Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15899 del 11/07/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 15899 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: SESTINI DANILO

Ud. 07/05/2014

SENTENZA

sul ricorso 13158-2008 proposto da:

PU

CON PALERMO 80016350821 in persona del Sindaco pro
tempore, domiciliato ex lege in ROMA, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato
e difeso dall’avvocato SANSONE MARIA PIA con studio
in PALERMO, PIAZZA MARINA 39 giusta procura speciale
2014

in calce al ricorso;
– ricorrente –

111 37
contro

GERACI ANTONINA, CARABILLO’ VINCENZO, CARABILLO’
ANTONIO,

tutti

eredi

ex

lege

1

di

CARABILLO’

Data pubblicazione: 11/07/2014

MICHELANGELO, domiciliati ex lege in ROMA presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati
e difesi dall’avvocato MONTELIONE ANTONINO con studio
in PALERMO, VIA CONTESSA ADELASIA 5 giusta procura
speciale a margine del controricorso;
controricorrente

avverso la sentenza n. 131/2008 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 12/02/2008, R.G.N.
231/2000;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/05/2014 dal Consigliere Dott. DANILO
SESTINI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI che ha concluso per
il rigetto del ricorso;

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con

atto

di

citazione

del

7.10.95,

Carabillò Michelangelo -proprietario di un
immobile locato al Comune di Palermo e adibito
1985, il Pretore di Palermo aveva convalidato
lo sfratto per morosità, ma il Comune aveva
continuato ad occupare l’immobile col consenso
del locatore; che, sino a tutto il 1988,
l’Amministrazione aveva regolarmente versato i
corrispettivi consensualmente determinati dalle
parti; che, per il periodo successivo e fino al
rilascio dell’immobile (avvenuto il 23.11.93),
non era stato raggiunto alcun ulteriore accordo
sul corrispettivo e il Comune aveva versato -in
ritardo- somme inferiori rispetto a quelle
richieste e rispetto alle stesse valutazioni
fatte da un’apposita commissione comunale in
vista della stipulazione di un nuovo contratto
di locazione; chiedeva, pertanto, la condanna
del Comune al pagamento delle differenze fra
quanto dallo stesso corrisposto e il valore
locativo dell’immobile, nonché la condanna al
risarcimento dei danni in misura corrispondente
alla spesa necessaria per riportare l’immobile
in normali condizioni di manutenzione e al
rimborso delle spese sostenute per adeguare
l’immobile alla normativa antincendio.

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a scuola media- deduceva che, nel novembre

L’Amministrazione convenuta contestava la
domanda assumendo, fra l’altro, che fra le
parti si era instaurato un nuovo rapporto
locatizio e che non ricorrevano le condizioni
quanto il locatore aveva ottenuto, di volta in
volta, il corrispettivo determinato ex novo) e
per il risarcimento dei danni (atteso che il
deterioramento del bene era dipeso dall’uso
protrattosi nel tempo e dall’assenza di
interventi di manutenzione da parte del
locatore).
Il Tribunale di Palermo condannava il
Comune al risarcimento dei danni cagionati alla
struttura (quantificati in £ 525.000.000),
rigettando -invece- la domanda volta a
conseguire il pagamento della differenza fra
somme corrisposte e valore locativo
dell’immobile.
La Corte di Appello di Palermo, in parziale
accoglimento dell’appello principale proposto
dal Carabillò, condannava il Comune al
pagamento dell’ulteriore somma di C 449.217,70,
a titolo di differenza fra valore locativo e
somme corrisposte dall’Amministrazione, e
rideterminava in 222.798,31 la somma dovuta a
titolo di risarcimento danni; condannava,
infine, il Comune al pagamento delle spese di
entrambi i gradi di giudizio.
4

per l’applicazione dell’art. 1591 c.c. (in

Ricorre per Cassazione il Comune di
Palermo, affidandosi a due motivi illustrati da
memoria; resistono con controricorso gli eredi
di Michelangelo Carabillò (Antonina Geraci,
nel corso del giudizio di appello.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Deve preliminarmente rilevarsi che, in
difetto di impugnazione sugli altri capi della
sentenza emessa dalla Corte di Appello di
Palermo, l’attuale oggetto del giudizio è
circoscritto alle questioni della spettanza (o
meno) delle ulteriori somme richieste dagli
eredi Carabillò per l’utilizzo dei locali nel
periodo dall’1.1.1989 fino alla data del
rilascio

