Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15892 del 20/07/2011

Cassazione civile sez. III, 20/07/2011, (ud. 16/05/2011, dep. 20/07/2011), n.15892

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FILADORO Camillo – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.N. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA G. B. MARTINI 13, presso lo studio dell’avvocato DI PORTO

ANDREA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

PELLECCHIA ANTONELLA giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO GIUSTIZIA (OMISSIS), P M CORTE APPELLO VENENZIA,

AMMINISTRAZIONE AUTONOMA ARCHIVI NOTARILI, CONSIGLIO NOTARILE PADOVA,

ARCHIVIO NOTARILE PADOVA;

– intimati –

Nonchè da:

MINISTERO GIUSTIZIA (OMISSIS), in persona del Ministro in carica

dell’AMMINISTRAZIONE AUTONOMA ARCHIVI NOTARILI in persona del legale

rappresentante pro tempore, ARCHIVIO NOTARILE PADOVA in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso gli Uffici dell’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO, da cui sono difesi per legge;

– ricorrenti incidentali –

contro

M.N. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA G. B. MARTINI 13, presso lo studio dell’avvocato DI PORTO

ANDREA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

PELLECCHIA ANTONELLA giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente all’Incidentale –

e contro

P M CORTE APPELLO VENENZIA, CONSIGLIO NOTARILE PADOVA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 35/2010 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

Sezione 1 Civile, emessa il 18/03/2010, depositata il 03/04/2010;

R.G.N. 599/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/05/2011 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

Lette le conclusioni, scritte dal Sostituto Procuratore Generale

dott. SEPE Ennio Attilio, confermate in Camera di Consiglio dal P.M.

dott. IANNELLI Domenico che ha chiesto l’accoglimento del ricorso

principale in ordine alla violazione del D.Lgs. n. 5 del 2003, art.

34, comma 2, dichiarazione d’estinzione per prescrizione delle

infrazioni relative al rilascio delle procura generali;

inammissibilità del ricorso incidentale del Ministero della

Giustizia e dell’Amministrazione Autonoma degli Archivi Notarili.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p. 1. Con sentenza del 3 aprile 2010, la Corte d’Appello di Venezia, provvedendo in sede di giudizio disciplinare sul reclamo proposto dall’Archivio Notarile di Padova, dall’Amministrazione Autonoma Archivi Notarili e dal Ministero della Giustizia avverso la decisione della Commissione Amministrativa Regionale di Disciplina (Co.Re.Di) del Trentino -Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia e Veneto, con la quale il notaio M.N. era stato assolto dalle contestazioni disciplinari formulate dall’Archivio Notarile di Padova in relazione a tre distinti addebiti, dopo avere dichiarato inammissibile il reclamo in quanto proposto dal Ministero e dall’Amministrazione Autonoma, in quanto non legittimate alla sua proposizione ai sensi della Legge Notarile, art. 158, in relazione alla Legge Notarile, art. 156-bis, ha rigettato il reclamo quanto ad uno di essi, mentre l’ha accolto quanto agli altri due, relativi, rispettivamente: a) all’avere il notaio in due procure generali, rogate il 10 luglio 2006 e rilasciate autonomamente da due coniugi in regime di separazione patrimoniale dei beni, preveduto tra i poteri conferiti, in violazione della Legge Notarile, art. 28, comma 1, n. 1, quello di stipulare convenzioni in ordine a diritti alimentari, di stipulare convenzionai matrimoniali e di costituire fondi patrimoniali; b) di avere ricevuto con atto del 27 settembre 2006 un verbale di assemblea straordinaria di una s.r.l., recante il nuovo statuto della società, in funzione di adeguamento alla nuova disciplina societaria, nel cui art. 27 era contenuta una clausola compromissoria nulla, essendo prevista la nomina di un arbitro unico da parte dell’assemblea dei soci, in asserito contrasto con il D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34 con conseguente violazione del citato art. 28, comma 1, n. 1.

p. 2. Avverso la sentenza il notaio M. ha proposto ricorso per cassazione ai sensi della Legge Notarile, art. 158-ter, comma 1, congiuntamente contro l’Archivio Notarile di Padova, l’Amministrazione Autonoma degli Archivi notarili ed il Ministro della Giustizia, nonchè nei confronti del Consiglio Notarile di Padova e del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Venezia.

