Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1591 del 24/01/2020

Cassazione civile sez. III, 24/01/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 24/01/2020), n.1591

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. DELL’OTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27877/2018 proposto da:

P.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SABOTINO, 46,

presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO ROMANO, rappresentato e

difeso dall’avvocato LUCA CERIELLO;

– ricorrente –

contro

FONDERMETAL SPA, U.A.M.A., B.A.M.,

domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato SIMONA MERISI;

G.M., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ELISA STEVENALLI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2850/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 08/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/11/2019 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 8/6/2018, la Corte d’appello di Milano, in accoglimento dell’appello proposto da G.M., B.A.M., U.A.M.A. e dalla Fondermetal s.p.a., e in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da P.D. per la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni dagli stessi asseritamente provocati all’attore a seguito della commissione di fatti, rispettivamente, di falsa testimonianza, calunnia e mendacio processuale in pregiudizio del P.;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come la pretesa valenza illecita dei comportamenti dei convenuti dedotti in giudizio dal P. dovesse nella specie escludersi, in difetto dei necessari requisiti soggettivi, della rilevanza processuale o dell’oggettiva indole lesiva di ognuno dei fatti ascritti ai convenuti;

che, avverso la sentenza d’appello, P.D. propone ricorso per cassazione sulla base di otto motivi d’impugnazione;

che B.A.M., U.A.M.A. e la Fondermetal s.p.a. resistono con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 342 c.p.c. (in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di rilevare l’inammissibilità dell’appello proposto dal G., avendo quest’ultimo illegittimamente modificato in sede di appello le circostanze di fatto indicate, nel corso del giudizio di primo grado, a fondamento delle ragioni che lo avevano indotto al rilascio delle (false) dichiarazioni testimoniali dedotte in giudizio, sostenendo di non aver potuto riconoscere le scritture allo stesso sottoposte in sede testimoniale, non già in ragione del carattere stampatello della grafia esaminata, bensì a causa della illeggibilità del testo offerto alla sua attenzione;

che il motivo è infondato;

che, al riguardo, osserva il Collegio come le deduzioni argomentate da una parte, con riferimento alle ragioni per le quali la stessa avrebbe commesso il fatto asseritamente illecito alla stessa contestato, non attengono all’ambito dei nova (consistenti in documenti o allegazione di fatti costitutivi o impeditivi non precedentemente prodotti o dedotti etc.) la cui introduzione in sede d’appello deve ritenersi non consentita, bensì all’ambito delle mere argomentazioni difensive di per sè insuscettibili di determinare alcuna modificazione del thema decidendum, del thema probandum o del compendio probatorio già acquisiti e, conseguentemente, a pregiudicare i diritti o le opportunità di difesa della controparte;

che, ciò posto, trattandosi, con riguardo alle circostanze qui dedotte, di mere argomentazioni difensive illustrate dalla controparte in sede di appello, le stesse devono ritenersi tali da non soffrire, in detta fase di gravame, dei limiti preclusivi sanciti dal codice di rito, da tanto conseguendo il riconoscimento della radicale infondatezza dell’odierna doglianza;

che, con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 2730 c.c. e segg. e dell’art. 228 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di rilevare come la confessione resa dal G., in ordine al riconoscimento della grafia comparente sulle scritture allo stesso sottoposte (che lo stesso G. aveva dichiarato di non essere in grado di riconoscere nella precedente sede testimoniale denunciata nel presente procedimento), fosse dotata di efficacia di prova legale vincolante in ordine alla falsità delle dichiarazioni testimoniali indicate come fonte dell’obbligo risarcitorio in capo allo stesso G.;

che il motivo è infondato;

che, sul punto, varrà osservare come l’affermazione resa in giudizio dal G., incline a riconoscere come propria la grafia comparente sulla documentazione oggetto d’esame, non può ritenersi tale da assumere carattere confessorio circa la falsità delle dichiarazioni testimoniali dallo stesso rese nella precedente sede processuale dedotta dal P., ben potendo ammettersi, sul piano logico, la coesistente veridicità di entrambe le dichiarazioni emesse in tempi diversi e (per quel che riguarda le originarie dichiarazioni testimoniali) con accenti che la corte territoriale ha discrezionalmente giudicato non conclusivi, non perentori e comunque privi di tale certezza da precluderne in assoluto una successiva rivisitazione;

che, conseguentemente, del tutto arbitrariamente l’odierno ricorrente pretende di ascrivere, all’attuale riconoscimento della propria grafia su un determinato documento, l’implicita affermazione, ad opera dell’autore del riconoscimento, della falsità delle precedenti dichiarazioni negative, essendosi queste ultime limitate all’attestazione (non già degli estremi di un fatto storico, bensì) di una personale incapacità di riconoscimento nel momento storico dato;

