Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15912 del 24/07/2020

Cassazione civile sez. II, 24/07/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 24/07/2020), n.15912

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – rel. Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21037/2019 proposto da:

A.M., rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCO BERETTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata il

31/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/02/2020 dal Presidente Dott. FELICE MANNA.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

A.M., cittadino (OMISSIS), domandava la protezione internazionale o quella umanitaria innanzi alla Commissione territoriale di Bologna. A sostegno deduceva di aver subito da parte di esponenti del partito (OMISSIS), avverso al (OMISSIS), cui egli aderiva, lesioni, minacce di morte e richieste estorsive connesse al suo lavoro (muratore in proprio). Precisava, altresì, che il 27.1.2014, a seguito di un evento politico locale e degli incidenti tra militanti dei due partiti, erano morti due importanti esponenti dell'(OMISSIS), e che, essendo stato ricercato per questo dalla polizia e da aderenti all’anzidetta formazione politica, aveva deciso di espatriare.

La domanda era respinta dalla Commissione territoriale e, a seguito d’opposizione, anche dal Tribunale di Bologna, con decreto del 31.5.2019.

Per quanto ancora rileva in questa sede, riteneva detto giudice che il richiedente, nel corso di più audizioni, non avesse circostanziato adeguatamente il suo racconto, avendo reso dichiarazioni generiche e prive di dettagli contestualizzanti. Inoltre, il suo racconto era caratterizzato da plurimi profili di incoerenza e da varie contraddizioni. Escludeva, infine, la protezione umanitaria per difetto di indicatori specifici di vulnerabilità, con la precisazione che lo studio della lingua italiana e lo svolgimento di attività lavorativa non erano di per sè sintomatici di un radicamento del richiedente nel territorio nazionale.

La cassazione di tale provvedimento è chiesta con ricorso affidato a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Il primo motivo denuncia, in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto in riferimento al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 13, anche in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5”. Premessa la necessità che il narrato del richiedente sia esaminato in maniera oggettiva nella sua complessità e globalità, prescindendo da congetture puramente soggettive, si sostiene che l’odierno ricorrente abbia fornito risposte lineari, coerenti e plausibili, riconducibili ad un medesimo nucleo narrativo rimasto invariato nelle diverse sedi; e che i processi mnemonici in soggetti che abbiano sperimentato vicende dolorose e traumatiche possono essere parzialmente compromessi. Prosegue parte ricorrente affermando che sarebbe illegittima l’affermazione, contenuta nel provvedimento impugnato, che contesta la vaghezza di alcune risposte del richiedente in ordine a determinate informazioni richieste, non emergendo in alcun punto che tali quesiti gli siano stati formulati, consentendogli così di risolvere i dubbi del giudicante; e che, infine, nessun rilievo argomentativo può essere riconosciuto alle risposte date dal richiedente in sede di compilazione del modello C3, trattandosi di una procedura che, per come svolta, si risolve in una mera formalità.

2. – Il secondo motivo allega, in base dell’art. 360 c.p.c., n. 3, “la violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b)”. Richiamato quanto dedotto col primo motivo quanto all’attendibilità del racconto effettuato dal richiedente, parte ricorrente sostiene che il giudice avrebbe dovuto procedere ad un approfondimento istruttorio mediante il ricorso a fonti qualificate. Queste ultime sono concordi nell’affermare che il clima politico del Bangladesh è in costante fermento, persistendo scontri tra il partito al potere ((OMISSIS)) e quello d’opposizione; e che è impossibile ottenere protezione dalle istituzioni, per il livello di corruzione che vi si registra. Di conseguenza, sarebbe destituita di forza argomentativa contraria il fatto che il richiedente non si sia attivato per conseguirla.