Hanno resistito con congiunto controricorso, nel quale hanno svolto anche ricorso incidentale, l’Archivio Notarile di Padova, l’Amministrazione Autonoma degli Archivi notarili ed il Ministro della Giustizia.

Il M. ha resistito al ricorso incidentale con controricorso.

p. 3. Essendosi ravvisate le condizioni per la decisione con il procedimento di camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-ter c.p.c., il Pubblico Ministero presso la Corte è stato richiesto di concludere ed il 25 marzo 2011 ha depositato le sue conclusioni scritte, che sono state comunicate alle parti costituite con il decreto di fissazione dell’adunanza della corte per l’odierna camera di consiglio.

p. 4. In vista di essa il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. Preliminarmente il ricorso incidentale va riunito al principale, in seno al quale è stato proposto.

p. 2. Il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione a proporlo, soltanto riguardo al Ministero della Giustizia ed all’Amministrazione Autonoma degli Archivi Notarili, giacchè solo di essi la sentenza impugnata ebbe a dichiarare il difetto di legittimazione al reclamo e, quindi, solo rispetto ad essi la passibilità di impugnare la decisione quanto alle valutazioni sull’azione disciplinare per l’illecito da cui il M., dipendeva dalla preliminare impugnazione della statuizione sulla legittimazione.

Il ricorso, viceversa, è ammissibile in quanto proposto dall’Archivio Notarile di Padova, la cui legittimazione non era stata negata.

p. 3. In riferimento alle due infrazioni disciplinari ricollegate all’avere autenticato le due procure generali in data 10 luglio 2006 ed oggetto del primo motivo di ricorso, il Collegio condivide le conclusioni del Pubblico Ministero in ordine alla necessità di dichiarare l’intervenuta estinzione per prescrizione dell’azione disciplinare. Invero, in ragione dell’epoca di commissione dei due pretesi illeciti, che si colloca anteriormente all’entrata in vigore della disciplina di cui al D.Lgs. n. 249 del 2006, l’azione disciplinare era regolata dal principio secondo cui nel corso del suo svolgimento la prescrizione non subiva alcuna interruzione. Principio – espresso dall’art. 146, comma 1, della 1, notarile nel testo anteriore alle modifiche apportate da detto D.Lgs. – che ha continuato a trovare applicazione ai fatti integranti illeciti disciplinari commessi anteriormente all’entrata in vigore delle modifiche di cui al D.Lgs. (si veda il D.Lgs. n. 249 del 2006, art. 54, comma 2, che, nel disporre la continuazione dell’applicazione di talune disposizioni della L.N. nel testo anteriore alle modifiche disposte dal D.Lgs. ha compreso fra esse anche quella modificata dall’art. 29 di esso, cioè l’art. 146.

Poichè è ormai decorso il periodo quadriennale di prescrizione dell’azione disciplinare, che si è compiuto il 10 luglio 2010, dev’essere senz’altro fatta applicazione della prescrizione, con conseguente declaratoria della improcedibilità dell’azione disciplinare per l’illecito relativo ai due atti su indicati.

Ne discende l’assorbimento del primo motivo di ricorso, con cui si contestava la sussistenza dell’illecito. Il ricorrente, del resto, nella sua memoria ha aderito alla conclusione del Pubblico Ministero.

p. 4. Il Collegio non condivide, viceversa, le conclusioni del Pubblico Ministero quanto all’addebito mosso al ricorrente per avere ricevuto con atto del 27 settembre 2006 un verbale di assemblea straordinaria di una s.r.l., recante il nuovo statuto della società, in funzione di adeguamento alla nuova disciplina societaria, nel cui art. 27 era contenuta una clausola compromissoria nulla, essendo prevista la nomina di un arbitro unico da parte dell’assemblea dei soci, in asserito contrasto con il D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34, con conseguente violazione del citato art. 28, comma 1, n. 1.

