Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1590 del 26/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 26/01/2021, (ud. 20/11/2020, dep. 26/01/2021), n.1590

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5456/2017 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello

Stato e presso i cui uffici domicilia in Roma, alla Via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

3T Invest s.r.l., già Vetrerie 2T s.r.l., in persona del legale

rappresenta pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, n. 7052/2016, depositata il 18 luglio 2016.

Nonchè sul ricorso proposto da:

3T Invest s.r.l., già Vetrerie 2T s.r.l., in persona del legale

rappresenta pro tempore, rappresentata e difesa giusta mandato a

margine del ricorso dall’Avv. Lucio Modesto Maria Rossi,

elettivamente domiciliata in Caserta, Corso Trieste n. 631;

domiciliato in Roma p.zza Cavour, presso la Cancelleria della Corte

di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello

Stato e presso i cui uffici domicilia in Roma, alla Via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso il diniego di condono del 27-12-2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 novembre

2020 dal Consigliere Dott. D’Orazio Luigi.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.La Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli, che aveva accolto il ricorso presentato dalla Vetrerie 2T s.r.l., ora 3T Invest s.r.l., contro la cartella di pagamento emessa nei suoi confronti, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, per l’anno 2010, per due riprese fiscali. La prima di esse riguardava tardivi versamenti; la seconda atteneva al disconoscimento di un credito di imposta per attività di ricerca, per Euro 28.050,00, in quanto non indicato nella dichiarazione dei redditi del 2009; la terza era relativa ad un credito Iva dell’anno 2009 che non poteva essere portato in compensazione nell’anno 2010, in quanto la dichiarazione era stata tardiva e, quindi, da considerare omessa. Per il giudice di appello “Agenzia delle entrate aveva provveduto alle rettifiche previa risoluzione di questioni giuridiche, sicchè sarebbe stata necessaria la comunicazione di un avviso di irregolarità.

2.Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate. 3.Resta intimata la contribuente.

4.La società ha presentato istanza di condono ai sensi del D.L. 119 del 2018, art. 6 in data 29-5-2019, domanda n. (OMISSIS), con protocollo n. 0911538.29/05/2019.

5.La contribuente 3T Invest s.r.l. ha presentato ricorso contro il diniego della definizione agevolata di cui al prot. 193450/2019, depositando anche memoria scritta.

6.L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Preliminarmente, si rileva che i due procedimenti risultano già riuniti, ai sensi dell’art. 274 c.p.c., stante la pregiudizialità della decisione in ordine alla impugnazione del diniego della definizione della lite pendente.

1.1.Deve esaminarsi, dunque, per primo il ricorso relativo al diniego della richiesta del contribuente di definizione agevolata della lite, ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, ai fini della dichiarazione di cessazione della materia del contendere a seguito di definizione della lite pendente.

1.2.Anzitutto, si rileva che l’impugnazione del provvedimento di diniego di accesso alla definizione della lite pendente va effettuato dinanzi alla Corte di Cassazione.

Invero, il D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, art. 6, comma 12, convertito con modificazione dalla L. 17 dicembre 2018, n. 136, ricalca, nella sostanza, salvo minime divergenze di forma, la L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, comma 8, richiamato dal D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, prevedendo che “l’eventuale diniego della definizione va notificato entro il 31 luglio 2020 con le modalità previste per la notificazione degli atti processuali. Il diniego è impugnabile entro sessanta giorni dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la controversia”.

Pertanto, proprio per la sovrapponibilità delle due norme richiamate, possono essere applicati i principi di diritto già espressi in precedenza da questa Corte. Infatti, si è ritenuto che, in tema di condono fiscale, e con riferimento alla definizione agevolata delle liti fiscali pendenti prevista dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, l’impugnazione del provvedimento di diniego della definizione della lite che penda in fase di legittimità, deve essere proposta dinanzi alla Corte di cassazione nelle forme e secondo le modalità del ricorso per cassazione dettate dal codice di procedura civile, atteso il richiamo di queste da parte del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, comma 2, e l’inesistenza, in tale decreto legislativo, di qualsivoglia disposizione peculiare in ordine alle modalità di proposizione di detto ricorso (Cass., 12 luglio 2006, n. 15847).