(novembre

1993)

e

quantificazione del risarcimento per i

della
danni

cagionati all’immobile.
2. Col primo motivo di ricorso, il Comune
deduce “violazione ed erronea applicazione
dell’art. 1591 c.c. – insufficiente

e

contraddittoria motivazione”, formulando il
seguente quesito di diritto:

“1.a maggior

danno ex art. 1591 c.c. non può essere provato
in base all’astratto valore locativo del bene,
determinato con consulenza tecnica d’ufficio,
ma deve essere rigorosamente provato dal
locatore nella sua esistenza e nel suo

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Vincenzo e Antonio Carabillò), già costituitisi

ammontare, con riferimento ad una effettiva
lesione del suo patrimonio’; 1.b “Il consenso
espressamente manifestato dal locatore alla
continuazione del rapporto con il conduttore
conduttore all’obbligo di restituire il bene
locato e di ogni pertinente responsabilità

ex

art. 1591, 2^ parte, c.c.’.
2.1. Il motivo è fondato, per quanto di
ragione (ossia in relazione al profilo
riassunto dal quesito 1.a), alla luce di una
ricostruzione del caso che ne comporta -a
differenza di quanto sostenuto dal Comune- la
sussunzione nel paradigma dell’art. 1591 c.c..
2.2. La peculiarità della vicenda è
costituita dal fatto che, risolto il contratto
di locazione a seguito di convalida di sfratto
pronunciata nel novembre 1985, il Comune
conservò la disponibilità dell’immobile per gli
anni successivi, e ciò col consenso del
locatore e sulla base di accordi che
riguardarono -fino a tutto l’anno 1988- anche
le condizioni economiche della persistente
occupazione.
Tale situazione ha fatto ritenere al primo
giudice che tra le parti fosse intervenuta una
rinnovazione tacita del contratto, che è stata,
invece, esclusa dal giudice dell’appello (pur

6

impedisce il configurarsi dell’inadempienza del

con

la precisazione

che

la perdurante

occupazione trovava titolo nell’espresso
consenso del proprietario e che “l’indennità di
occupazione corrisposta dall’Ente non aveva
corrispettivo per il protrarsi
dell’occupazione”).
2.3. Al riguardo, risultano corrette le
affermazioni con cui la sentenza impugnata ha
escluso che fra le parti fosse intervenuta una
rinnovazione tacita del rapporto di locazione,
in quanto la volontà di obbligarsi di una
pubblica amministrazione deve manifestarsi
attraverso atti tipici e non per facta
concludentia (cfr., ex plurimis, Cass. n.
11649/2002), mentre appare erronea (e
contraddittoria) la conclusione che l’indennità
versata dal Comune non avesse natura
risarcitoria, atteso che, negata la
prosecuzione o la ricostituzione del rapporto
contrattuale (risolto dalla convalida di
sfratto), non appare ipotizzabile (tertium non
datur) che il Comune abbia versato somme a
titolo diverso dal risarcimento del danno per
la perdurante occupazione (ex art. 1591 c.c.).
2.4. La circostanza che tale occupazione
fosse consentita dal locatore (che, in
sostanza,

concesse ripetute dilazioni del

termine di rilascio) non vale ad escludere che
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natura risarcitoria, ma di semplice

il

conduttore

fosse

comunque

in

mora

nell’adempimento dell’obbligo contrattuale di
restituire il bene locatogli (giacché la mora
si era determinata fin dal momento della
quindi,

ad

impedire

l’operatività

della

previsione dell’art. 1591 c.c., ma riveste
un’indubbia

rilevanza

ai

fini

della

quantificazione della c.d. indennità di
occupazione.
2.5. E’ noto che tale indennità ha natura
risarcitoria (lo indica la stessa rubrica
dell’art. 1591 c.c. e lo si desume chiaramente
dalla circostanza che la salvezza dell’obbligo
di risarcire il “maggior danno” non può che
presupporre un’identica natura risarcitoria
nell’obbligo di “dare al locatore