A tale addebito si riferisce il secondo motivo di ricorso, con il quale è stata denunciata in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 18 gennaio 2003, n. 5, art. 34, comma 2 e della L.N., art. 28, comma 1, n. 1 e art. 138-bis”, nonchè, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

Il Pubblico Ministero ha fondato le sue conclusioni su uno specifico recente precedente di questa stessa Sezione, cioè Cass. n. 24687 del 2010, il quale ha statuito che ®Incorre in responsabilità disciplinare, per violazione del divieto di ricevere atti nulli, il notaio che, nel rogare lo statuto di una società di capitali, vi inserisca una clausola compromissoria che deferisca eventuali controversie ad arbitri nominati dalle parti, in violazione del divieto di cui al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, art. 34 a nulla rilevando che, l’ordinamento preveda la sostituzione automatica di tale clausola, ai sensi dell’art. 1419 c.c., trattandosi di rimedio predisposto dal legislatore al solo fine di conservare l’atto ai fini privatistici, nè che la nullità riguardi non l’intero atto, ma una singola clausola, trattandosi, comunque, di nullità parziale assoluta”.

Il Collegio, conformemente a quanto ha fatto rilevare il ricorrente nella memoria, rileva, tuttavia, che una successiva decisione della Sesta Sezione-3 di questa Corte, cioè Cass. n. 5913 del 2011, ha in senso difforme statuito che “Il divieto per il notaio di ricevere atti nulli sussiste solo quando la nullità dell’atto sia inequivoca ed indiscutibile, dovendosi intendere l’avverbio espressamente, che nella L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 28 qualifica la categoria degli atti proibiti dalla legge, come inequivocamente; pertanto, tale divieto si riferisce a contrasti dell’atto con la legge che risultino in termini inequivoci, anche se la sanzione della nullità deriva solo attraverso la disposizione generale dell’art. 1418 c.c., comma 1, per effetto di un consolidato orientamento interpretativo giurisprudenziale o dottrinale. (In applicazione del riportato principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto sussistente, ai sensi dell’art. 28 citato, la responsabilità del notaio che aveva autenticato una scrittura costitutiva di s.a.s. contenente una clausola di arbitrato con nomina degli arbitri non da parte di terzi, pur in presenza di contrastanti interpretazioni giurisprudenziali e dottrinali in ordine all’alternatività tra arbitri endosocietari, di cui al D.Lgs. 17 gennaio 2005, n. 3, art. 34 ed arbitri di diritto comune, ovvero dell’esclusività dei primi in sede societaria).

p. 4.1. Il Collegio reputa di condividere ai fini del presente giudizio disciplinare il principio di diritto di cui a Cass. n. 5913 del 2011, ma, nel contempo considera fondata la ricostruzione fatta da Cass. n. 24867 del 2010 a proposito della natura della nullità derivante dalla violazione del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34 e intende, a fini di nomofilachia ed al di là della rilevanza in funzione della presente decisione, affermare il principio per cui eventuali violazioni della norma, le quali potranno essere commesse successivamente al decorso di un termine ragionevole dalla pubblicazione della presente decisione, potranno viceversa dare luogo ad illecito disciplinare ai sensi del citato L. N., art. 28, comma 1.

Queste le ragioni di tali convincimenti.

4.2. Il D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34 com’ è noto, sotto la rubrica “Oggetto ed effetti di clausole compromissorie statutarie”, così dispone: 1. Gli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’art. 2325 bis c.c., possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale.

2. La clausola deve prevedere il numero e le modalità di nomina degli arbitri, conferendo in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società. Ove il soggetto designato non provveda, la nomina è richiesta al Presidente del Tribunale del luogo in cui la società ha la sede legale.

3. La clausola è vincolante per la società e per tutti i soci, inclusi coloro la cui qualità di socio è oggetto della controversia.

4. Gli atti costitutivi possono prevedere che la clausola abbia ad oggetto controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti e, in tale caso, essa, a seguito dell’accettazione dell’incarico, è vincolante per costoro.

5. Non possono essere oggetto di clausola compromissoria le controversie nelle quali la legge preveda l’intervento obbligatorio del pubblico ministero.

