Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15905 del 11/07/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 15905 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: SCRIMA ANTONIETTA

SENTENZA
sul ricorso 25629-2008 proposto da:
MORGANTE ANTONIO MRGNTN38A02E811F, elettivamente
domiciliato in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 29, presso
lo studio dell’avvocato BURATTI MARZOCCHI MARIANO, che lo
rappresenta e difende giusta procura speciale del Dott. Notaio
FILIPPO RAUCCIO in AVEZZANO il 9/10/2012, REP. N. 41878,
unitamente all’avvocato CASELLA ARMANDO con studio in
AVEZZANO, VIA P. e M. CURIE 12 giusta procura speciale a
margine del ricorso;

– ricorrente contro

Data pubblicazione: 11/07/2014

MORGANTE ADALBERTO MRGDBR47B01E811G, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CONCA D’ORO 300, presso lo studio
dell’avvocato GIOVANNI BAFILE, che lo rappresenta e difende
unitamente agli avvocati FRANCESCO BAFILE, PASQUALE
BAFILE giusta procura speciale a margine del controricorso;

ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato OTTAVI
GIUSEPPE giusta procura in calce al controricorso;

– controticorrenti nonchè contro
MORGANTE LUIGI, AMATILLI MARIANNINA;

intimati

avverso la sentenza n. 354/2008 della CORTE D’APPELLO di
L’AQUILA, depositata il 29/05/2008, R.G.N. 1148/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
07/05/2014 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;
udito l’Avvocato MARIANO MARZOCCHI BURATTI;
udito l’Avvocato GIOVANNI BAFILE anche per delega
dell’Avvocato FRANCESCO BAFILE;
udito l’Avvocato GIUSEPPE OTTAVI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
MAURIZIO VELARDI che ha concluso per l’inammissibilità, in
subordine per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 3 aprile 1989 Antonio Morgante conveniva in
giudizio, innanzi al Tribunale di Avezzano, il fratello Carlo, chiedendo
che fosse accertata come congrua la somma di £ 3.000.000 per ogni
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MORGANTE CARLO MRGCRL44E06E811C, domiciliato ex lege in

anno, in relazione al periodo 1981-1988, da lui offerta al convenuto
per la detenzione di un immobile, adibito a bar, albergo ristorante di
cui era comproprietario con i fratelli Carlo, Luigi e Adalberto e che
fosse dichiarato che la detenzione dell’intero immobile era stata
legittimamente da lui esercitata dal 1981 al 1988 con il consenso degli

Il convenuto si costituiva; negava di aver consentito al fratello Antonio
e alla sua consorte, Mariannina Amatilli, la detenzione dell’immobile in
questione e chiedeva l’accertamento del compenso dovutogli in misura
superiore a quella offerta dall’attore.
Veniva integrato il contraddittorio nei confronti di Luigi e Adalberto
Morgante ma si costituiva solo quest’ultimo deducendo l’esistenza di
un rapporto di affitto di azienda tra Antonio Morgante e i fratelli
Carlo, Luigi e Adalberto Morgante e l’inadempimento dell’affittuario e
chiedendo la risoluzione del contratto per inadempimento
dell’affittuario, la condanna di quest’ultimo al pagamento delle somme
a lui spettanti nonché la divisione giudiziale dei beni.
Con atto di citazione del 14 maggio 1990 Adalberto Morgante
conveniva in giudizio i fratelli Antonio, Carlo e Luigi nonché
Mariannina Amatilli, chiedendo la risoluzione dell’affitto di azienda
dell’albergo, il pagamento dei compensi dovuti e lo scioglimento della
comunione con divisione del compendio immobiliare.
Il convenuto Carlo Morgante si costituiva contestando l’esistenza di un
affitto di azienda e aderiva alla domanda di divisione. Si costituivano in
quel giudizio anche l’Amarilli e Morgante Antonio mentre Morgante
Luigi restava contumace.
Riuniti i due procedimenti, il Tribunale adito, con sentenza del 31
gennaio 2004, disponeva lo scioglimento della comunione e, dato atto
della indivisibilità dell’immobile, ne disponeva la vendita all’incanto,
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altri comproprietari.

