Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15905 del 29/07/2016

Cassazione civile sez. II, 29/07/2016, (ud. 07/04/2016, dep. 29/07/2016), n.15905

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4874 – 2012 proposto da:

S.O. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VAL

DI LANZO 79, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE IACONO

QUARANTINO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MAURIZIO BALLOI;

– ricorrente –

contro

S.M.C. (OMISSIS), S.P. (OMISSIS),

S.S. (OMISSIS), S.A., S.L., domiciliati in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato MARIA CRISTINA

SPISSU;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 19/2012 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 17/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/04/2016 dal Consigliere Dott. COSENTINO ANTONELLO;

udito l’Avvocato GIUSEPPE IACONO QUARANTINO, difensore del

ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato LANFRANCO CUGINI, con delega dell’Avvocato MARIA

CRISTINA SPISSU, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto che ha concluso per il rigetto dei primi tre motivi

e per l’accoglimento del quarto motivo di ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 30 ed il 31 maggio 1995 S.O. conveniva davanti al tribunale di Cagliari i fratelli E., G., M.C., P., S. e Si.Pi., quest’ultimo quale esercente la potestà genitoriale sui figli minori A. e L., per chiedere la reintegrazione della sua quota di legittima mediante la riduzione delle disposizioni testamentarie riguardanti i fratelli.

L’attore esponeva che:

l'(OMISSIS) era deceduto Si.An., comune genitore delle parti, il quale, con testamento pubblico, aveva riconosciuto a favore della moglie P.E. l’usufrutto su tutti i suoi beni, mentre a ciascuno dei suoi sette figli aveva assegnato la nuda proprietà delle diverse unità immobiliari facenti parte del fabbricato sito in (OMISSIS), ad angolo tra la via (OMISSIS) e la via (OMISSIS);

con ulteriore testamento olografo Si.An. aveva distribuito fra i figli le somme depositate su due libretti bancari, al netto di quanto occorrente per spese funebri e per oneri fiscali;

P.E. e Si.Pi. avevano rinunciato all’eredità ed al secondo erano subentrati, in rappresentazione, i figli minori A. e L.;

la sua quota di legittima era stata lesa.

Il tribunale di Cagliari, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 646/99, rigettava la domanda.

S.O. proponeva appello, chiedendo la riforma della sentenza impugnata.

La corte di appello di Cagliari, con sentenza n. 300/00, rigettava l’appello.

A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale evidenziava che:

– con riferimento alla stima del valore del magazzino avente accesso dal civico (OMISSIS) assegnato all’attore, il giudice di primo grado aveva correttamente considerato non rilevante, ai fini della determinazione del valore del bene all’epoca dell’apertura della successione, il carattere abusivo della costruzione;

– in particolare, il tribunale di Cagliari aveva esattamente tenuto conto del fatto che l’immobile era suscettibile di sanatoria, tanto da avere messo a carico della massa l’ammontare degli oneri che erano stati sostenuti per ottenere detta sanatoria;

– inoltre, l’immobile aveva in sè un valore economico, essendo suscettibile di godimento diretto o di locazione a terzi.

Nei confronti della sentenza della corte cagliaritana ricorrevano per cassazione S.O. in via principale e M.C., P., S. e Si.Pi., quest’ultimo nella sua qualità di esercente la potestà su A. e S.L., in via incidentale.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 17878/03, accoglieva parzialmente il ricorso principale e rigettava quello incidentale. Per quanto qui ancora interessa, la sentenza n. 17878/03 rilevava l’errore in cui la corte territoriale era incorsa omettendo di verificare se la possibilità di sanatoria per l’immobile de quo fosse contemplata da una disposizione già vigente all’epoca di apertura della successione; peraltro la sentenza affermava che, anche nel caso in cui, all’esito di detta verifica, l’immobile fosse risultato incommerciabile al dì dell’apertura della successione, si sarebbe dovuto tenere conto della limitata capacità reddituale allo stesso eventualmente riferibile in considerazione della possibilità di godimento diretto o di locazione a terzi.