6. Le modifiche dell’atto costitutivo, introduttive o soppressive di clausole compromissorie, devono essere approvate dai soci che rappresentino almeno i due terzi del capitale sociale. I soci assenti o dissenzienti possono, entro i successivi novanta giorni, esercitare il diritto di recesso.

La norma, com’è noto, è espressione del principio di delegazione di cui alla L. n. 366 del 2001, art. 12, comma 3, ai sensi del quale Il Governo può altresì prevedere la possibilità che gli statuti delle società commerciali contengano clausole compromissorie, anche in deroga agli artt. 806 e 808 c.p.c., per tutte o alcune tra le controversie societarie di cui al comma 1. Nel caso che la controversia concerna questioni che non possono formare oggetto di transazione, la clausola compromissoria dovrà riferirsi ad un arbitrato secondo diritto, restando escluso il giudizio di equità, ed il lodo sarà impugnabile anche per violazione di legge.”.

Ora, l’autorizzazione del legislatore delegato a prevedere la possibilità di stipula di clausole compromissorie anche in deroga agli artt. 806 e 808 c.p.c., cioè alle due norme della disciplina del c.d. arbitrato di diritto comune (all’epoca nel testo anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006) preposte ad individuare l’oggetto del compromesso e della clausola compromissoria, non era sicuramente un modello di chiarezza di tecnica di delegazione. Già il riferimento non al solo art. 808, ma anche all’art. 806, poteva appariva d’una certa stranezza, giacchè la delega concerneva solo la clausola compromissoria e non il compromesso, disciplinato dall’art. 806 c.p.c. Il richiamo all’art. 806 si poteva forse spiegare perchè l’art. 808 evocava come limite di stipula della clausola compromissoria l’essere la controversia suscettibile di compromesso, ma certamente sarebbe stato sufficiente il prevedere la deroga al solo art. 808 per estendere la delegazione derogatoria anche a quel profilo. Non vi era, inoltre, o almeno non è certo che vi fosse, previsione di delegazione quanto ai profili di disciplina dinamica (come sarebbe potuto accadere se la delega fosse stata concessa con possibilità di deroga all’art. 806 c.p.c. e segg.), mentre, invece, il legislatore delegato ha inteso la delega come estesa anche ad essi, come emerge dalla L. n. 5 del 2003, artt. 35 e 36.

p. 4.3. Restando al problema del significato dell’abilitazione alla deroga della disciplina statica della clausola compromissoria ed ai soli fini dei quello che in questa sede interessa, il Collegio osserva che il legislatore delegato era, comunque, legittimato ad adempiere la delega in due possibili modi:

a) poteva stabilire che gli statuti prevedessero la possibilità di stipulare clausole compromissorie in deroga all’art. 808 c.p.c., nel senso della individuazione di taluni tipi di controversie non compromettibili, ancorchè lo fossero state secondo la disciplina dell’art. 808 c.p.c., o nel senso della limitazione della stipulazione della clausola a taluni tipi societari, al contrario di quanto avrebbe consentito l’art. 808: in questo caso la deroga si sarebbe espressa solo nel senso di abilitare gli statuti a prevedere clausole compromissorie con alcune esclusioni oggettive o soggettive, non previste dall’art. 808 (letto in connessione con l’art. 806);

b) poteva stabilire che gli statuti prevedessero la possibilità di stipula di clausole compromissorie con contenuti specifici e limiti del tutto peculiari, sì che la deroga all’art. 808 c.p.c. si esprimesse nell’individuazione di una figura di clausola compromissoria del tutto sganciata ed autonoma dal modello dell’art. 808 c.p.c., perchè impositiva di contenuti non previsti dal tenore di questa norma, raccordato con quello dell’art. 806 c.p.c. Nell’ipotesi sub a) la limitatezza dell’esercizio della delega avrebbe collocato le clausole compromissorie nel sistema della figura di arbitrato di diritto comune, salve le limitazioni soggettive ed oggettive.