che, con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 2730 c.c. e segg., degli artt. 228, 231 c.p.c. e segg., dell’art. 372 c.p. e degli artt. 414, 651 652 c.p.p. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente affermato che le diverse dichiarazioni rese a distanza di tempo dal G. (in sede testimoniale e, successivamente, in sede confessoria) presentassero tra loro un’incongruenza meramente marginale;

che, con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 2697, 2230 e 2236 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere il giudice d’appello erroneamente valutato il complesso degli elementi di prova analiticamente richiamati in ricorso con riguardo al mendacio processuale posto in essere dall’ U., pervenendo a conclusioni incongrue e illogiche oltre che in contrasto con la dimostrata illiceità del comportamento di controparte;

che, con il quinto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 368 c.p., dell’art. 651 c.p.p. e dell’art. 6 Cedu (in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente ricostruito le circostanze di fatto riferite alla calunnia commessa da U., B. e dalla Fondermetal s.p.a. ai danni del P., sulla base di una confusa e illogica valutazione degli elementi di prova acquisiti al giudizio;

che, con il sesto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2043 c.c. (in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente ricostruito le circostanze di fatto poste a fondamento della esclusione del carattere calunnioso del comportamento delle controparti, sulla base di una motivazione illogica e oggettivamente lacunosa;

che il terzo, il quarto, il quinto e il sesto motivo – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono inammissibili;

che, al riguardo, osserva il Collegio come, attraverso le censure indicate (sotto entrambi i profili di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5,), il ricorrente si sia sostanzialmente spinto a sollecitare la corte di legittimità a procedere a una rilettura nel merito degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, in contrasto con i limiti del giudizio di cassazione e con gli stessi limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (nuovo testo) sul piano dei vizi rilevanti della motivazione;

che, in particolare, sotto il profilo della violazione di legge, il ricorrente risulta aver prospettato le proprie doglianze attraverso la denuncia di un’errata ricognizione della fattispecie concreta, e non già della fattispecie astratta prevista dalle norme di legge richiamate (operazione come tale estranea al paradigma del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica del ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo propriamente il P. nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;

che, nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe dei motivi d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierno ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti ritenuti rilevanti tra le parti;

che si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;

che, ciò posto, i motivi d’impugnazione così formulati devono ritenersi inammissibili, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;

che, infatti, quanto al preteso vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, è appena il caso di sottolineare come lo stesso possa ritenersi denunciabile per cassazione, unicamente là dove attenga all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

che, sul punto, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831);

che, pertanto, dovendo ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, le odierne doglianze del ricorrente devono ritenersi inammissibili, siccome dirette a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360, n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;

che, con il settimo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la corte territoriale omesso di pronunciare la condanna di controparte al rimborso delle spese di tutti i gradi e le fasi del giudizio, ivi compresa la condanna di controparte ai sensi dell’art. 96 c.p.c.;

che il motivo è inammissibile;

che, al riguardo, è appena il caso di rilevare come, con la doglianza in esame, il ricorrente si sia limitato a dolersi della sentenza impugnata senza articolare alcuna censura critica in relazione ai passaggi argomentativi posti dal giudice a quo a fondamento della decisione contestata;

che, sul punto, varrà richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, Rv. 579564-01);

che, con l’ottavo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 323 c.p.c. e segg. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale omesso di decidere sull’appello incidentale proposto dal P. sui capi concernenti la liquidazione delle spese del giudizio di primo grado e la condanna delle controparti ex art. 96 c.p.c., dichiarando di ritenerlo assorbito in ragione dell’intervenuta riforma della sentenza di primo grado;

che il motivo è manifestamente infondato;

che, al riguardo, è appena il caso di rilevare come l’avvenuta riforma, in sede di appello, della decisione emessa dal giudice di primo grado, con l’accertamento dell’infondatezza dell’originaria domanda proposta dal P., abbia inevitabilmente determinato l’insussistenza dei presupposti per la regolazione delle spese del giudizio (e a fortiori per l’adozione di una pronuncia ex art. 96 c.p.c.) in modo sfavorevole per gli originari convenuti, con il conseguente intuibile assorbimento della rilevanza dell’appello incidentale proposto dal P. sui capi concernenti la liquidazione delle spese del giudizio di primo grado e la condanna delle controparti ai sensi dell’art. 96 c.p.c.;

che, sulla base delle considerazioni che precedono, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna del ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo;

che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2020

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