Si è anche affermato che, in tema di contenzioso tributario, la definizione della lite fiscale mediante presentazione da parte del contribuente dell’istanza prevista dal D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, conv. con mod. in L. n. 111 del 2011, comporta l’estinzione del giudizio del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 46, comma 1, per sopravvenuta cessazione della materia del contendere sul rapporto tributario controverso, con conseguente cassazione senza rinvio della pronuncia impugnata (Cass., 9 settembre 2016, n. 17817).

Infatti, la cessazione della materia del contendere determina, da un lato, la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passate in cosa giudicata, dall’altro, la sua assoluta inidoneità, ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere: risultato che può essere conseguito soltanto mediante una sentenza che operi alla stregua di cassazione senza rinvio ex art. 382 c.p.c. comma 3, per improseguibilità della causa, in quanto l’avvenuta composizione della controversia, per il venir meno di ragioni di contrasto fra le parti, comporta conseguenze di ordine sostanziale sul contenuto delle proposte domande e delle successive sentenze. Pertanto, si determina, non la mera inammissibilità del ricorso, che si esaurirebbe sul piano processuale, ma la necessaria rimozione delle sentenze emesse, in quanto non più attuali, perchè inidonee a regolare il rapporto tra le parti (Cass.Civ., 23 settembre 2011, n. 19533)

3.Deve, poi, rilevarsi che, in tema di condono fiscale, rientrano nel concetto di lite pendente, con possibilità di definizione agevolata ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 3, le controversie relative a cartella esattoriale emessa del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, non preceduta da precedente atto di accertamento, la quale, come tale, è impugnabile non solo per vizi propri, ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva, trattandosi del primo e unico atto con cui la pretesa fiscale viene comunicata al contribuente (Cass., 25 gennaio 2016, n. 1295).

Il tenore del D.L. n. 98 del 2011, art. 16, comma 3, lett. a, non diverge da quello del D.L. n. 118 del 2018, art. 6. Infatti, del D.L. n. 98 del 2011, art. 16, comma 3, lett. a, definisce come “lite pendente”, “quella in cui è parte l’Amministrazione finanziaria dello Stato avente ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione, per i quali alla data di entrata in vigore della presente legge, è stato proposto l’atto introduttivo del giudizio”.

Il D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 1, prevede (“definizione agevolata delle controversie tributarie”) che “Le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, prendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in cassazione, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio…con il pagamento di un importo pari al valore della controversia”.

Si fa, dunque, riferimento agli “atti impositivi”.

Sul punto, l’Agenzia delle Entrate, con circolare n. 48 del 2011 ha ritenuto che non sono definibili l’avviso di liquidazione ed i; ruolo in considerazione della natura di tali atti non riconducibili nella categoria degli atti impositivi in quanto finalizzati alla riscossione dei tributi e degli accessori (paragrafo 4.2.”In linea generale, non sono definibili le liti fiscali aventi ad oggetto i ruoli emessi per imposte e ritenute indicate dai contribuenti e dai sostituti di imposta nelle dichiarazioni presentate, ma non versate. I controlli su tali versamenti sono disciplinati espressamente del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, comma 2, lett. f)…Al recupero delle imposte non versate non si provvede, infatti, mediante atto impositivo che presupponga la rettifica della dichiarazione, ma con atto di mera riscossione, ricognitivo di quanto indicato dal contribuente o dal sostituto nella dichiarazione”). Pertanto, per l’Agenzia delle Entrate rientrano nella categoria degli atti definibili quelli che assolvono anche alla funzione di atto di accertamento, oltre che di riscossione.