La corte di appello di Cagliari, adita in riassunzione da S.O., dopo avere disposto c.t.u. per accertare il valore locatizio del bene alla data di giugno 1994, rigettava l’appello con sentenza n. 19/2012.

La corte territoriale motivava la sua decisione esponendo che, per determinare il valore economico di un bene non commerciabile (come implicitamente qualificava l’immobile de quo al momento dell’apertura della successione), poteva farsi riferimento al relativo canone di locazione, quale, nella specie, risultante dal contratto di locazione avente ad oggetto tale immobile, prodotto dalle parti appellate e posto dal consulente tecnico di ufficio a base della propria stima.

Avverso la indicata sentenza della corte di appello di Cagliari S.O. ha proposto ricorso per cassazione, articolandolo su quattro motivi.

M.C., P., S., A. e S.L. hanno resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c.. Nella memoria dei contro ricorrenti questi ultimi ha chiesto alla Corte di cassazione di liquidare in loro favore le spese dei due procedimenti di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, introdotti dall’odierno ricorrente e definiti dalla corte di appello di Cagliari, il primo, con ordinanza 24.5.12 declaratoria di inammissibilità e, il secondo, con ordinanza 21.12.12 di rigetto.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 7.4.16 nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va esaminata l’eccezione di nullità della notifica del contro ricorso, sollevata dal ricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c..

Tale eccezione si fonda sul rilievo che detta notifica, effettuata a mezzo posta, sarebbe nulla perchè il plico postale contenente la copia del contro ricorso – consegnato al domiciliatario del ricorrente, avvocato Giuseppe Jacopo Quarantino, nel di lui studio in Roma, via Val di Lanzo 79 – indicava come destinatario non il ricorrente, S.O., ma il suo domiciliatario, il già menzionato avvocato Giuseppe Jacopo Quarantino.

L’eccezione va disattesa perchè dalla relata di notifica apposta in calce al controricorso si rileva che la stessa è stata effettuata a S.O. presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Jacopo Quarantino; il fatto che sulla busta contenente la copia dell’atto, correttamente indirizzata all’avvocato Giuseppe Jacopo Quarantino, in via Val di Lanzo 79, risulti omessa la precisazione che costui è il domiciliatario di S.O., destinatario dell’atto, costituisce mera irregolarità, insuscettibile di incidere sulla validità della notifica. E’ vero, infatti, che la L. n. 890 del 1982, art. 3, comma 2, prescrive che sulla busta chiusa contenente la copia dell’atto da inviare al destinatario l’ufficiale giudiziario apponga “le indicazioni del nome, cognome, residenza o dimora o domicilio del destinatario”, ma il mancato rispetto di tale prescrizione non implica, in difetto di espressa previsione normativa in tal senso, la nullità della notifica, perchè non incide sul nucleo funzionale del procedimento notificatorio: il plico postale, infatti, deve comunque pervenire nelle mani del domiciliatario indicato sulla busta chiusa, ed è quest’ultimo che, avendo aperto il plico e avendo esaminato la relata di notifica dell’atto ivi contenuto, rileva chi, tra le persone presso di lui domiciliate, sia il destinatario della notifica. Il fatto che sulla busta chiusa contenente la copia dell’atto da inviare al destinatario non compaia il nome di quest’ultimo, ma solo quello del suo domiciliatario, costituisce dunque mera irregolarità, e non causa di nullità, della notifica effettuata per mezzo del servizio postale.

Passando all’esame del ricorso, si osserva quanto segue.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 556 e 747 c.c., nonchè artt. 392 e 394 c.p.c., e la contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in cui la corte territoriale sarebbe incorsa attribuendo all’immobile oggetto di causa, da considerare incommerciabile all’epoca dell’apertura della successione, un valore pari a quello che gli era stato riconosciuto nei precedenti gradi di merito, quando esso era stato ritenuto commerciabile. Afferma il ricorrente che, in tal modo, sarebbe stato violato lo spirito della decisione della Corte di Cassazione, la quale imponeva di non dare al bene de quo lo stesso valore che avrebbe avuto se fosse stato commerciabile.

La doglianza è infondata.