3. – Il terzo mezzo espone, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, “la violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3”. Deduce, in subordine, parte ricorrente, che la protezione umanitaria deve essere concessa tutte le volte in cui sussista una situazione di vulnerabilità, la quale può avere la più varia eziologia, giacchè essa forma un catalogo aperto e risponde in ultima battuta agli obblighi costituzionali ed internazionali di protezione. Tale quadro normativo “è certamente applicabile all’odierno ricorrente, in considerazione della situazione del paese d’origine ed in relazione alle condizioni personali e soggettive del cittadino in Bangladesh e in Italia”. Il motivo prosegue affermando che la motivazione del provvedimento impugnato, lì dove ha rilevato l’assenza di peculiari e specifici indicatori di protezione, sarebbe illogica, sia per quanto emerge dal nesso tra le esperienze alla base della domanda di asilo e la realtà del Paese di provenienza, sia perchè è compito dell’autorità del Paese di accoglienza verificare le condizioni della protezione, non esistendo a carico del richiedente alcun obbligo di qualificare la propria domanda. Il provvedimento impugnato, pertanto, sarebbe errato in relazione ai criteri indicati nella sentenza n. 4455/18 di questa Corte, tenuto conto che dalla sproporzione tra la situazione complessiva del Bangladesh e quella italiana quanto al godimento dei diritti umani, e dall’inserimento del richiedente nel tessuto sociale italiano, quale dimostrato dall’attività lavorativa svolta sin dal 2018 e proseguita nel 2019, emergerebbe senza dubbio la situazione di vulnerabilità di lui.

4. – Col quarto motivo è dedotta, in base all’art. 360 c.p.c., n. 3, la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, commi 1 e 1.1, come richiamato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, ovvero del diritto d’asilo in relazione all’art. 10 Cost., comma 3”. Sostiene parte ricorrente che, modificati il T.U. n. 286 del 1998, art. 32, comma 3, e art. 5, comma 6, per effetto del D.L. n. 113 del 2018 e sostituita alla protezione umanitaria quella speciale, di minor contenuto, torna ad espandersi l’applicabilità dell’art. 10 Cost., comma 3 e con esso il margine residuale di una sua diretta attuazione giudiziale, a tutela della garanzia dei diritti fondamentali dell’uomo.

5. – Tutti i mezzi d’impugnazione proposti sono inammissibili per la loro manifesta infondatezza, ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, così come (re)interpretato da S.U. n. 7155/17.

5.1. – Il primo enuncia ma non per questo dimostra il malgoverno degli indicatori legali di genuinità di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e dei criteri di esame della domanda, atteso che il Tribunale ha ritenuto incoerente nel complesso il racconto del richiedente. Detto giudice, infatti, non si è limitato a considerare singole contraddizioni su aspetti accessori, ma ha sottolineato come nell’insieme le dichiarazioni del richiedente siano carenti nella contestualizzazione dei fatti e contraddittorie nel loro nucleo essenziale. Il Tribunale ha osservato, infatti, che il richiedente: non è stato in grado, nel corso delle varie audizioni, di descrivere i plurimi episodi di minaccia e di pressioni subite dagli esponenti del partito (OMISSIS) per indurlo a dazioni di denaro, essendosi egli limitato a far riferimento ad un unico episodio di aggressione, peraltro anch’esso descritto in maniera del tutto generica; non ha saputo spiegarne i motivi; non ha chiarito come mai la morte di due esponenti di rilievo del suddetto partito a seguito degli incidenti del 27.1.2014 gli sia stata addebitata; non ha fornito elementi di sorta sulla vicenda processuale a suo carico che ne sarebbe scaturita, pur avendo egli mantenuto rapporti stabili e riferimenti nel Paese d’origine. Non solo, ma il Tribunale ha anche indicato che nelle fonti privilegiate consultate non vi era traccia dell’uccisione dei due importanti esponenti politici del partito anzidetto.

E’ in tale contesto di generale inattendibilità che il Tribunale ha, poi, rilevato ulteriori elementi di contraddizione, quali il fatto che il richiedente, mentre innanzi alla Commissione territoriale si era limitato a riferire delle minacce subite da esponenti politici dell'(OMISSIS), in giudizio aveva dichiarato che a minacciarlo, oltre a tali esponenti di partito, erano stati anche alcuni muratori interessati agli appalti pubblici cui anch’egli partecipava. Ed ancora, prosegue il provvedimento impugnato, il richiedente aveva poi reso dichiarazioni divergenti proprio in merito agli autori di quelle minacce, posto che mentre davanti alla Commissione territoriale li aveva identificati nelle persone di Ab.Ba. e M.R. (corrispondenti alle persone poi uccise negli scontri del gennaio 2014), in giudizio li aveva diversamente indicati con i nomi di Ab.Ba. e S.H.. Inoltre, nella memoria depositata in vista della sua audizione davanti alla Commissione, il richiedente aveva indicato in dieci gli autori dell’aggressione che aveva subito, numero poi ridotto nelle difese svolte in giudizio; e in detta memoria aveva, altresì, parlato della vendita di un terreno per sostenere le spese di espatrio, lì dove, invece, nel giudizio a tale vendita aveva aggiunto la circostanza, nuova, della contrazione di un rilevante prestito. Infine, ha osservato il Tribunale, non appare plausibile che il ricorrente, non abbia incontrato alcun problema ad espatriare intraprendendo un viaggio in aereo dal Bangladesh, atteso che, secondo la sua narrazione, nei suoi confronti sarebbe stato emesso un mandato d’arresto.