il

corrispettivo convenuto fino alla riconsegna”)
e che -con la disposizione in esame- il
legislatore ha inteso effettuare una
liquidazione forfetaria minima del danno per
ritardata restituzione, ragguagliandola al
corrispettivo convenuto (cfr. Cass. n.
9488/2007), con salvezza della possibilità, per
il locatore, di dimostrare un eventuale maggior
danno.
2.6. Sebbene il “corrispettivo convenuto”
coincida, di norma, col canone di locazione,
nulla osta alla possibilità che l’importo
8

notifica dell’intimazione di sfratto) e,

risulti superiore per effetto di un accordo
successivo fra le parti, giacché l’indicazione
del legislatore è volta ad individuare un dato
economico che, in quanto concordato fra gli
assunto a parametro di riferimento per la
quantificazione del danno.
Ciò vale anche per gli importi determinati
dal Carabillò e dal Comune di Palermo dopo la
convalida dello sfratto e in costanza di
occupazione dell’immobile, senza che al
riconoscimento dell’efficacia di tali
pattuizioni osti un difetto di forma scritta,
giacché è pacifico che gli accordi
sull’indennità di occupazione vennero
formalizzati in deliberazioni della Giunta
Municipale: si trattò, in buona sostanza, di
accordi sulla liquidazione del danno
conseguente alla perdurante occupazione.
2.7. Nel caso di specie, l’ultimo valore
economico concordato è pacificamente quello
relativo all’anno 1988 (il ricorrente lo indica
in “£. 195.375.000 oltre oneri accessori” per il
periodo luglio 1988/luglio 1989) ed è pertanto
a tale valore che doveva essere ragguagliato il
risarcimento minimo per gli anni dal 1989 al
1993, salva restando -per il locatore- la
possibilità di provare un maggior danno.

9

interessati, possa ragionevolmente essere

2.8. Ciò detto, va escluso che tale maggior
danno possa risultare provato sulla base della
mera differenza fra il corrispettivo convenuto
dalle parti e il maggior valore del canone di
orientamento di questa Corte (ex plurimis,
Cass. n. 2552/2011), la prova del danno deve
essere fornita in modo rigoroso, in relazione a
effettive -e perdute- possibilità del locatore
di ricavare un maggior reddito dall’immobile
attraverso la nuova locazione dello stesso ad
un canone superiore, richiedendosi pertanto una
prova che, quand’anche si giovi di elementi
presuntivi (cfr. Cass. n. 14624/2004), non può
prescindere dal rigoroso accertamento della
concreta compromissione della nuova e più
remunerativa occasione locatizia.
2.9. La sentenza impugnata erra, dunque,
laddove afferma che “non vi sono dubbi allora
sul diritto del Carabillò ad ottenere una
indennità conforme al valore locativo del bene
e quindi a conseguirne il reddito percepibile
qualora lo stesso fosse stato locato a terzi in
condizioni di libero mercato”, senza richiedere
all’attore la prova dell’esistenza di concrete
occasioni di locazione ad un canone
corrispondente al teorico valore locativo e del
fatto che le stesse non si siano concretizzate

10

mercato giacché, secondo il consolidato

a causa del ritardato rilascio del bene da
parte del conduttore.
3. La sentenza va pertanto cassata, con
rinvio della causa alla Corte di Appello di
uniformarsi al seguente principio di diritto:
“ove, dopo che sia stato risolto il contratto
di locazione, il

conduttore permanga nella

detenzione del bene col consenso del locatore,
sulla base di un

accordo che sia volto a

differire la data del rilascio e che preveda
anche il corrispettivo dovuto,
occupazione

deve

all’importo

convenuto;

costituirà

intendersi
tale

l’indennità di
ragguagliata
corrispettivo

anche l’indennità dovuta per

il

periodo successivo

in relazione al quale le

parti non abbiano

raggiunto alcun accordo,

fatta salva -in questo caso- la possibilità,
per il locatore, di fornire la prova
dell’eventuale maggior danno, con rigorosa
dimostrazione che la ritardata restituzione
dell’immobile ha concretamente pregiudicato la
possibilità di locare il bene a terzi per un
canone superiore all’ultimo corrispettivo
convenuto con il conduttore inadempiente, senza
che possa ritenersi a tal fine sufficiente la
mera prova del diverso e maggiore valore
locativo di mercato”.

