Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15898 del 20/07/2011

Cassazione civile sez. III, 20/07/2011, (ud. 24/05/2011, dep. 20/07/2011), n.15898

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI 57, presso lo studio dell’avvocato

PARADISI SIMONETTA, che lo rappresenta e difende giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PANARITI

BENITO, rappresentato e difeso dall’avvocato CAFIERO ARCANGELO giusta

delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

B.F. (OMISSIS);

– intimato –

Nonchè da:

B.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIOACCHINO DECILLIS giusta delega in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrenti incidentali –

contro

V.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI 57, presso lo studio dell’avvocato

PARADISI SIMONETTA, che lo rappresenta e difende giusta delega a

margine del ricorso principale;

– controricorrenti all’incidentale –

e contro

M.M. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1116/2008 della CORTE D’APPELLO di BARI,

SEZIONE TERZA CIVILE, emessa il 17/9/2008, depositata il 16/12/2008

R.G.N. 107/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/05/2011 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato PARADISI SIMONETTA;

udito l’Avvocato DI PIERRO NICOLA (per delega dell’Avv. CAFIERO

ARCANGELO);

udito l’Avvocato DECILLIS GIOACCHINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso con il rigetto del

ricorso principale, assorbito l’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I fatti di causa rilevanti ai fini della decisione del ricorso, possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.

Con citazione notificata il 27 aprile 1987 V.P. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Trani B.F. chiedendo che venisse accertato il suo diritto di riscattare il fondo e l’annessa casa di campagna dalla stessa acquistati. Espose di essere coltivatore diretto, proprietario di un terreno confinante a quello compravenduto.

La convenuta, costituitasi in giudizio, contestò l’avversa pretesa, chiedendo in via riconvenzionale il pagamento dei miglioramenti apportati al predio e instando per la chiamata in causa della venditrice M.M., al fine di esserne manlevata, in caso di evizione.

La M., a sua volta, contrastò le richieste della chiamante, in ragione dell’infondatezza di quelle dell’attore.

Con sentenza del 24 giugno/15 ottobre 2003 il giudice adito rigettò tutte le domande.

Proposto gravame dal V., la Corte d’appello di Bari lo ha respinto.

Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione P. V., formulando tre motivi.

Resistono con due distinti controricorsi, illustrati anche da memoria, B.F. e M.M., la prime proponendo altresì ricorso incidentale condizionato affidato a tre motivi. Agli stessi ha, a sua volta, replicato V.P. con proprio controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. VA preliminarmente disposta, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., la riunione dei ricorsi proposti da V.P. e da B.F. avverso la stessa sentenza.

1.1 Col primo motivo V.P. denuncia violazione della L. 26 maggio 1965, n. 590, artt. 31 e 8, L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7, ex art. 360 c.p.c., n. 3.

Le critiche hanno ad oggetto il negativo apprezzamento della qualifica di coltivatore diretto del V. nonchè della sua allegata attività di coltivazione di un fondo finitimo a quello compravenduto.

Secondo l’impugnante il decidente avrebbe fatto malgoverno del materiale probatorio acquisito, il quale doveva essere vagliato alla luce del principio, assolutamente pacifico in giurisprudenza, per cui l’abitualità della coltivazione, richiesta dalla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 31 non implica necessariamente il carattere professionale di tale attività e men che mai la preponderanza della stessa rispetto ad altre attività del retraente.

1.2 Con il secondo mezzo reitera la denuncia di violazione della L. 26 maggio 1965, n. 590, artt. 31 e 8, L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7, ex art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento al valore probatorio attribuito dalla Corte territoriale alla documentazione amministrativa prodotta dalla convenuta, al fine di dimostrare lo svolgimento, da parte del V., dell’attività di fioraio. Sostiene il ricorrente che il giudice di merito avrebbe ignorato la giurisprudenza di legittimità, ferma nel ribadire che, ai fini del positivo esperimento dell’azione di riscatto, la prova della qualità di coltivatore diretto in capo al richiedente deve essere fornita in concreto, (confr. Cass. n. 5673 del 2003).

1.3 Con il terzo motivo infine l’impugnante deduce violazione della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 31 nonchè vizi motivazionali in relazione alla ritenuta superfluità, all’esito del negativo scrutinio sui requisiti soggettivi del retraente, della consulenza tecnica volta ad accertare la capacità lavorativa del V. ovvero la reale confinanza del fondo.

2.1 Va subito precisato che quest’ultimo motivo è inammissibile.

E invero, in ragione della data della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e antecedente al 4 luglio 2009), e in base al comb.

disp. Del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27, comma 2 e L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58 il ricorso deve ritenersi soggetto, quanto alla sua formulazione, alla disciplina di cui all’art. 360 c.p.c. e segg., nel testo risultante dal menzionato D.Lgs. n. 40 del 2006. In base a tali norme, e segnatamente, in base all’art. 366 bis cod. proc. civ., nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5, l’illustrazione della censura va completata con la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. (Cass., sez. un., 12 maggio 2008, n. 11652).