con la ripartizione tra i condividenti delle rispettive quote, accertava
che Antonio Morgante aveva posseduto in via esclusiva il bene in
questione dal 1981 e lo condannava al pagamento, in favore dei fratelli
Adalberto e Carlo, della somma di € 67.385,00 ciascuno, quale somma
capitale loro spettante per il godimento del bene comune, oltre

di Adalberto Morgante nei confronti di Mariannina Amatilli e regolava
le spese.
Avverso tale decisione Antonio Morgante proponeva appello, cui
resistevano Adalberto e Carlo Morgante.
Non si costituivano in quel grado Luigi Morgante e Mariannina
Amati l li.
La Corte di appello dell’Aquila, con sentenza del 29 maggio 2008,
rigettava il gravame e condannava l’appellante alle spese di quel grado.
Avverso la sentenza della Corte di merito Antonio Morgante ha
proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
Hanno resistito con distinti controricorsi Carlo e Adalberto Morgante.
Gli intimati Luigi Morganti e Mariannina Amatilli non hanno svolto
attività difensiva in questa sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si lamenta “violazione artt. 43, 44, 67 e 68 L.
27.7.78 n. 392, art. 1105 c.c. in relazione all’art. 1571 c.c., falsa
applicazione al caso di specie dell’art. 1102 c.c., nonché insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio”.
Il ricorrente lamenta che la Corte di merito abbia ritenuto la domanda
di accertamento di un contratto di locazione ad uso non abitativo
inammissibile perché nuova e sostiene che sul punto la motivazione
della sentenza impugnata sia insufficiente e contraddittoria.
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rivalutazione ed interessi; dichiarava il difetto di legittimazione ad agire

1.2. In relazione al primo motivo si formula il seguente “quesito di
diritto”:
“Se i/ giudice, al di là delle espressioni usate dalle parti, abbia il dovere di
qualificare l’azione sulla base dei fatti accertati e se la sua discrezionaktà possa
spingersi fino al punto di negare circostanze che risultano dagli atti processuali e

detenzione di un immobile (nel caso di specie un contratto di locazione) anche se non
indicate in modo esplicito.
Se, pertanto, la Corte di Appello di L’Aquila, che erroneamente ha definito
domanda nuova la richiesta di accertamento del dedotto contratto di locazione,
abbia motivato in modo contraddittorio considerato che fornisce una soluzione
uguale a due domande contrastanti (quella di Carlo e quella di Adalberto
Morgante), assumendo l’inesistenza di qualsiasi titolo giustificativo di godimento da
parte di Antonio Morgante delle quote appartenenti fratelli, quando invece, per
espressa ammissione di Adalberto Luigi Morgante, risulta che venivano pagati
regolarmente dei canoni”.
2. Con il secondo motivo, rubricato “violazione dell’art. 2697 c.c.,
nonché omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo del
giudizio, n. 5 art. 360 c.p.c.”, il ricorrente lamenta che la Corte di
merito non abbia rigettato la domanda di Adalberto per mancato
assolvimento dell’onere probatorio ex art. 2967 c.c., non avendo questi
provato che a lui spettassero le pretese differenze di canone.
2.1. In relazione al secondo motivo il ricorrente pone il seguente
“quesito di diritto”:
“Se l’attore possa, in sede di precisazione delle conclusioni, sostituire la domanda
principale (nel caso di Adalberto diretta ad ottenere le differenze di canone) con
altra, non indicata in subordine ed in radicale contrasto con la prima, avente come
presupposto l’assenza di un titolo giustificativo, che invece dallo stesso è stato
pacificamente ammesso come esistente.
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che, univocamente, conducono a ritenere l’esistenza di un titolo giustificativo della

