Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15907 del 06/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 06/07/2010, (ud. 26/05/2010, dep. 06/07/2010), n.15907

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – rel. Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

F.R., elett.te dom.to in Roma, alla Via della Giuliana

n. 9. presso lo studio dell’avv. Vittorio Morrone e Gianluca Limardi,

rapp.to e difeso dall’avv. ISGRO’ Vincenzo, giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rapp.te pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che lo rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

Per la cassazione della sentenza della CTR della Sicilia n.

158/2/2006 dep. il 14/3/2007;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 26/5/2010 dal Consigliere Relatore Dott. Marcello Iacobellis;

viste le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale, Dott. FEDELI Massimo, che ha concluso aderendo alla

relazione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia promossa da F.R. contro l’Agenzia delle Entrate è stata definita con a decisione della CTR della Sicilia, di cui si domanda la cassazione, recante l’accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza della CTP di Messina che aveva accolto il ricorso del F. avverso l’avvisti di accertamento n. (OMISSIS) per IVA SSN e IRPEF 1996. La CTR, premesso che “il legislatore ha spostato l’onere della prova sul contribuente”, affermava: “quest’ultimo non ha assolto l’onere di provare il fondamento delle contestazioni alla pretesa erariale”. Il ricorso proposto dal contribuente si articola in tre motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate. Il relatore ha depositato relazione ex art. 380 bis c.p.c.. Il presidente ha fissato l’udienza del 26/5/2010 per l’adunanza della Corte in Camera di consiglio. Il ricorrente ha presentato memoria; il P.G. ha concluso aderendo alla relazione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con primo motivo il F. assume la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. L’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate sarebbe inammissibile in quanto privo di specifici motivi di impugnazione.

La censura è infondata. Con l’appello l’Agenzia delle Entrate assunse il travisamento dei fatti da parte della CTP, rilevando che la stessa non aveva tenuto conto dell’invito del contribuente al contraddittorio e che quest’ultimo non aveva provato l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione della normativa di cui alla L. n. 549 del 1995, art. 3; assunse inoltre la infondatezza della sentenza laddove si afferma l’inesistenza della motivazione dell’atto impositivo; e la infondatezza della sentenza “stante che la documentazione prodotta e le argomentazioni avanzate…. non facevano venir meno i presupposti per l’applicabilità dei parametri.” In quanto sopra va riconosciuta una sufficiente specificazione dei motivi di gravame.

Con secondo motivo il F. assume la insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo. La decisione non fornirebbe alcuna spiegazione in base alla quale è stata ritenuta inidonea la documentazione probatoria prodotta dal contribuente.

La censura è infondata. Costituisce sufficiente motivazione del rigetto del gravame l’affermazione che “agli atti alcuna prova idonea a sostegno della tesi difensiva del contribuente”, considerata la mancata costituzione del F. in sede di appello, nonchè la mancata deduzione e prova, da parte del ricorrente, della presenza, nel fascicolo di ufficio, della documentazione prodotta a corredo del ricorso di 1^ grado.

Con terzo motivo il ricorrente assume la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, in relazione alla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181. La CTR avrebbe dovuto rigettare l’appello dichiarando la illegittimità dell’avviso di accertamento in quanto carente di motivazione ed infondato, in assenza di ulteriori verifiche da parte dell’Ufficio atte a dimostrare la inattendibilità dei dati forniti dichiarati dal contribuente.

La censura è infondata alla luce del principio affermato da questa Corte (Sez. U., Sentenza n. 26635 del 18/12/2009) secondo cui la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con te ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavìa, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito.

Consegue da quanto sopra il rigetto del ricorso.

La natura della controversia e le circostanze che caratterizzano la vicenda giustificano la compensazione delle spese tra le parti.

PQM

la Corte rigetta il ricorso dichiarando compensate tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2010

 

 

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