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Palermo, in diversa composizione, che dovrà

4. Col secondo motivo, il Comune deduce
“violazione ed erronea applicazione degli artt.
1223, 1590, 1609 e 1576 c.c. – vizio di
motivazione”, formulando i seguenti quesiti di
“2.a “Ai sensi degli artt. 1576 e 1609

c. c., grava sul conduttore l’obbligo di
eseguire gli interventi di piccola manutenzione
dell’immobile locato, mentre grava sul locatore
l’obbligo della manutenzione ordinaria e
straordinaria”; 2.b. “In base ai principi
generali sull’onere della prova, il locatore
che chiede il rimborso delle spese di
ripristino dell’immobile ha l’onere di p=are
che i danni dallo stesso lamentati siano
riferibili ad omessa piccola manutenzione posta
a carico del conduttore, nonché di avere subito
una effettiva lesione del suo patrimonio”.
4.1. Il motivo, per quanto articolato come
unico, cumula due distinte censure,
riconducibili al n. 3 (“violazione ed erronea
applicazione degli artt. 1223, 1590, 1609 e
1576 c.c.) e al n. 5 dell’art. 360, co. 1, c.c.
(“vizio di motivazione”): per ciascuna di esse,
deve procedersi a una distinta verifica circa
il rispetto della previsione dell’art. 366 bis
c.p.c., applicabile ratione temporis (atteso
che la sentenza è stata pubblicata in data
12.2.2008);

12

diritto:

4.2. Il motivo formulato ai sensi del n. 3
risulta inammissibile in quanto entrambi i
quesiti di diritto non rispettano il modello
individuato dalla consolidata giurisprudenza di
E’ noto, infatti, che il quesito di diritto
“deve compendiare: a) la riassuntiva
esposizione degli elementi di fatto sottoposti
al giudice di merito; b) la sintetica
indicazione della regola di diritto applicata
da quel giudice; c) la diversa regola di
diritto che, ad avviso del ricorrente, si
sarebbe dovuta applicare al caso di specie”
(Cass. n. 22604/13) e che, dovendo assolvere
alla “funzione di integrare il punto di
congiunzione tra la risoluzione del caso
specifico e l’enunciazione del principio
giuridico generale”, non può essere “meramente
generico e teorico”, ma dev’essere “calato
nella fattispecie concreta, per mettere la
Corte in grado di poter comprendere, dalla sua
sola lettura, l’errore asseritamente compiuto
dal giudice di merito e la regola applicabile”
(Cass. n. 3530/12).
Nel caso in esame, i due quesiti formulati
non rispondono -neppure se letti
congiuntamente- agli anzidetti criteri, in
quanto non contengono alcuno specifico
riferimento al caso concreto e si limitano ad
13

questa Corte.

enunciazioni di carattere generale che non
consentono di cogliere il senso della censura
mossa alla sentenza impugnata.
4.3. La censura relativa al vizio di
inammissibile per mancata formulazione della
sintesi descrittiva del fatto (c.d. quesito di
fatto) richiesta dall’art. 366 bis, 2 ° periodo,
C.P.C..
4.4. In relazione a detta censura, il
ricorso risulta inammissibile anche a norma
dell’art. 366, 1 ° co. n. 6 c.p.c. in quanto non
contiene la specifica indicazione degli atti
processuali e dei documenti sui quali si fonda
(nella specie, le lettere del preside
dell’istituto, il verbale di consegna e le
relazioni di C.T.U. richiamate
nell’illustrazione del motivo), requisito che
comporta la necessità di indicare esattamente
nel ricorso in quale fase processuale sia stato
prodotto e in quale fascicolo si trovi il
documento e, altresì, di trascriverne o
riassumerne in misura adeguata il contenuto
(cfr. Cass. n. 21104/2013).
5. Il giudice del rinvio provvederà anche
in ordine alle spese del giudizio di
cassazione.
P.Q.M.

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motivazione risulta anch’essa evidentemente

la Corte accoglie il ricorso nei sensi e
• nei limiti di cui alla motivazione, cassa in
relazione e rinvia, anche per la liquidazione
delle spese del presente giudizio, alla Corte
Roma, 7.5.2014

di Appello di Palermo, in diversa composizione.

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