Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15914 del 24/07/2020

Cassazione civile sez. II, 24/07/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 24/07/2020), n.15914

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – rel. Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21250/2019 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI OTTAVI N.

9, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO SCARINGELLA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABIO LOSCERBO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER RICONOSCIMENTO

PROTEZIONE INTERNAZIONALE BOLOGNA;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata il

06/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/02/2020 dal Presidente Dott. FELICE MANNA.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

C.A., cittadino del (OMISSIS), proponeva ricorso innanzi al Tribunale di Bologna avverso la decisione della locale Commissione territoriale, che aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale o umanitaria.

Il Tribunale respingeva il ricorso. Per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, detto giudice riteneva che la vicenda personale narrata dal richiedente evidenziasse una storia di migrazione per motivi essenzialmente economici, inidonei a fondare tanto il riconoscimento dello status di rifugiato, quanto la protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Quanto alla domanda subordinata di protezione umanitaria, il Tribunale osservava che non erano stati segnalati nè problemi di salute del richiedente nè altre ipotesi di sua vulnerabilità; e che, quanto alle pregresse condizioni di vita, dovevano richiamarsi le generiche dichiarazioni del richiedente, che non davano atto di una situazione di povertà ai limiti della sussistenza, da valutare unitamente alla situazione attuale del Paese di provenienza. Osservava, infine, che il pur apprezzabile percorso di integrazione sociale che questi aveva portato avanti, non era di per sè solo sufficiente, in quanto non accompagnato da specifici indicatori oggettivi e soggettivi del bisogno di tutela. Ove rientrato in (OMISSIS), il richiedente non sarebbe andato incontro ad una compromissione dei suoi diritti al di sotto della soglia di rispetto minimo della dignità umana.

Per la cassazione di tale provvedimento il richiedente propone ricorso, affidato a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Il primo motivo denuncia, in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, con contestuale vizio di motivazione in ordine alla mancata considerazione della credibilità delle dichiarazioni del ricorrente e l’omesso esercizio dei poteri informativi officiosi. Il richiedente, si legge nel motivo, ha reso dichiarazioni tempestive, precise e sorrette da elementi certi di conferma, per cui il Tribunale avrebbe dovuto valutarle attendibili e credibili e, conseguentemente, avrebbe dovuto esercitare i poteri di cooperazione istruttoria, acquisendo informazioni aggiornate sul Paese di provenienza del ricorrente.

2. – Il secondo motivo espone, sempre in rapporto dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 11 e 17, in base ai quali il riconoscimento dello status di rifugiato si ha in presenza di una valutazione positiva secondo quanto stabilito dagli artt. 3, 4, 5 e 6 stesso D.Lgs.. Pertanto, difformemente da quanto ritenuto dal Tribunale, il giudice di merito è tenuto a valutare tutti gli elementi del caso concreto e non basarsi sulla ritenuta non credibilità o meno del soggetto richiedente, in quanto, in tal modo, si verterebbe in un’ipotesi d’assoluta indeterminatezza dei criteri con cui il giudicante valuta accordabile la protezione.

3. – Il terzo motivo lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, relativamente alla mancata indicazione del riferimento di legge in base al quale la mancanza di credibilità impedisca il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria.

4. – Anche il quarto motivo (che come i precedenti è indicato con una lettera dell’alfabeto, ma designato sub lett. “e” invece che “d”) deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, relativo alla domanda di protezione umanitaria. Parte ricorrente sostiene che la motivazione del decreto impugnato sarebbe apparente; che “ovviamente il racconto e le testimonianze effettuati dal richiedente tale protezione devono essere credibili nel senso letterale della parola, ma non vi è una specifica norma di legge che imponga una verifica preliminare in tal senso per la successiva applicazione”; che il permesso di soggiorno per motivi umanitari, previsto dal T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, ha portata generale ed è posto a chiusura del sistema complessivo che disciplina l’ingresso e il soggiorno degli stranieri nel territorio dello Stato; che esso ha la finalità di tutelare fattispecie concrete che non trovano compiuta corrispondenza in quelle astratte previste dal citato T.U.; che nel caso di specie si rinvengono compiutamente gli elementi richiesti, e cioè una situazione di pericolo attuale, una minaccia personale e grave danno qualora il richiedente dovesse far rientro nel Paese d’origine; e che il Tribunale non ha preso in considerazione gli elementi portati dalla difesa del richiedente.

5. – Col quinto mezzo è dedotta, in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la “violazione o falsa applicazione di legge omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, relativamente al permesso di soggiorno per motivi umanitari”. Il motivo richiama la natura della protezione umanitaria, la mancanza di tipizzazione della stessa, i connessi obblighi internazionali, il diritto di ogni individuo alla libertà dalla fame, come previsto dall’art. 11 del Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (ratificato con L. n. 881 del 1977), il concetto di vulnerabilità, quale desumibile anche dalla L.R. Emilia Romagna n. 14 del 2014, per poi concludere che, nella specie, il richiedente – come riconosciuto nello stesso decreto impugnato – ha dimostrato, per un verso, l’attività lavorativa svolta in Italia, e per l’altro le rimesse economiche effettuate in favore dei congiunti rimasti in (OMISSIS), i quali non costituiscono una rete familiare da cui egli potrebbe trarre sostegno in caso di rientro in patria.

6. – Tutti i motivi sono variamente inammissibili.

6.1. – I primi tre, da esaminare congiuntamente per la comune inerenza al tema della credibilità del richiedente, non colgono la ratio decidendi del provvedimento impugnato. Quest’ultimo ha respinto la domanda di protezione internazionale unicamente perchè, stando proprio e solo alle dichiarazioni del richiedente, le ragioni essenzialmente economiche della sua migrazione non erano idonee a giustificarla sotto il profilo del rifugio e della sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

6.2. – Il quarto motivo è inammissibile sia perchè suppone come ancora denunciabile il vizio motivazionale secondo il testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, antecedente alle modifiche del D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012 (e per soprammercato riferito ad una quaestio iuris e non facti); sia perchè in maniera del tutto apodittica lamenta come apparente una motivazione più che esplicitata; sia per la sua totale inconcludenza in rapporto alla fattispecie, cui continua a riferire un’inesistente questione di credibilità del racconto del richiedente; sia per la confusione di profili diversi (danno grave, che è nozione omogenea alla protezione sussidiaria, e atipicità della protezione umanitaria); e sia in quanto, in definitiva, opera una mescolanza di censure tra loro incompatibili (sulla cui inammissibile proposizione in un medesimo mezzo, v. per tutte n. 26874/18).

6.3. – Analoga causa d’inammissibilità affligge il quinto mezzo, che riproduce una non più consentita mozione di controllo della sufficienza motivazionale, cui adde quella di dedurre, altresì, una non pertinente violazione di legge regionale, visto che la potestà legislativa in materia spetta allo Stato, e non già alle regioni, ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 2, lett. a).

7. – In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

8. – Nulla per le spese, non avendo il Ministero dell’Interno svolto attività difensiva.

9. – Ricorrono i presupposti processuali per il raddoppio, a carico del ricorrente, del contributo unificato, se dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Sussistono a carico del ricorrente i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2020

 

 

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