Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15913 del 08/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 08/06/2021, (ud. 10/03/2021, dep. 08/06/2021), n.15913

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE X

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Maria Margherita – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3401-2019 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

GERMANICO 109, presso lo studio dell’avvocato D’AMICO, rappresentato

e difeso dall’avvocato PAPADIA FRANCESCO VINCENZO;

– ricorrente –

contro

TRENITALIA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio

dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 19229/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 19/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LEONE

MARGHERITA MARIA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

C.M. proponeva ricorso per revocazione della ordinanza n. 19229/2018 con cui questa Corte aveva rigettato il ricorso dallo stesso proposto avverso la decisione con cui la Corte di appello di Bari aveva, a sua volta, rigettato la sua domanda diretta all’accertamento della responsabilità datoriale di Trenitalia spa rispetto all’aggravamento delle malattie professionali di cui era portatore il lavoratore. Quest’ultimo aveva chiesto la condanna della società al pagamento del danno subito a seguito dell’aggravamento delle patologie causato dal mantenimento in mansioni non compatibili.

La Corte di legittimità aveva ritenuto non fondate le censure proposte.

C.M. proponeva ricorso per revocazione della predetta decisione affidato a tre motivi cui resisteva con controricorso Trenitalia spa.

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Entrambe le parti depositavano successiva memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1) Con il primo motivo di revocazione, integrante fattispecie di cui all’art. 395 n. 4 e 5 c.p.c., è dedotto l’errore di percezione consistente nel non aver, la Corte di legittimità, tenuto conto che il Cimarrusti sin dalla domanda originaria avanzata aveva chiesto l’accertamento della responsabilità datoriale per la causazione delle patologie oltre che per il loro aggravamento.

2) Con il secondo motivo è dedotta l’errata supposizione in cui sarebbe incorsa la Corte circa il deposito in atti del documento del rischio del lavoratore e del suo fascicolo personale.

3) Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l’errata percezione circa la censura per la valutazione delle dichiarazioni di un solo teste. Assume che la censura riguardava la valorizzazione di uno solo con omissione degli altri.

Nel valutare i motivi di revocazione diretti alle singole statuizioni espresse dalla sentenza, occorre partire dalla premessa che, come evidenziato dalle Sezioni Unite del Giudice di legittimità “Il combinato disposto dell’art. 391-bis c.p.c. e dell’art. 395 c.p.c., n. 4, non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto, sostanziale o processuale, e l’errore di giudizio o di valutazione” (Cass. SU n. 8984/2018). Soggiunge la Corte che ” La giurisprudenza di legittimità ha perimetrato l’errore di fatto, tracciandone, in primo luogo, il confine rispetto alla violazione o falsa applicazione di norme di diritto sostanziali o processuali, laddove l’errore di fatto riguarda solo l’erronea presupposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di fatti considerati nella loro dimensione storica di spazio e di tempo, non potendosi far rientrare nella previsione il vizio che, nascendo ad esempio da una falsa percezione di norme che contempli la rilevanza giuridica di questi stessi fatti e integri gli estremi dell’error iuris, sia che attenga ad obliterazione delle norme medesime, riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione, sia che si concreti nella distorsione della loro effettiva portata, riconducibile all’ipotesi della violazione (vadasi tra le tante Cass., Sez. U., 27/12/2017, n. 30994 e sent. ivi cit. a p. 3.4; conf. Cass., Sez. U., 27/12/2017, nn. da 30995 a 30997). Resta, quindi, esclusa dall’area del vizio revocatorio la sindacabilità di errori formatisi sulla base di una pretesa errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico, perchè siffatto tipo di errore, se fondato, costituirebbe un errore di giudizio, e non un errore di fatto (Cass., Sez. U., n. 30994/2017, cit.)”.

Il principio richiamato fissa il discrimine tra vizio revocatorio ed error iuris, escludendo dal primo ogni asserita errata valutazione, sia in fatto che in diritto, svolta dal Giudice di legittimità.

Rispetto a tale premessa le censure proposte risultano inammissibili poichè estranee al perimetro fissato per il giudizio revocatorio.

La prima di esse ha riguardo alla interpretazione della domanda poichè assume l’errata individuazione del contenuto della stessa (responsabilità nella causazione delle patologie oltre che per il loro aggravamento) e dunque rimanda ad una attività tipicamente valutativa non assoggettabile a giudizio revocatorio.

La seconda censura fa riferimento ad una errata supposizione della Corte di legittimità non riscontrabile nel percorso argomentativo della sentenza in esame; questa, infatti, fa derivare dal rigetto del primo motivo (carenza di allegazione dell’aggravamento) anche il rigetto delle ulteriori censure relative al mancato deposito dei documenti, anche dando atto che la circostanza “supposta” (mancato deposito del documento di valutazione dei rischi e del fascicolo personale sanitario) è stata confutata dalla controparte. Anche il terzo motivo posto a sostegno della revocazione risulta esorbitare i confini della stessa in quanto richiama un errore di percezione nella mancata valorizzazione di tutte le prove testimoniali. Si tratta di evidente censura circa l’attività valutativa che, come sopra indicato, non ha ingresso nel giudizio che si svolge in questa sede processuale.

Il ricorso è pertanto inammissibile.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore della controricorrente nella misura di cui al dispositivo.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis,

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2021

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