2.2 Ora, in relazione al terzo motivo, col quale, come testè precisato, vengono denunciati sia vizi di violazione di legge che carenze motivazionali, il quesito, che avrebbe dovuto avere una doppia formulazione, manca del tutto.

3 Le censure svolte nei primi due mezzi, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro stretta connessione, sono invece infondate.

Mette conto evidenziare che il giudice di merito, alla luce degli esiti della espletata prova testimoniale, ha ritenuto indimostrati sia la qualifica di coltivatore diretto, in capo al V., sia la sussistenza del requisito della durata almeno biennale dell’attività di coltivazione del predio confinante, segnatamente imposto, per il riconoscimento del diritto di prelazione agraria, dalla L. n. 590 del 1965, art. 8 e L. n. 817 del 1971, art. 7.

Ha evidenziato, in proposito, che l’appellante era pacificamente titolare in (OMISSIS) di un esercizio di vendita di fiori e piante.

Ha aggiunto che i testi più precisi e attendibili avevano negato che l’attore avesse coltivato il fondo confinante, o avevano limitato tale attività alla sola raccolta delle olive, per giunta collocandola temporalmente in un’epoca successiva alla instaurazione del presente giudizio. Ha infine rilevato che lo stato di abbandono del terreno emergeva anche dalla perizia giurata di parte versata in atti.

4.1 Tale percorso motivazionale resiste alle critiche formulate in ricorso.

E invero, contrariamente a quanto sostiene l’impugnante, esso non ignora affatto i criteri fondamentali ai quali deve conformarsi la valutazione della sussistenza dei presupposti per l’esercizio del diritto di prelazione e di quello succedaneo di riscatto del confinante; semplicemente ne ritiene indimostrata la sussistenza con ragionate e ragionevoli argomentazioni.

Ora, il riscontro della correttezza e della plausibilità di siffatto giudizio non può prescindere dal rilievo, quanto alla qualifica di coltivatore diretto, che questa, in relazione al requisito della coltivazione abituale, previsto dalla L. n. 590 del 1965, art. 31 può essere sì attribuita anche a chi svolga altra attività lavorativa principale, ma esige in ogni caso l’abitualità dell’attività agricola, intendendosi per tale lo stabile, usuale e continuativo svolgimento di lavori nei campi con lavoro prevalentemente proprio e dei componenti della propria famiglia (confr. Cass. civ. 27 gennaio 2011, n. 2019; Cass. civ. 20 gennaio 2006, n. 1107); e, quanto all’esercizio della prelazione agraria da parte del proprietario confinante, ai sensi della L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7 che è necessaria la ricorrenza della coltivazione diretta proprio del fondo adiacente a quello posto in vendita, non essendo sufficiente, per il positivo esperimento della procedura, che il prelazionante eserciti altrove l’attività di agricoltore perchè l’intento perseguito dal legislatore è l’ampliamento dell’impresa coltivatrice diretta finitima e non l’acquisto della proprietà della terra da parte di qualsiasi coltivatore diretto (Cass. civ., 27 gennaio 2010, n. 1712).

4.2 Nella fattispecie il decidente, all’esito di un’analitica lettura del materiale probatorio acquisito, è approdato alla convinzione della insussistenza di entrambi i requisiti testè enucleati, motivando tale suo convincimento con argomentazioni logicamente e giuridicamente corrette, esenti da aporie e da contrasti disarticolanti con il contesto fattuale di riferimento. Non solo infatti l’attività di fioraio svolta dal V. in (OMISSIS) è stata ritenuta assorbente e sostanzialmente esclusiva, con giudizio assolutamente plausibile, ma è stato segnatamente escluso che il prelazionante coltivasse il fondo confinante a quello oggetto di retratto, a tal fine evidenziandosi lo stato di abbandono in cui lo stesso versava.

Trattasi di valutazioni di stretto merito, sottratte al sindacato di questa Corte. E in effetti i motivi di ricorso, deducendo in termini puramente assertivi la violazione dei principi giuridici della materia nonchè vizi motivazionali, tendono surrettiziamente a introdurre una rivalutazione dei fatti e delle prove preclusa in sede di legittimità.

6 Il ricorso principale deve in definitiva essere integralmente rigettato.

Resta assorbito l’esame del ricorso incidentale condizionato.

Segue la condanna dell’impugnante al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.200,00 (di cui Euro 3.000,00 per onorari), in favore di ciascuno dei resistenti, oltre IVA e CPA, come per legge.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2011

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