Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15909 del 24/07/2020

Cassazione civile sez. II, 24/07/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 24/07/2020), n.15909

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21013/2019 proposto da:

A.K., rappresentato e difeso dall’Avvocato GIUSEPPINA

MARCIANO ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, in

MILANO, VIA FONTANA 3;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 4672/2019 del TRIBUNALE di MILANO depositato il

28/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/02/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

A.K., cittadino (OMISSIS), proponeva opposizione avverso il provvedimento della competente Commissione Territoriale di diniego della domanda di riconoscimento della protezione internazionale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, la protezione sussidiaria o il diritto di asilo ex art. 10 Cost., o la protezione umanitaria.

Il ricorrente dichiarava di essere nato a (OMISSIS) in Nigeria; di essere di etnia (OMISSIS) e di religione cristiana. A fondamento del timore per la propria incolumità, il ricorrente affermava che dopo la morte del padre nel (OMISSIS), il capo del villaggio richiedeva al ricorrente la proprietà del terreno lasciato dal padre a fronte di un credito che asseriva di vantare e da questi mai pagato. Il capo villaggio, insieme ad alcune sue guardie private, aggrediva il ricorrente per indurlo a pagare il debito paterno, procurandogli diverse ferite. Il richiedente affermava di essere stato accusato dell’uccisione di un parente del capo villaggio, di essere stato arrestato e, una volta rilasciato sotto cauzione, di essere fuggito dalla Nigeria, in quanto temeva di subire una condanna ingiusta.

Con decreto n. 4672/2019, depositato in data 28.5.2019, il Tribunale di Milano rigettava il ricorso.

In particolare il Tribunale riteneva che quanto dichiarato dall’opponente non apparisse credibile il racconto afferente alle riferite minacce e la falsa accusa di omicidio. Nè reputava credibile che il richiedente non avesse invece reperito alcun documento afferente al preteso giudizio di omicidio.

Pertanto, gli elementi forniti dal richiedente non erano ritenuti idonei a fondare lo status di rifugiato, così come l’invocata protezione sussidiaria.

Con riferimento al rischio di essere coinvolto nella violenza di un conflitto armato generalizzato, il Tribunale adito precisava che non fosse sufficiente a integrare la fattispecie l’esistenza di generiche situazioni di instabilità, essendo necessario che le informazioni indichino che l’intero territorio del paese o una parte rilevante di esso è interessata da una situazione di violenza generalizzata e indiscriminata, di intensità tale per cui qualsiasi civile che si trovi ad essere al suo interno sia concretamente esposto al rischio di perdere la propria vita o l’incolumità fisica.

Il Tribunale concludeva nel senso che la regione di supposta provenienza del ricorrente non fosse classificabile come zona caratterizzata dalla presenza di un conflitto armato, generatore di una situazione di violenza tanto diffusa e indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante.

Quanto alla protezione umanitaria il Tribunale riteneva che non ricorressero i presupposti per il suo riconoscimento. La domanda era stata rigettata per ritenuta insussistenza dei requisiti fondamentali per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, sicchè era stato escluso il rischio di essere immesso nuovamente, in caso di rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione A.K. sulla base di tre motivi; l’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 e 11, art. 46, paragrafo 3 Direttiva 2013/32/UE, art. 47 CDFUE, artt. 6 e 13 CEDU, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per violazione del dovere del Giudice di cooperazione e del principio di attenuazione dell’onere della prova in merito alla mancata audizione del ricorrente”, là dove il Tribunale, pur disponendo la comparizione del ricorrente, non procedeva al suo ascolto, in quanto affermava che fosse obbligatoria solo l’udienza di comparizione, ma non la nuova audizione del richiedente.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

1.2. – Il Collegio riteneva tale audizione irrilevante, dal momento che erano stati acquisiti tutti gli elementi necessari ai fini della decisione e che nel ricorso non erano stati introdotti ulteriori temi d’indagine nè allegati fatti nuovi.

Rettamente dunque il Tribunale, dopo aver disposto udienza di comparizione delle parti, ha ritenuto (attesa altresì la presenza del solo difensore) di poter decidere in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo (v., in tal senso, Corte di giustizia dell’Unione Europea, 26 luglio 2017, causa C-348/16 Moussa Sacko contro Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano, p. 49); tanto più che, nella specie, il ricorso neppure indica se e quali nuovi elementi fosse indispensabile acquisire (Cass. n. 32001 del 2019).