All’interno dell’opzione sub b) il legislatore delegato avrebbe potuto scegliere due opzioni, cioè due diverse misure della facoltà di deroga, e precisamente o attribuire carattere esclusivo alla nuova fattispecie di clausola compromissoria con contenuti eccedenti quelli dell’art. 808 o assegnarle un rilievo meramente alternativo e concorrente con la fattispecie dell’art. 808 c.p.c. Avrebbe potuto, cioè prevedere che il modello derogatorio della clausola compromissoria rispetto a quello della lex generalis di cui all’art. 808 fosse l’unico possibile in materia societaria (o in parte di essa, ove la nuova figura fosse stata limitata a taluni tipi societari, come poi lo è stato) e così attribuire alla disciplina derogatoria carattere assoluto. Questa sarebbe stata una scelta in termini di esclusività della deroga, id est la scelta tendente al massimo utilizzo della facoltà derogatoria.

Avrebbe potuto, invece, prevedere che il modello derogatorio concorresse e, dunque, fosse meramente alternativo rispetto alla disciplina generale, a scelta dei partecipanti al contratto sociale, con la conseguenza che essa potesse trovare applicazione sia per previsione dell’atto costitutivo della società, allorquando esso non avesse previsto la forma derogatoria, ma quella generale, sia allorquando, pur avendola l’atto costitutivo prevista, lo avesse fatto in modo alternativo rispetto alla disciplina generale (c.d.

clausola binaria), cioè con facoltà di scelta per i soggetti destinati a valersene, cioè la società e i soci ed eventualmente altri soggetti coinvolti nella compagine societaria e contemplati dalla norma di delegazione (come poi in concreto è accaduto). In questo secondo caso l’indifferenza dell’atto costitutivo verso la forma generale e quella speciale avrebbe potuto giustificare che, in ipotesi di eventuale previsione della clausola compromissoria derogatoria in modo difforme da quello previsto dal legislatore delegato, la disciplina della lex generalis dell’art. 808 c.p.c. potesse sopperire, giustificandosi comunque la salvezza della clausola compromissoria come scelta di esclusione della giurisdizione dell’a.g.o. In pratica all’arbitrato si sarebbe potuto dare corso secondo le forme della lex generalis.

p. 4.4. Ora, il legislatore delegato non ha certamente scelto di esercitare la delega secondo l’opzione indicata sopra sub a): è sufficiente osservare che la norma dell’art. 34 citato disciplina la clausola compromissoria con contenuti eccedenti quelli dell’art. 808 c.p.c. nel testo di riferimento e fra questi proprio la previsione delle modalità di nomina degli arbitri, che è sconosciuta all’art. 808 (anche nel testo oggi vigente).

E’ palese che il legislatore delegato ha scelto di esercitare la delega secondo l’opzione indicata sopra sub b) ed è altrettanto palese, ad avviso del Collegio, che all’interno di tale opzione ha scelto di considerare la norma di cui all’art. 34 come impositiva di una forma necessaria ed esclusiva di clausola compromissoria nell’ambito societario indicato dalla norma stessa.

Ciò, non emerge da una previsione espressa di esclusività della disciplina della norma, non diversamente di come è certo che non v’è alcuna espressione che evidenza la qualificazione di essa come concorrente con la lex generalis dell’art. 808 e, quindi, con l’arbitrato di diritto comune.

La scelta nel senso della esclusività emerge dalle implicazioni delle espressioni usate nel redigere la norma.

Non è d’aiuto, invece, il criterio dell’interpretazione secondo i lavori preparatori, poichè nella specie la relazione al D.Lgs., là dove afferma che la formulazione del testo contribuisce alla creazione di una compiuta species arbitrale, senza pretesa di sostituire il modello codicistico è altamente equivoca, perchè si presta ad una lettura alternativa, cioè sia ad essere intesa nel senso che la nuova figura si aggiunge a quella codicistica, sia – e forse a maggior ragione, siccome rivela il riferimento alla compiutezza – nel senso che la nuova fattispecie non è esaustiva, nel senso che è integrabile con la disciplina generale anche al di fuori dell’art. 808, perchè deroga ad essa solo sotto taluni aspetti. Il che non toglie che per gli aspetti regolati dall’art. 34 la clausola compromissoria nel senso da essa previsto è l’unica possibilità di arbitrato in materia societaria (salvo il tipo sociale eccettuato).

