Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15913 del 29/07/2016


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Cassazione civile sez. II, 29/07/2016, (ud. 10/05/2016, dep. 29/07/2016), n.15913

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 21205 – 2011 R.G. proposto da:

CONDOMINIO (OMISSIS), di viale Mercurio, n. 84, Lesina Marina –

p.i.v.a. 93016100716 – in persona dell’amministratore pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, alla via Celimontana, n. 38,

presso lo studio dell’avvocato Benito Piero Pananti che

congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato Vittorio Castriota lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

D.M.F. – c.f. (OMISSIS) – rappresentato e difeso in

virtù di procura speciale in calce al controricorso dall’avvocato

Umberto Ippolito ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via

Enrico Tazzoli, n. 2, presso lo studio dell’avvocato Antonella Di

Gioia;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 703 dei 26.5/23.6.2010 della corte d’appello

di Bari;

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 10

maggio 2016 dal consigliere Dott. Abete Luigi;

Udito l’avvocato Benito Piero Panariti per il ricorrente;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Lucera depositato il 9.3.2000 il condominio “(OMISSIS)” di viale (OMISSIS) esponeva che era creditore per la somma di Lire 9.290.936 di D.M.F., per spese straordinarie relative a due distinte unità immobiliari ricomprese nello stabile condominiale di cui il medesimo D.M. era proprietario, il tutto giusta delibera dell’assemblea condominiale in data 7.8.1999 che controparte aveva specificamente approvato.

Chiedeva ingiungersi il pagamento della somma anzidetta.

Con Decreto n. 13 del 2000 il tribunale di Lucera pronunciava l’ingiunzione siccome domandata, oltre interessi e spese.

Con atto di citazione ritualmente notificato D.M.F. proponeva opposizione. Deduceva che non era ricompreso tra i condomini morosi, quali indicati nel verbale della delibera dell’assemblea condominiale del 7.8.1999.

Instava per la revoca dell’ingiunzione.

Costituitosi, il condominio ricorrente invocava il rigetto dell’opposizione.

Deduceva che nel verbale della delibera dell’assemblea condominiale del 7.8.1999 figuravano quali debitori De.Ma.Fe. e C.L., figlia e genero dell’opponente, che a costui avevano trasferito la proprietà delle unità immobiliari.

All’esito dell’istruzione probatoria, con sentenza n. 65/2004 il tribunale di Lucera rigettava l’opposizione e condannava l’opponente alle spese di lite.

Interponeva appello D.M.F..

Resisteva il condominio “(OMISSIS)”.

Con sentenza n. 703 dei 26.5/23.6.2010 la corte d’appello di Bari accoglieva il gravame, revocava l’ingiunzione di pagamento e condannava l’appellato alle spese del doppio grado.

Esplicitava – la corte di merito – in ordine all’unico motivo, con cui l’appellante aveva censurato il primo dictum, chè aveva affermato l’obbligo di pagamento delle quote condominiali in violazione dell’art. 63 disp. att. c.c., comma 2, – che la natura sostanziale di siffatta disposizione – recante deroga alla previsione generale dell’art. 1104 c.c., comma 3, giacchè atta a circoscrivere la responsabilità solidale ai soli contributi relativi all’anno in corso ed all’anno precedente al subingresso nei diritti di un condomino – importava che “la ricorrenza del requisito temporale (…) fa parte del fatto costitutivo del diritto di credito del condominio” (così sentenza d’appello, pag. 7), sicchè, in dipendenza dei principi in tema di ripartizione dell’onere della prova, era il condominio che doveva “dimostrare, non solo che il credito esiste, ma anche che lo stesso riguarda i contributi relativi al biennio considerato dalla norma de qua” (così sentenza d’appello, pag. 8).

Esplicitava, quindi, che l’appellato condominio non aveva assolto l’onere probatorio su di esso incombente; che invero le risultanze dell’istruttoria espletata in prime cure non consentivano “in alcun modo di stabilire l’epoca dell’attività gestionale concretamente compiuta, nè il momento in cui venne deliberata la spesa per l’intervento di manutenzione delle parti comuni dell’edificio condominiale” (così sentenza d’appello, pag. 9).

Esplicitava, infine, che era da escludere che la solidale responsabilità dell’appellante potesse essere desunta dalla specifica assunzione da parte sua dell’obbligazione di pagamento dei contributi in questione; che, infatti, le dichiarazioni rese dal teste R.F. erano del tutto prive di efficacia probatoria, “stante la sua palese incapacità a testimoniare, per essere parte sostanziale nel presente giudizio, in quanto condomino” (così sentenza d’appello, pag. 9).

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il condominio “(OMISSIS)”; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese di lite.

D.M.F. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese di lite.

Il controricorrente ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la “violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” (così ricorso, pag. 5).

Deduce che unicamente in grado d’appello il D.M. ha prefigurato “la violazione dell’art. 63 disp. att. c.c., comma 2, in relazione all’art. 1223 c.c., eccezione questa assolutamente nuova, mai neanche accennata nel giudizio di 1^ grado” (così ricorso, pag. 5); che pertanto siffatta prospettazione, in quanto addotta unicamente con l’atto di gravame, “è da considerare senza alcun dubbio assolutamente inammissibile, a mente dell’art. 345 c.p.c.” (così ricorso, pag. 6); che, d’altra parte, già nel corso del giudizio di primo grado si era accertato che la proprietà dei due appartamenti era stata acquisita da D.M.F., sicchè costui ben avrebbe potuto sollevare l’eccezione correlata al disposto dell’art. 63 disp. att. c.p.c., comma 2.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la “violazione e falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” (così ricorso, pag. 7).

