Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15905 del 20/07/2011

Cassazione civile sez. III, 20/07/2011, (ud. 09/06/2011, dep. 20/07/2011), n.15905

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – rel. Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

UMS IMMOBILIARE GENOVA (già UMS GENERALI MARINE) (OMISSIS) in

persona del suo Presidente e legale rappresentante Dott. G.

S., SIAT ITALIANA ASSICURAZIONI RIASSICURAZIONI S.P.A.

(OMISSIS) in persona del suo procuratore speciale rag. F.

B., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA 1621 ADRIANA 5

– PAL A, presso lo studio dell’avvocato DE MARTINO SIMONE, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GHELARDI MARCELLO

giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

DIAMANTE FRUIT S.R.L. (già ORTOFRUTTICOLA ACESE s.r.l.)

(OMISSIS) in persona dell’Amministratore unico sig. G.

G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SICILIA 66,

presso lo studio dell’avvocato ESPOSITO ROBERTO, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati SERGIO TURCI, PIERANGELO CELLE

giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8 67/2008 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

SEZIONE I CIVILE, emessa il 22/11/2006, depositata il 04/07/2008

R.G.N. 1449/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/06/2011 dal Consigliere Dott. ANGELO SPIRITO;

udito l’Avvocato DE MARTINO SIMONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso con il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza ora impugnata per cassazione la Corte d’appello di Genova, riformando la prima sentenza, ha condannato le compagnie assicuratrici UMS Generali Marine e SIAT a corrispondere alla Ortofrutticola Acese (ciascuna in ragione del rischio assunto) una somma di danaro a titolo di indennizzo assicurativo per merce caricata a bordo di nave in buone condizioni, venduta nel corso del viaggio, giunta a destinazione in condizione di riconosciuta avaria e per la quale i compratori avevano ottenuto una riduzione del prezzo pari, appunto, all’indennizzo richiesto.

La UMS e la SIAT propongono ricorso per cassazione attraverso sei motivi.

Resiste con controricorso la Diamante Fruit (già Ortofrutticola Acese).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Occorre preliminarmente respingere l’eccezione d’inammissibilità del ricorso proposta dalla controricor-rente sul presupposto che il ricorso stesso non sia stato rivolto anche nei confronti della Ital Brokers Cargo spa, terza chiamata in entrambi i giudizi del merito e rimasta contumace. L’eccezione è infondata siccome nella specie non si verifica un’ipotesi di litisconsorzio necessario. Il primo motivo sostiene: che la sentenza avrebbe ignorato l’avvenuta traslazione dei rischi dal venditore al compratore attraverso una regolamentazione negoziale prevalente su quella legale; che la clausola CIF ha l’effetto di porre a carico del compratore i rischi del trasporto della merce sin dal momento in cui questa è consegnata al vettore nel porto d’imbarco e/o passa la murata della nave. Il motivo è infondato.

Va innanzitutto ribadito che, in tema di trasporto di merci, la clausola CIF comporta l’assunzione da parte del venditore del costo del trasporto e degli oneri connessi, ma non implica di per sè lo spostamento convenzionale del luogo di consegna (tra le varie, cfr.

Cass. SU n. 14208/05). Sulla base del menzionato principio ed attraverso la corretta interpretazione della clausola CIF in concreto stipulata dalle parti, la sentenza perviene all’affermazione del diritto della società venditrice a conseguire l’indennizzo assicurativo nella considerazione che, trattandosi di una partita di merce oggetto di una pluralità di vendite e spedita a diversi compratori senza distinzione di lotti, il venditore non si libera dall’obbligo di consegna in favore dei compratori con la messa a disposizione del vettore della merce, ma soggiace all’onere della individuazione (sul punto la sentenza fa erroneamente riferimento alla “specificazione”) da compiersi con la materiale separazione dei vari lotti. Sicchè, tenuto conto che, nella specie, s’era trattato di vendita di cosa generica (la cui proprietà si trasferisce, ex art. 1378 c.c., con l’individuazione), il giudice d’appello ne ha dedotto che l’Ortofrutticola Acese era legittimata a chiedere l’indennizzo assicurativo. Si tratta di un giudizio fondato su corretti principi giuridici e sull’altrettanto corretta interpretazione delle clausole contrattuali pattuite tra le parti.

Il secondo motivo sostiene che la determinazione dei danni indennizzabili ai sensi di polizza deve essere effettuata attraverso l’interpretazione letterale, logica e complessiva di tutte le clausole. Si tratta di motivo inammissibile, sia per l’assoluta inidoneità del quesito di diritto posto a corredo (richiesto, appunto, a pena d’inammissibilità in considerazione della data di deposito della sentenza impugnata), sia perchè esso si risolve nella proposta di diversa interpretazione delle clausole contrattuali. Il terzo motivo censura la sentenza per vizi della motivazione in relazione alla non riconosciuta responsabilità dell’attuale controricorrente per violazione degli obblighi di salvataggio, ex art. 1914 c.c..

Il motivo è infondato, in quanto la sentenza logicamente e congruamente motiva (cfr. pag. 17) in ordine alle ragioni per le quali deve escludersi la violazione dei suddetti obblighi da parte della società venditrice.

Il quarto motivo sostiene che la sentenza avrebbe erroneamente individuato la responsabilità del vettore marittimo per l’avaria occorsa in base ad una sola delle clausole contrattuali, senza considerare le altre.

Il motivo è inammissibile per le ragioni già esposte relativamente al secondo motivo.

Il quinto motivo, che censura la sentenza per avere omesso di motivare in ordine alla quantificazione dell’importo indennitario, è inammissibile in quanto si risolve nella prospettazione di questioni di fatto esulanti dal giudizio di cassazione.

L’ultimo motivo, che censura la sentenza per non avere fatto applicazione della franchigia contrattualmente prevista, è inammissibile siccome pone una questione nuova che non risulta essere stata dibattuta nel giudizio di merito; nè, sul punto, le ricorrenti lamentano l’omessa pronunzia (ai sensi dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 360 c.p.c., n. 4).

In conclusione, il ricorso deve essere respinto e le ricorrenti vanno condannate in solido a rivalere la controparte delle spese sopportate nel giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 12200,00, di cui Euro 12000,00 per onorari, oltre spese ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2011

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