La corte territoriale ha determinato il valore del bene sulla base del principio stabilito nella suddetta sentenza di questa Corte n. 17878/03, la quale aveva affermato che “In tema di divisione ereditaria ed in ipotesi di determinazione dell’eventuale lesione della quota di legittima, la stima del valore dei beni da riunire fittiziamente va compiuta con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente alla data di apertura della successione e, conseguentemente, per accertarne la commerciabilità, devesi aver riguardo alla disciplina normativa vigente a tale data. Peraltro ove un bene, ancorchè incommerciabile, sia suscettibile di produrre, comunque, reddito, di tale capacità devesi tener conto ai fini della stima del suo valore”. In concreto, il giudice del rinvio ha fondato il suo accertamento sulle risultanze di apposita c.t.u., che aveva confermato, come emerge allo stralcio trascritto a pag. 14 del ricorso, che il locale artigianale nella via (OMISSIS) “in ragione di un possibile utilizzo come deposito o magazzino (attività per le quali non erano necessarie particolari autorizzazioni da parte del Comune) era comunque capace di produrre un reddito”. La corte territoriale ha, così, rispettato la sentenza summenzionata della Corte di Cassazione, che, nell’imporre di tener conto della capacità del bene di generare un reddito, aveva espressamente fatto riferimento, in motivazione, sia alla “possibilità di godimento diretto da parte del coerede beneficiario della disposizione testamentaria di cui esso è oggetto” sia alla “possibilità di locazione a terzi”.

Del tutto irrilevante è la circostanza che il valore del bene in questione accertato dalla corte di appello di Cagliari nella sentenza qui impugnata fosse molto prossimo (ma non uguale, essendo di poco inferiore) a quello determinato nella precedente sentenza n. 300/00 della stessa corte di appello di Cagliari, che era stata annullata dalla Corte di Cassazione. Infatti la corte territoriale ha rispettato, con motivazione completa e logica, il criterio indicato dal giudice di legittimità, avendo richiamato il possibile utilizzo (locatizio) della res come deposito o magazzino (non negato dal medesimo ricorrente).

Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 62 e 191 c.p.c., nonchè il vizio di contraddittorietà ed illogicità della motivazione, in cui la corte territoriale sarebbe incorsa omettendo di dichiarare la parziale nullità della c.t.u. per avere il consulente formulato una risposta ad un quesito non prospettatogli. In particolare con il mezzo di ricorso si lamenta che, ancorchè il quesito posto al consulente riguardasse solo il calcolo del valore locativo dell’immobile, il consulente avesse determinato di propria iniziativa anche il relativo valore patrimoniale.

La doglianza è infondata.

Infatti, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17878/03, aveva espressamente affermato che il valore dell’immobile doveva essere calcolato tenendo conto della capacità del bene di produrre un reddito e, quindi, la corte di appello di Cagliari era tenuta ad effettuare tale accertamento. Il perito dell’ufficio, nel determinare il valore patrimoniale del bene, non ha risposto ad un quesito non posto, ma si è limitato a fornire un ulteriore elemento di giudizio, coerente con la risposta data al quesito postogli, chiarendo – con affermazione la cui intrinseca correttezza non è stata specificamente censurata dal ricorrente – che “Se di tale capacità di produrre reddito si deve tenere conto ai fini del calcolo del più probabile valore dell’immobile, tenuto conto del cosiddetto criterio di stima per “capitalizzazione dei redditi”, il valore del locale…riferito al giugno 1994″ era pari a Lire 71.250.000. Il giudice di secondo grado ha, poi, utilizzato la precisazione contenuta nella perizia per applicare, con motivazione logica e completa, il principio enunciato dalla Corte di Cassazione.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 384 e 396 c.p.c., nonchè il vizio di omessa ed illogica motivazione della sentenza, in quanto il c.t.u. aveva acquisito un contratto di locazione avente ad oggetto l’immobile de quo, prodotto da controparte durante il giudizio di rinvio e mai in precedenza depositato. In tal modo, pertanto, sarebbe stata violata la regola in base alla quale nel giudizio di rinvio che segue alla cassazione di una sentenza non possono trovare ingresso nuove prove che avrebbero potuto essere prodotte in precedenza.