Deduce che la corte distrettuale ha reputato il teste R.F. incapace a rendere testimonianza, ancorchè nulla in tal senso fosse stato dedotto nell’atto di appello e neppure nel corso del giudizio di seconde cure, tanto più che, siccome aveva rilevato il primo giudice, il teste R. “non aveva un interesse concreto ed attuale nel giudizio in quanto non rientrava tra i condomini nei confronti dei quali l’assemblea aveva deliberato azioni legali” (così ricorso, pag. 8); che in ogni caso le dichiarazioni rese dal teste R. davano ragione univocamente dell’assunzione delle debitorie da parte del D.M..

Destituito di fondamento è il primo motivo di ricorso.

La corte territoriale ha opinato correttamente allorchè ha affermato che “la ricorrenza del requisito temporale, cui è condizionata l’insorgenza in capo al cessionario dell’obbligazione solidale di pagamento, fa parte del fatto costitutivo del diritto di credito del condominio” (così sentenza d’appello, pag. 7).

In tal guisa è sufficiente che questa Corte reiteri il proprio insegnamento.

Ovvero che il giudice ha l’obbligo di rilevare d’ufficio l’esistenza di una norma di legge idonea ad escludere, alla stregua delle circostanze di fatto già allegate ed acquisite agli atti di causa, il diritto vantato dalla parte, e ciò anche in grado di appello, senza che su tale obbligo possa esplicare rilievo la circostanza che in primo grado le questioni controverse abbiano investito altri e diversi profili di possibile infondatezza della pretesa in contestazione e che la statuizione conclusiva di detto grado si sia limitata solo a tali diversi profili, atteso che la disciplina legale inerente al fatto giuridico costitutivo del diritto è di per sè sottoposta al giudice di grado superiore, senza che vi ostino i limiti dell’effetto devolutivo dell’appello (cfr. Cass. sez. un. 7.11.1997, n. 10933; cfr. Cass. (ord.) 5.4.2011, n. 7789, ove si soggiunge che, parimenti, a norma dell’art. 342 c.p.c., il giudizio di appello, pur limitato all’esame delle sole questioni oggetto di specifici motivi di gravame, si estende ai punti della sentenza di primo grado che siano, anche implicitamente, connessi a quelli censurati, derivandone che non viola il principio del “tantum devolutum quantum appellatum” il giudice di appello che fondi la propria decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall’appellante nei suoi motivi, ovvero esamini questioni non specificamente da lui proposte o sviluppate, le quali però appaiano in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi, e come tali comprese nel “thema decidendum”).

Destituito di fondamento è del pari il secondo motivo di ricorso.

Si rappresenta che le dichiarazioni rese dal teste R.F. devono reputarsi inefficaci e tamquam non essent, in quanto miranti a dar ragione dell’obbligazione gravante – a giudizio dell’originario opposto – sul controricorrente in dipendenza di una sua presunta ricognizione di debito, di una sua pretesa promessa di pagamento (il teste ha riferito che “al primo incontro il D.M. esternava “mi impegno sul mio onore” a soddisfare il debito”).

E nondimeno, nella fattispecie, la ricognizione di debito integra gli estremi di una causa petendi diversa rispetto a quella inizialmente dedotta dal condominio (cfr. Cass. 9.2.1994, n. 1328, in ordine alla diversità della causa petendi ancorata ad una ricognizione di debito rispetto alla causa petendi iniziale ex contractu).

Invero è sicuramente diversa la causa petendi, quando è fondata su presupposti di fatto e su conseguenti situazioni giuridiche non prospettate in precedenza, sì da introdurre nel processo un nuovo tema d’indagine (cfr. Cass. 3.9.2007, n. 18513).

Ovviamente al rilievo teste operato questa Corte attende sulla scorta dell’insegnamento a tenor del quale, nel vigore del regime delle preclusioni di cui agli artt. 183 e 184 c.p.c., come formulati dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, ed applicabili alla fattispecie ratione temporis, la questione circa la novità delle domande è del tutto sottratta alla disponibilità delle parti e ricondotta esclusivamente al rilievo d’ufficio da parte del giudice, in virtù del principio secondo cui il “thema decidendum” non è più modificabile dopo la chiusura della prima udienza di trattazione o dopo la scadenza del termine concesso dal giudice ai sensi dell’art. 183, comma 5, cit.; cosicchè, ove una domanda non sia stata proposta in primo grado nei termini perentori previsti dalla legge, essa deve essere dichiarata inammissibile anche in appello, a causa dell’inderogabile divieto di domande nuove di cui all’art. 345 (cfr. Cass. 24.1.2012, n. 947).

Ed ulteriormente al medesimo rilievo questa Corte attende, propriamente, in esplicazione della prerogativa che l’art. 384 c.p.c., u.c., le devolve.

Il rigetto del ricorso giustifica la condanna del condominio ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

La liquidazione segue come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il condominio “(OMISSIS)” di viale (OMISSIS) a rimborsare al controricorrente, D.M.F., le spese del presente grado di legittimità, che si liquidano nel complesso in Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2^ sez. civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 10 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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