che la convenuta non ne sarebbe stata consapevole, dando così rilievo a un vizio del consenso(l’errore in cui sarebbe incorsa l’attrice); in realtà, era stata l’appellante a chiedere e a sottoscrivere gli ordini di scarico rivolti ala Banca. Erroneamente la Corte aveva escluso il raggiungimento della prova dell’accordo delle parti circa la suddivisione degli importi in questione, che era invece risultata dimostrata: in effetti, sarebbe stata l’attrice a dovere provare l’asserito ma non dimostrato vizio del consenso.

2. Il secondo motivo censura la sentenza impugnata che, nell’accogliere la domanda ex art. 2033 c.c., aveva posto a base della decisione un vizio del consenso (errore) diverso da quello denunciato (violenza e dolo), mai dimostrato dall’attrice, che doveva provarlo. Non sussistevano i presupposti di cui al citato art. 2033, posto che lo spostamento patrimoniale trovava fonte e giustificazione nel pacifico accordo intercorso fra le parti. Eventualmente l’attrice avrebbe dovuto dimostrare il vizio del consenso e chiedere l’annullamento dell’accordo a fondamento della pretesa azionata.

3. Il terzo motivo deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata che, pur avendo ritenuto provato l’accordo per la suddivisione delle somme depositate, aveva poi escluso la prova della volontà di operarne la divisione in misura diversa nonostante che ciò non fosse stato denunciato dall’attrice, la quale in realtà aveva dedotto di essere stata coartata nella volontà, senza peraltro assolvere all’onere probatorio a lei incombente; osservava che la Corte si era limitata all’esame degli ordini di scarico, senza tenere conto della complessiva operazione compiuta dai correntisti e delle disposizioni dai medesimi dati alla Banca per l’assegnazione delle quote e l’apertura di due distinti conti correnti; oltretutto i Giudici non avevano fatto riferimento alla divisione delle somme esistenti sul libretto, che non era stato oggetto degli ordini di scarico, ai quali aveva fatto esclusivo cenno la sentenza.

4.1 motivi – che, per la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati.

Con accertamento di fatto, immune da vizi logici o giuridici, la sentenza impugnata ha verificato che non risultava provato l’accordo su una divisione delle somme depositate secondo quote diverse da quelle previste dagli artt. 1101 e 1854 c.c.; in proposito ha chiarito che gli ordini di scarico non contenevano alcuna indicazione sulla diversa destinazione dei titoli e non era in alcun modo possibile stabilire la consapevole volontà in tal senso dell’attrice: i Giudici hanno escluso che fosse stata dimostrata la volontà dell’attrice di operare una divisione con la destinazione di fatto operata ovvero secondo quote diverse da quelle alla medesima spettante per legge. Pertanto, è da escludere alcuna contraddittorietà della motivazione; neppure può ritenersi che la domanda sia stata accolta in base a un vizio del consenso (errore) in cui sarebbe incorsa l’attrice, posto che nessun accordo sulla ripartizione delle somme è stato ritenuto provato.

Orbene, le critiche formulate dal ricorrente non sono idonee a scalfire la correttezza e la congruità dell’iter logico giuridico seguito dalla sentenza: le censure lamentate, in realtà, non denunciano un vizio logico della motivazione ma si concretano in argomentazioni volte a sostenere – attraverso la disamina e la discussione delle prove raccolte – l’erroneo apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dai giudici. Al riguardo, va sottolineato che il vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato ovvero alla sua incoerenza logica, quale risulti dalle stesse argomentazioni del giudice, e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza, ai sensi dell’art. 360 n. 5 citato, la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione. soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione.

Non essendovi alcuna ragione che avesse giustificato l’assegnazione delle somme in misura superiore alla metà, correttamente la sentenza ha ritenuto provata la domanda formulata ex art. 2033.

5.1. Il quarto motivo denuncia che nel dispositivo non era stata indicata quale domanda fosse stata accolta, tenuto conto che con la domanda principale era stata chiesto l’annullamento per vizio del consenso del riparto dei titoli con conseguente restituzione della differenza fra quanto dovuto e quanto ricevuto e, in subordine, tale restituzione era stata pretesa ex art. 2033 c.c..

5.2. Il motivo è infondato.

Premesso che la natura precettiva della sentenza si determina verificando il contenuto del dispositivo alla luce della motivazione, nessun dubbio sussiste sulla domanda che è stata accolta con riferimento all’indebita percezione – ex art. 2033 c.c., – di somme maggiori di quelle che sarebbero spettate all’attrice in considerazione della parità della quote della comunione relativa ai depositi cointestati.

Il ricorso va rigettato.

Le spese della presente fase vanno poste a carico del ricorrente, risultato soccombente.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore della resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per onorari di avvocato oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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