Questa Corte ha affermato che il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, oltre a sancire un dovere di cooperazione del richiedente consistente nell’allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, pone a carco dell’autorità decidente un più incisivo obbligo di informarsi in modo adeguato (Cass. n. 7333 del 2015); e, tuttavia, la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 27336 del 2018).

L’attenuazione del principio dispositivo della “cooperazione istruttoria”, cui il giudice del merito è tenuto, non riguarda il versante dell’allegazione, che anzi deve essere adeguatamente circostanziata, ma la prova, con la conseguenza che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda (Cass. n. 3016 del 2019).

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo della controversia in punto di riconoscimento della protezione sussidiaria – in merito alla effettiva situazione sociale, politica ed economica e sulla pericolosità sociale della Nigeria”, deducendo l’esame non aggiornato di informazioni sulla situazione politica sociale ed economica del Paese di origine, come illustrato da Amnesty e sul sito (OMISSIS) del Ministero Affari Esteri, e personale dello straniero.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

2.2. – La sentenza è immune da censure avendo anche riguardo alla decisione assunta con riferimento alla protezione sussidiaria e, in particolare, al fatto costitutivo della medesima, consistente nel “danno grave” di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c): il Tribunale ha infatti fondato la propria pronuncia sul riscontro di dati informativi che ha specificamente indicato e valutato, escludendo, in particolare, la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno, pur riconoscendo una situazione critica quanto all’ordine pubblico ed alla sicurezza interna, di talchè il motivo si palesa come inteso a fornire una diversa valutazione di merito, nel riferimento in particolare alle raccomandazioni del sito “(OMISSIS)” del Ministero degli Esteri, e ad Amnesty (Cass. n. 26551 del 2017; cfr. Cass. n. 2752 del 2020; Cass. n. 2752 del 2020). Si è evidenziato, nella decisione impugnata, che la situazione generale del paese e in particolare del Delta State, secondo le informazioni aggiornate, non presentava una generalizzata situazione di violenza indiscriminata. Infatti, se in alcune aree della Nigeria, in particolare nel nord-est del paese, si riscontravano precarie condizioni di sicurezza (negli Stati di Borno, Yobe e Adamawa, si erano verificati numerosi attacchi terroristici ad opera del gruppo denominato Boko Haram), tuttavia il Delta State non sembrava far parte degli Stati segnalati per l’esistenza di conflitti armati in corso.

3. – Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo della controversia: presupposti del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari”, poichè l’accertamento della situazione oggettiva del paese d’origine e della condizione soggettiva del richiedente in quel contesto, alla luce della peculiarità della sua vicenda personale, costituiscono il punto di partenza ineludibile dell’accertamento da compiere.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

3.2. – Il ricorrente deduce che il Tribunale, tenuto alla cooperazione istruttoria d’ufficio, non avrebbe operato la comparazione delle due situazioni.

Va rilevato che nel motivo manca in ogni caso la specifica indicazione del fatto omesso, rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 novellato, il cui oggetto è oggi esclusivamente l’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Inoltre, nel dolersi il ricorrente della mancata comparazione tra la situazione in Italia e quella che il ricorrente troverebbe nel caso di rientro nel Paese di origine, la parte oblitera totalmente gli argomenti addotti dal Tribunale a base della reiezione del riconoscimento della protezione umanitaria; ed infatti, il Giudice di merito ha dato conto della situazione del ricorrente in Italia, escludendo la sussistenza della prova del radicamento, comparandola con quella del Paese di provenienza (con ciò seguendo i principi della pronuncia di Cass. n. 4455 del 2018), con preciso riferimento all’assenza “di ogni-credibile indicazione circa una individuale e personale condizione di vulnerabilità vissuta e/o che potrebbe vivere se facesse ritorno in Nigeria”. Ed inoltre, va rilevato che colui che richiede protezione umanitaria deve dedurre una situazione di vulnerabilità che deve riguardare la sua personale vicenda, venendo altrimenti in rilievo non la peculiare situazione di vulnerabilità del singolo soggetto, ma piuttosto quella dei suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti (così, tra le ultime, la pronuncia 11267 del 2019).

4. – Il ricorso va dichiarato inammissibile. Nulla per le spese nei riguardi dell’intimato Ministero dell’Interno, che non ha svolto attività difensiva. Va emessa la dichiarazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2020

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