Se a fronte dell’eccezione del mancato assolvimento dell’onere probatorio ex art.
2697 c. c. la Corte di Appello avrebbe dovuto rigettare la domanda di Adalberto
Morgante e se l’omessa motivazione sul punto configuri vizio di annullamento della
sentenza”.
3.. Con il terzo motivo si lamenta “violazione dell’art. 112 c.p.c.,

giudizio”.
Assume il ricorrente che, accogliendo le richieste formulate nelle
conclusioni, il Tribunale avrebbe attribuito ad Adalberto Morgante più
di quanto domandato, con conseguente vizio di ultrapetizione, in
quanto questi avrebbe aggiunto all’importo indicato in perizia per il
periodo 1981-1981 anche i canoni da lui percepiti per lo stesso
periodo; sostiene che la Corte di merito, nonostante “la sollevata
eccezione”, non avrebbe ritenuto di dare alcuna motivazione a tale
riguardo.
3.1. In relazione al terzo motivo di ricorso il ricorrente pone il
seguente “quesito di diritto”: “se in forza del principio di corrispondenza tra il

chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. Adalberto Morgante poteva
ottenere più di quanto domandato, e se la mancata decisione della Corte di Appello,
che aveva il dovere di rilevare l’eccezione di ultrapetizione, costituisca vizio di
omessa motivazione”.
4. Con il quarto motivo si lamenta “insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex n. 5
art. 360 c.p.c.”.
Sostiene il ricorrente che la Corte di merito avrebbe erroneamente
affermato che l’appellante non avrebbe criticato la valutazione
dell’immobile operata dal CTU, avendo egli, invece, censurato le due
consulenze nell’atto di appello, lamentando l’eccessivo valore di
mercato attribuito all’intero immobile e criticando la genericità e
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nonché omessa motivazione su un punto controverso e decisivo del

povertà degli argomenti usati dall’ausiliare, nonché la mancanza di
riscontri concreti sui quali “misurare” la bontà dei calcoli utilizzati per
stimare il valore locativo dell’immobile e deduce che la predetta Corte
si sarebbe “limitata ad ignorare sostanzialmente l’argomento”.
4.1. Con riferimento al quarto motivo di ricorso Morgante Antonio

“Se la valutaione dell’immobile e la stima del suo valore locativo siano attendibili
quando lo stesso (TU non solo non tiene conto delle carene de/fabbricato da lui
stesso riscontrate, ma non indica in concreto i parametri utili alla verifica degli
accertamenti effettuati e dei risultati ottenuti nel calcolo dei frutti civili.
Se l’insufficiena della motivazione della Corte, che sostiene (contro ogni evidena)
che non vi è stata alcuna critica alla valutnione effettuata dal consulente costituisca
vkio di annullamento della sententi”.
5. Al ricorso in esame si applica il disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c. inserito nel codice di rito dall’art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed
abrogato dall’art. 47, comma 1, lett. d) della legge 18 giugno 2009, n.
69 – in considerazione della data di pubblicazione della sentenza
impugnata (29 maggio 2008).
5.1. Questa Corte ha in più occasioni chiarito che nei casi previsti
dall’art. 360, primo comma, nn. 1, 2, 3 e 4, c.p.c. “i quesiti di diritto
imposti dall’art. 366 bis c.p.c. – introdotto dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n.
40, art. 6, comma 1, secondo una prospettiva volta a riaffermare la
cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di
soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite
diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo
stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto
applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica
della Corte di Cassazione, il cui rafforzamento è alla base della nuova
normativa secondo N’esplicito intento evidenziato dal legislatore
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pone il seguente “quesito di diritto”:

all’art. 1 della Legge Delega 14.5.2005, n. 80; i quesiti costituiscono,
pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico
e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti,
inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di
legittimità” (v. Cass., sez. un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass. 9 maggio

un., 29 ottobre 2007, n. 22640; Cass., sez. un., 21 giugno 2007, n.
14385).
Pertanto, affermano le Sezioni Unite di questa Corte che,
“travalicando” “la funzione nomofilattica demandata al giudice di
legittimità” “la risoluzione della singola controversia, il legislatore ha
inteso porre a carico del ricorrente l’onere imprescindibile di
collaborare ad essa mediante l’individuazione del detto punto di
congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del
più generale principio giuridico, alla quale il quesito è funzionale,
diversamente risultando carente in uno dei suoi elementi costitutivi la
stessa devoluzione della controversia ad un giudice di legittimità:
donde la comminata inammissibilità del motivo di ricorso che non si
concluda con il quesito di diritto o che questo formuli in difformità dai
criteri informatori della norma. Incontroverso che il quesito di diritto
non possa essere desunto per implicito dalle argomentazioni a
sostegno della censura, ma debba essere esplicitamente formulato,
nell’elaborazione dei canoni di redazione di esso la giurisprudenza di
questa Suprema Corte è, pertanto, ormai chiaramente orientata nel
ritenere che ognuno dei quesiti formulati per ciascun motivo di ricorso
debba consentire l’individuazione tanto del principio di diritto che è
alla base del provvedimento impugnato, quanto, correlativamente, del
principio di diritto, diverso dal precedente, la cui auspicata
applicazione ad opera della Corte medesima possa condurre ad una
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2008, n. 11535; Cass., sez. un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., sez.