Tale ampia motivazione investe in maniera globale, su basi oggettive e nei suoi passaggi cruciali, l’intero racconto del richiedente, restando così escluse le denunciate violazioni di legge.

5.2. – Quanto al secondo mezzo, va osservato che la giurisprudenza di questa Corte ha già chiarito che in tanto il giudice di merito è tenuto ad esercitare i poteri di cooperazione istruttoria di cui dispone in materia, in quanto egli ritenga credibile il narrato e, quindi, potenzialmente accordabile il rifugio o la protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), l’uno come l’altra dipendendo dal giudizio di coerenza interna e di attendibilità del racconto del richiedente.

Infatti, in tema di riconoscimento della protezione internazionale, l’intrinseca inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, attiene al giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità, ed osta al compimento di approfondimenti istruttori officiosi, cui il giudice di merito sarebbe tenuto in forza del dovere di cooperazione istruttoria, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori; ne consegue che, in caso di racconto inattendibile e contraddittorio e per di più variato nel tempo, non è nulla la sentenza di merito che come del resto affermato da Corte di Giustizia U.E., 26 luglio 2017, in causa C-348/16, Moussa Sacko, e da Corte EDU, 12 novembre 2002, Dory c. Svezia – rigetti la domanda senza che il giudice abbia proceduto a nuova audizione del richiedente per colmare le lacune della narrazione e chiarire la sua posizione (v. n. 33858/19 e 16925/18).

Di riflesso e nella specie, il Tribunale non era tenuto a riscontrare, tramite l’acquisizione delle COI (acronimo di Country of Origin Information), la situazione socio-politica ed istituzionale del Bangladesh. Posto che l’esame della domanda di protezione avviene su base individuale (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3), non basta accertare che il Paese d’origine non assicuri in generale il rispetto dei diritti umani, ma occorre che il richiedente ne abbia subito o rischi fondatamente di subirne la compromissione.

5.3. – Il terzo motivo opera una commistione di profili diversi.

Il fatto che l’autorità amministrativa, prima, e il giudice dell’impugnazione, poi, debbano svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorata dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente (cfr. nn. 26921/17 e 19716/18), e che, di conseguenza, debbano concedere la protezione accordabile nel caso specifico a prescindere dal tipo di protezione invocata, non solleva il richiedente dall’onere di allegare i fatti. Il ricorrente, pertanto, come deve compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5), così ha l’onere di dedurre i fatti, di regola diversi da quelli posti a base della protezione internazionale (cfr. n. 21123/19), su cui si basa la domanda di protezione umanitaria (le cui norme sono applicabili ratione temporis al caso in esame: v. meglio infra), non essendo certo compito dell’Autorità amministrativa o giudiziaria andarli a ricercare autonomamente.

5.4. – Anche il quarto mezzo non ha pregio.

Le S.U. di questa Corte hanno chiarito che il diritto alla protezione umanitaria, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta ad ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile. Ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base delle norme in vigore al momento della loro presentazione, ma in tale ipotesi l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, valutata in base alle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno “per casi speciali” previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto D.L. (sentenza n. 29459/19).

Pertanto, nella fattispecie, esclusa ratione temporis l’applicabilità del D.L. n. 113 del 2018 e con essa la necessità di recuperare la protezione umanitaria per il tramite diretto dell’art. 10 Cost., comma 3, permane decisivo il richiamo all’orientamento costante di questa Corte, secondo cui il suddetto referente costituzionale è interamente attuato e regolato dai tre istituti costituiti dallo status di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, ed al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, cosicchè non v’è più alcun margine di sua residuale e diretta applicazione (v. per tutte, nn. 16362/16 e 10686/12).

6. – In definitiva il ricorso va dichiarato inammissibile.

7. – Nulla per le spese, non avendo il Ministero dell’Interno svolto attività difensiva.

8. – Ricorrono i presupposti processuali per il raddoppio, a carico del ricorrente, del contributo unificato, se dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Sussistono le condizioni processuali per il raddoppio, a carico della parte ricorrente, del contributo unificato, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2020

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