Ebbene, tra le espressioni con le quali si articola la norma in esame, di nessun rilievo ai fini dell’esegesi è l’uso del verbo “possono”. Come ha già osservato Cass. n. 24867 del 2010 la facoltà insita in tale espressione (analoga a quella contenuta nell’art. 808 c.c.) è da ritenersi riferita non alla scelta tra l’arbitrato di diritto comune e quello previsto dalla medesima norma, ma a quella tra il ricorso all’arbitrato previsto dalla stessa norma ed il ricorso al giudice ordinario. In altre parole, le società hanno la libertà di scegliere, per la soluzione delle controversie, la via arbitrale anzichè quella giurisdizionale.

E’ invece di assoluto rilievo l’espressa previsione che l’inosservanza di una delle regole dettate per la stipula della clausola compromissoria secondo la norma – appunto quella relativa alle modalità di nomina degli arbitri ed alla necessità che essi siano nominati tutti da soggetto estraneo alla società – determini la nullità e, si badi, secondo la lettera della legge, la nullità della clausola compromissoria. E ciò senza possibilità, perchè non prevista dal legislatore delegato, di salvezza della clausola sia pure come clausola di diritto comune.

Invero, non avrebbe alcun senso che il legislatore delegato, conferitario del potere derogatorio della lex generalis dell’art. 808, pur intendendo dettare una disciplina derogatoria soltanto concorrente quella generale, ne abbia poi tutelato l’effettività con una norma imperativa la cui inosservanza è colpita espressamente dalla sanzione della nullità. Il riconoscimento della possibilità di stipulare due diverse forme di arbitrato, siccome espressivo di un atteggiamento di indifferenza circa l’una o l’altra, mal si concilia con l’esigere che una delle due forme debba essere rispettata a pena di nullità. O almeno – se si vuole – appare incompatibile con l’assenza di previsione che la clausola è comunque valida secondo la lex generalis.

In altri termini, la previsione di una forma derogatoria dell’art. 808 c.p.c., nel senso della necessità che la clausola abbia contenuti necessari non previsti da detta norma e, quindi, nel suo ambito lasciati alla privata autonomia e l’assicurazione dell’osservanza di essa a pena di nullità esprime un limite alla privata autonomia che è significativo in modo certo che il legislatore delegato ha voluto che l’unica clausola compromissoria stipulabile sia quella della norma, senza concorrenza della forma di cui al codice di rito.

D’altro canto, la previsione di nullità – come s’è già rilevato – non è riferita alla clausola relativa alla nomina degli arbitri secondo un criterio non rispettoso della prescrizione che essi non siano nominati all’interno della società, ma è riferita alla clausola compromissoria come tale, nel senso che vitiatur et vitiat la stessa previsione dell’arbitrato: se la disciplina concorresse con la lex generalis sarebbe stato ragionevole prevedere che la clausola difforme dal modello dell’art. 34 fosse quantomeno riconducibile ad essa. Ma sarebbe stato necessario dirlo e non invece proclamare in termini secchi la nullità.

L’esegesi proposta sarebbe rafforzata, se ve ne fosse bisogno, dalla previsione nell’art. 34, comma 6 di una maggioranza particolarmente qualificata per l’introduzione di clausole compromissorie, evidentemente secondo il modello della norma: se tale modello non fosse esclusivo non si comprenderebbe l’interesse del legislatore delegato ad affermare la necessità di tale maggioranza.