La doglianza è infondata, giacchè, dal diretto esame degli atti di causa, consentito a questa Corte in ragione della natura del vizio denunciato, si rileva che il contratto utilizzato dal consulente tecnico per la determinazione del valore locativo dell’immobile in questione era già stato prodotto dagli odierni contro ricorrenti come allegato n. 14 alla comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado e indicato nell’indice del fascicolo di parte come “ricevuta restituzione cauzione”. Che poi – come pare desumersi dallo stralcio di c.t.u. trascritto alle pagg. 23/24 del ricorso per cassazione – una copia di tale documento possa essere stata materialmente consegnata dalla parte al consulente di ufficio nominato in sede di rinvio, nel corso del sopralluogo dal medesimo compiuto sull’immobile periziando, può spiegarsi con esigenze di comodità e speditezza, ma non toglie che il documento stesso fosse già ritualmente prodotto in giudizio fin dal primo grado e, pertanto, fosse legittimamente valutabile dal consulente e dal giudice.

Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91, 92 e 385 c.p.c., nonchè l’illogica ed omessa motivazione della sentenza, in quanto la corte territoriale l’aveva condannato a rifondere le spese del primo giudizio di cassazione, nonostante che il ricorso principale fosse stato accolto e il ricorso incidentale delle controparti fosse stato respinto.

La doglianza va disattesa. Infatti, per costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sent. n. 19345 /14), allorchè la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione sia rimessa al giudice del rinvio, è legittima la condanna al pagamento delle spese del ricorrente che sia rimasto definitivamente soccombente nel giudizio di rinvio, pur quando esso sia stato vittorioso in sede di legittimità, dovendosi tener conto dell’esito finale della lite, a prescindere dai singoli gradi in cui si è articolata. Nemmeno può qui trovare accoglimento la doglianza con cui, nella parte finale del motivo in esame, il ricorrente lamenta la mancata compensazione, da parte del giudice di rinvio, delle spese del giudizio di cassazione e del giudizio di rinvio, non essendo censurabile in sede di legittimità il mancato ricorso del giudice di merito al potere di compensazione delle spese (SSUU 14989/05).

Il ricorso va quindi in definitiva rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Devono altresì essere liquidate a carico del ricorrente le spese processuali sopportate dagli odierni contro ricorrenti, vittoriosi in questa sede, in relazione ai due procedimenti ex art. 273 c.p.c., introdotti dal S. davanti alla corte di appello di Cagliari per la sospensiva della statuizione della sentenza qui gravata concernente la condanna del medesimo S. alle spese di lite. Questa Corte ha infatti già affermato che spetta alla Corte di cassazione adita in sede di ricorso contro la sentenza di appello del giudice di merito pronunciarsi, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., con la sentenza di rigetto, sul diritto al rimborso delle spese processuali affrontate dalla parte vittoriosa per resistere all’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, proposta in virtù dell’art. 373 c.p.c., i cui atti relativi al conseguente procedimento incidentale sono producibili ai sensi dell’art. 372 c.p.c., non potendo essere allegati anteriormente alla proposizione del ricorso, che costituisce il presupposto logico – temporale del suddetto procedimento (sentt. n. 7248/09, 16121/11, 21198/15, nella quale ultima si precisa che, per potersi ritenere rispettato il contraddittorio sulla domanda di refusione delle spese del procedimento di sospensiva, è sufficiente che, come avvenuto nel presente giudizio, il procuratore della controparte compaia all’udienza dì discussione davanti alla Corte di cassazione, così da potere interloquire sul punto).

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere ai contro ricorrenti le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.500, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre alle spese generali ed agli accessori dì legge.

Condanna altresì il ricorrente a rifondere ai contro ricorrenti le spese processuali dei due incidenti di sospensione davanti alla corte di appello, che liquida, per ciascuno dei due procedimenti, in Euro 950,00 oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Si dà atto che la sentenza è stata redatta con la collaborazione dell’Assistente di Studio Dott. Dario Cavallari.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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