Tuttavia, per questa Corte (Cass., 25 gennaio 2016, n. 1295; in tal senso anche Cass., n. 28611 del 2017; più recentemente 28 dicembre 2017, n. 31055; Cass., 17 gennaio 2019, n. 1158; Cass., sez. 5, 12 dicembre 2018, n. 32132; 27 settembre 2018, n. 23269), in caso di cartella di pagamento emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, l’atto non rappresenta la mera richiesta di pagamento di una somma definita con precedenti atto di accertamento, autonomamente impugnabili e non impugnati, ma riveste anche natura di atto impositivo, trattandosi del primo ed unico atto con cui la pretesa fiscale è stata esercitata nei confronti del dichiarante, con conseguente sua impugnabilità, ai sensi del D.P.R. n. 546 del 1992, art. 19, anche per contestare il merito della pretesa impositiva (Cass. 1263/2014).

Non può, dunque, dubitarsi che l’impugnazione della cartella di pagamento, con cui l’Amministrazione liquida le imposte calcolate sui dati forniti dallo stesso contribuente, dà origine ad una controversia definibile in forma agevolata, ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, in quanto detta cartella, essendo l’unico atto portato a conoscenza del contribuente con cui si rende nota la pretesa fiscale e non essendo preceduta da avviso di accertamento, è impugnabile non solo per vizi propri della stessa, ma anche per questioni che attengono direttamente al merito della pretesa fiscale ed ha, quindi, natura di atto impositivo.

4.Deve, quindi, dichiararsi l’illegittimità del diniego di definizione della lite, con conseguente estinzione del giudizio per sopravvenuta cessazione della materia del contendere in ordine al rapporto tributario controverso, concernente la cartella n. (OMISSIS) (anno 2010) per Euro 28.050,00.

Infatti, il ricorrente ha presentato l’istanza prevista dal D.L. n. 119 del 2018, art. 6, con conseguente versamento della relativa imposta, anche se nel corso del procedimento, come risulta dalla copia della domanda in data 29-52019 (cfr. pagina 2 del controricorso della Agenzia delle entrate) per la definizione della lite pendente iscritta (relativa alla cartella di pagamento (OMISSIS)), e regolarmente ricevuta dalla Agenzia delle Entrate, con il versamento della somma di Euro 1.402,90 (per una lite pendente di importo di Euro 28.058,00, nella percentuale del 5 per cento), documenti allegati alla nota prodotta in atti. Tali documenti non sono stati oggetto di specifica contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate nel controricorso depositato, sicchè deve ritenersi ai sensi dell’art. 115 c.p.c. che il pagamento sia effettivamente avvenuto e nella misura di legge.

Il D.L. n. 118 del 2019, art. 6, comma 2, infatti, prevede che “In deroga a quanto previsto dal comma 1, in caso di soccombenza della Agenzia delle entrate nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare depositata alla data di entrata in vigore del presente decreto, le controversie possono essere definite con il pagamento…a) del 40 per cento del valore della controversia in caso di soccombenza nella pronuncia di primo grado; b) del 15 per cento del valore della controversia in caso di soccombenza nella pronuncia di secondo grado”.

Al comma 2 ter dell’art. 6, in vigore dal 19-12-2018, si dispone che “le controversie tributarie pendenti innanzi alla Corte di cassazione, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, per le quali l’Agenzia delle entrate risulti soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio, possono essere definite con il pagamento di un importo pari al 5 per cento del valore della controversia”.

Restano, quindi, assorbiti i motivi del ricorso principale presentato dalla Agenzia delle entrate.

Le spese dell’intero giudizio vanno interamente compensate tra le parti, per intervenuto mutamento giurisprudenziale sulla questione.

P.Q.M.

Dichiara illegittimo il diniego di definizione della lite e, per l’effetto, dichiara estinto il giudizio per sopravvenuta cessazione della materia del contendere ai sensi del D.L. n. 119 del 2018.

Compensa interamente tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 20 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2021

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