decisione di segno inverso rispetto a quella impugnata; id est che il
giudice di legittimità debba poter comprendere, dalla lettura del solo
quesito inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di
diritto asseritamente compiuto dal giudice e quale sia, secondo la
prospettazione del ricorrente, la diversa regola da applicare. Ove tale

un’astratta petizione di principio che, se pure corretta in diritto,
risulterebbe, ciò nonostante, inidonea sia ad evidenziare il nesso tra la
fattispecie concreta, l’errore di diritto imputato al giudice a quo ed il
difforme criterio giuridico di soluzione del punto controverso che si
chiede venga affermato, sia ad agevolare la successiva enunciazione del
principio cui la Corte deve pervenire nell’esercizio della funzione
nomofilattica. Il quesito non può, pertanto, consistere in una mera
richiesta d’accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in
ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello
svolgimento dello stesso, ma deve costituire la chiave di lettura delle
ragioni esposte e porre la Corte medesima in condizione di rispondere
ad esso con l’enunciazione d’una regula iulis che sia, in quanto tale,
suscettibile, al contempo, di risolvere il caso in esame e di ricevere
applicazione generale, in casi analoghi a quello deciso” (v., in
motivazione, Cass., sez. un., 6 febbraio 2009, n. 2863; v. Cass., ord., 24
luglio 2008, n. 20409).
5.2. Nella giurisprudenza di questa Corte é stato, inoltre, precisato che,
secondo l’art. 366 bis c.p.c., anche nel caso previsto dall’art. 360, primo
comma, n. 5, c.p.c., l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a
pena di inammissibilità, la chiara indicazione, sintetica ed autonoma,
del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assuma
omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la
9

articolazione logico-giuridica manchi, il quesito si risolverebbe in

decisione, e la relativa censura deve contenere un momento di sintesi
(omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i
limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione
del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass., sez. un., 1°
ottobre 2007, n. 20603; Cass. 27 ottobre 2011, n. 22453). Con

qualora solo la completa lettura della complessiva illustrazione del
motivo – all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e
non di una indicazione da parte del ricorrente – consenta di
comprendere il contenuto e il significato delle censure (Cass., ord., 18
luglio 2007, n. 16002; Cass. 19 maggio 2011, n. 11019), in quanto la
ratio che sottende la disposizione indicata è associata alle esigenze
deflattive del filtro di accesso alla suprema Corte, la quale deve essere
posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito,
quale sia l’errore commesso dal giudice di merito (v. Cass. 18
novembre 2011, n. 24255).
5.3. Secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza di questa
Corte, che va ribadito, è ammissibile il motivo di ricorso con cui siano
denunziati sia vizi di violazione di legge che di motivazione, qualora
tale motivo si concluda con la formulazione di tanti quesiti
corrispondenti alle censure proposte, poiché nessuna prescrizione è
rinvenibile nelle norme processuali che ostacoli tale duplice denunzia, a
nulla rilevando l’art. 366 bis c.p.c., inserito dall’art. 6, d.lgs. 2 febbraio
2006 n. 40, il quale esige che, nel caso previsto dal n. 3 dell’art. 360
c.p.c., il motivo sia illustrato con un quesito di diritto e, nel caso
previsto dal n. 5, che l’illustrazione contenga la chiara indicazione del
fatto controverso, in relazione al quale si assuma che la motivazione sia
omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza la renda inidonea a giustificare la decisione ma non
10

l’ulteriore precisazione che tale requisito non può dirsi rispettato

richiede anche che il quesito di diritto e gli elementi necessari alla
illustrazione del vizio di motivazione siano prospettati in motivi distinti
(Cass. 18 gennaio 2008, n. 976; Cass. 26 marzo 2009, n. 7621).
6. Alla luce di tali principi vanno esaminati i singoli motivi di ricorso.
6.1. Il primo motivo é inammissibile, per inidoneità del quesito