Di nessun rilievo contro l’idea dell’esclusività è, invece, l’argomento – prospettato in dottrina e da parte della giurisprudenza di merito – della permanenza della applicabilità della disciplina del codice di rito a proposito del compromesso: compromesso e compromissoria sono fenomeni distinti, perchè l’uno suppone che la lite sia già sorta, l’altro che non lo sia. L’avere il legislatore delegato ristretto il modello speciale alla sola clausola compromissoria d’altro canto era imposto dalla legge delega, che solo ad essa riferiva la delega con facoltà derogatoria della lex generalis. E d’altro canto è palese che la previsione nello stesso atto costitutivo o nella sua modifica della clausola compromissoria si presenta di particolare importanza rispetto alla,stipulazione episodica di un compromesso.

p. 4.5. Sulla base delle esposte ragioni si devono a questo punto affermare i seguenti principi di diritto, sostanzialmente già sostenuti – sia pure con percorso argomentativo non del tutto identico – da Cass. n. 24867, nel senso che la norma del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34 con riferimento agli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’art. 2325-bis c.c., prevede l’unica ipotesi di clausola compromissoria stipulabile nell’ambito di detti atti, restando, dunque, esclusa la possibilità che essi possano prevedere sia una clausola compromissoria ai sensi dell’art. 808 c.p.c., cioè della norma di diritto comune, sia quest’ultima in via alternativa alla clausola secondo l’art. 34. Ne consegue che, ove l’atto costitutivo preveda una forma di clausola compromissoria che non rispetti la prescrizione in punto di nomina degli arbitri di cui a detta norma, la nullità della clausola comporta che la controversia possa essere introdotta soltanto davanti all’a.g.o., restando escluso che possa trovare applicazione la disciplina generale della clausola compromissoria prevista dal codice di procedura civile.

p. 5. Le conclusioni qui raggiunte evidenziano che la nullità della clausola compromissoria rogata dal notaio incolpato era idonea sotto il profilo oggettivo, cioè dell’esegesi dell’art. 34, comma 2, ad integrare la fattispecie di cui alla L. n. 89 del 1913, art. 28, comma 1, cioè il ricevimento di un atto espressamente proibito dalla legge, perchè la previsione della nullità della clausola compromissoria nella quale non si preveda che gli arbitri vengano nominati da soggetto estraneo alla società è significativa dell’intento del legislatore di assicurare che in ambito societario (e con l’eccezione dei soggetti ex art. 2325-bis c.c.) la clausola compromissoria prevista dall’atto costitutivo (o in sede di modifica dell’atto costitutivo) sia stipulata esclusivamente con la previsione di tale modalità di nomina, dovendosi altrimenti considerare priva di effetto. La norma, dunque, proibisce l’inserimento in atti costitutivi di società rogati dal notaio di clausole che non rispettino tale precetto e, quindi, proibisce che simili clausole siano stipulate.

p. 5.1. Tuttavia – siccome sostanzialmente invoca il ricorrente nell’illustrazione del secondo motivo ed ha considerato in altro caso similare Cass. n. 5913 del 2011 -la detta nullità fu sostanzialmente inidonea ad integrare l’illecito ai sensi del citato art. 28, comma 1, perchè all’epoca del fatto ascritto all’incolpato sussisteva (come continuava a sussistere prima di Cass. n. 24867 del 2010) un rilevante contrasto sia in seno alla dottrina sia nella giurisprudenza di merito circa la ricostruzione della nullità de qua nei sensi qui affermati, cioè come nullità comportante l’effetto radicale di escludere la scelta compromissoria formulata in sede di atto costitutivo e, quindi, come nullità di carattere assoluto.

L’inidoneità discendeva dall’esigenza che l’illecito disciplinare notarile di cui all’art. 28, comma 1, esige che la proibizione dell’atto, in presenza di una nuova norma, risulti chiara ed indiscussa nell’esegesi degli operatori giuridici e, quindi, in prima battuta della dottrina e della giurisprudenza di merito e, di seguito, oppure, se nella dottrina e nella giurisprudenza di merito non vi sia stata un’elaborazione di quel genere e l’esegesi favorevole alla individuazione dell’atto come proibito non sia stata univoca, qualora sopravvenga un orientamento di questa Corte di legittimità ed esso si consolidi.

La ragione che giustifica la necessità di una simile idoneità soggettiva discende dal dover garantire al notaio, in una situazione di contrasto interpretativo sulla norma, la possibilità, conforme alla logica della sua professione, di esercitare anch’esso la sua attività di professionista del diritto scegliendo l’opzione interpretativa che gli sembra più convincente fra quelle dibattute e semmai, ma ciò rileva ai fini del rapporto professionale con il cliente, è necessario che dell’opinabilità della sua ricostruzione e della sua scelta egli dia avviso alle parti.