6.1.1. Ed invero, quanto alle doglianze di violazione di norme di
diritto, si osserva che, come più volte affermato da questa Corte e
come già sopra evidenziato, il quesito di diritto deve compendiare la
riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di
merito, la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel
giudice e la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si
sarebbe dovuta applicare al caso di specie. La mancanza – come nel
caso all’esame – anche di una sola di tali indicazioni nel quesito di
diritto rende inammissibile il motivo cui il quesito così formulato sia
riferito (Cass., ord., 25 settembre 2007, n. 19892 e 17 luglio 2008, n.
19769; Cass. 30 settembre 2008, n. 24339; Cass. 13 marzo 2013, n.
6286, in motivazione). Né, peraltro, il quesito può consistere nel mero
interpello della Corte in ordine alla fondatezza o meno delle
propugnate petizioni di principio o della censura così come illustrata
nello svolgimento del motivo (Cass. 7 marzo 2012, n. 3530), e in un
interpello siffatto pure si risolve sostanzialmente il formulato quesito.
6.1.2. In relazione ai lamentati vizi motivazionali, si rileva che, pur a
voler ritenere la seconda parte del quesito formulato, definito dal
ricorrente “quesito di diritto”, quale momento di sintesi o cd. quesito
di fatto, lo stesso risulta inadeguatamente formulato, non
evidenziandosi in esso – peraltro riferito alla sola contraddittorietà e
non anche alla insufficienza della motivazione cui pure si fa
riferimento nella rubrica del motivo — senza trascrivere proposizioni
11

formulato.

della sentenza tra loro contraddittorie ovvero tra loro inconciliabili o
tali da elidersi a vicenda (Cass. 2 marzo 2012, n. 3248); a tanto va
aggiunto che il vizio di contraddittorietà della motivazione ricorre solo
in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non comprendere
la ratio decidendi che sorregge il decisum adottato, per cui non sussiste

sussistano — come nel caso all’esame — incertezze di sorta su quella che
è stata la volontà del giudice (Cass., sez. un., 22 dicembre 2010, n.
25984).
6.2. Anche il secondo motivo é inammissibile per inidoneità del
quesito proposto.
6.2.1. Per quanto attiene ai vizi di violazione di legge valgono le
medesime considerazioni già esposte al paragrafo 6.1.1. in relazione al
primo motivo.
6.2.2. Con riferimento poi ai vizi motivazionali, pur a voler ritenere la
seconda parte del quesito proposto come momento dì sintesi o cd.
quesito di fatto, lo stesso risulta inadeguatamente formulato, alla luce
di quanto evidenziato nel paragrafo 5.2. e tende, comunque,
inammissibilmente ad una rivalutazione del merito, non consentita in
questa sede (Cass., sez. un., 25 ottobre 2012, n. 24148).
6.3. Il terzo motivo é inammissibile per inidoneità del quesito proposto
in relazione alla dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., difettando in
esso ogni specifico riferimento al caso concreto, neppure indicandosi
le somme richieste e l’importo liquidato dal giudice; manca, inoltre, in
relazione al dedotto vizio motivazionale, la formulazione di un
autonomo ed adeguato momento di sintesi o cd. quesito di fatto che
dia conto delle specifiche circostanze di fatto controverse, come
necessario, anche se detti fatti possano evincersi dal contesto del
motivo.
12

motivazione contraddittoria allorché, dalla lettura della sentenza, non

6.4. Anche il quarto motivo é inammissibile, sia per inidonea
formulazione del quesito proposto, peraltro privo di adeguati
riferimenti a specifiche circostanze di fatto controverse, sia perché
involge questioni di fatto rimesse all’apprezzamento del giudice di
merito ed insindacabili in sede di legittimità

8. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo,
seguono la soccombenza tra le parti costituite, mentre non vi é luogo
a provvedere per dette spese nei confronti degli intimati, non avendo
gli stessi svolto attività difensiva in questa sede.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida,
in favore di ciascun controricorrente, in complessivi curo 7.400,00, di
cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori, come per
legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza
Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 maggio 2014.

7. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

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