Il Collegio condivide, in sostanza la motivazione di Cass. n. 5913 del 2011, là dove si è così espressa: Ai fini della responsabilità del notaio a norma della L. n. 89 del 1913, art. 28 è necessario che l’atto redatto dal notaio sia inequivocamente nullo (cfr. Cass. n. 11.11.1997). L’avverbio “espressamente”, che nella L. N., art. 28, comma 1, n. 1 qualifica la categoria degli “atti proibiti dalla legge va inteso come “inequivocamente”, per cui si riferisce a contrasti dell’atto con la legge, che risultino in termini inequivoci, anche se la sanzione di nullità deriva solo attraverso la disposizione generale di cui all’art. 1418 c.c., comma 1, per effetto di un consolidato orientamento interpretativo giurisprudenziale e dottrinale. La ratio della normativa in esame e le sue stesse origini storiche impongono di ritenere che al notaio non possono certo addossarsi compiti ermeneutici (con le connesse responsabilità) in presenza di incertezze interpretative oggettive.

Invece l’irricevibilità dell’atto si giustifica, quando il divieto possa desumersi in via del tutto pacifica ed incontrastata da un orientamento interpretativo ormai consolidato sul punto.

4. Ciò comporta che nella fattispecie, in presenza di contrastanti interpretazioni giurisprudenziali e dottrinali sul punto dell’alternatività tra arbitrati endosocietari (di cui al D.Lgs. n. 3 del 2005, art. 34) ed arbitrati di diritto comune ovvero dell’esclusività solo dei primi in sede societaria, costituisce errata applicazione della L. n. 89 del 1913, art. 28, aver ritenuto che costituisse nullità inequivoca e quindi ben chiara per il notaio l’aver autenticato una scrittura costitutiva di s.a.s. contenente una clausola di arbitrato con nomina degli arbitri non da parte di un terzo.”.

p. 5.2. Il Collegio sottolinea a questo punto che la composizione del contrasto fra Cass. n. 24867 del 2010 e Cass. n. 5913 del 2011 nei termini che qui si sono indicati comporta la conseguenza che a far tempo da quando questa sentenza diverrà nota al pubblico, eventuali atti costitutivi rogati da notai con previsione di clausole compromissorie difformi dalla previsione dell’art. 34, comma 2, diverranno sanzionabili sul piano disciplinare, atteso che il notaio rogante, come ogni operatore giuridico, dovrà attenersi all’individuazione del significato della norma sostenuto da questa Corte di legittimità, preposta a garantire l’esatta osservanza della legge.

p. 6. Conclusivamente la sentenza impugnata è cassata senza rinvio per intervenuta prescrizione dell’azione disciplinare quanto al primo addebito, restando assorbito il primo motivo.

Con riferimento al secondo addebito ed in accoglimento del secondo motivo la sentenza impugnata è cassata perchè ha ritenuto sussistere l’illecito disciplinare senza considerare i principi appena indicati. Poichè per decidere sulla configurabilità o meno dell’illecito disciplinare non sono necessari accertamenti di fatto, può farsi luogo a decisione nel merito dichiarativa dell’insussistenza dell’illecito.

Le spese sono compensate data l’oggettiva incertezza della lite.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso incidentale in quanto proposto dal Ministero della Giustizia e dall’Amministrazione Autonoma degli Archivi Notarili. Cassa la sentenza impugnata senza rinvio per intervenuta prescrizione in relazione alle infrazioni relative alle procure generali, sia per quanto oggetto del ricorso principale, sia per quanto oggetto del ricorso incidentale dell’Archivio Notarile di Padova. Dichiara assorbiti il primo motivo del ricorso principale e quello del ricorso incidentale di detto Archivio. Accoglie il secondo motivo del ricorso principale quanto all’illecito per la violazione del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34, comma 2. Cassa la sentenza impugnata in relazione e, decidendo nel merito, dichiara insussistente il relativo illecito disciplinare.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 16 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2011

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