Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15890 del 20/07/2011

Cassazione civile sez. III, 20/07/2011, (ud. 31/01/2011, dep. 20/07/2011), n.15890

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.M.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati MESSA VITTORIO e SANDRO DELMASTRO DELLE VEDOVE

giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI

(OMISSIS), PROCURATORE DELLA REPUBBLICA presso il TRIBUNALE DI

VERCELLI – ciascuno in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui sono difesi per legge;

– controricorrenti –

e contro

ORDINE DEI MEDICI CHIRURGHI E DEGLI ODONTOIATRI DELLA PROVINCIA DI

VERCELLI;

– intimato –

avverso la decisione n. 22/2008 della COMMISSIONE CENTRALE PER GLI

ESERCENTI LE PROFESSIONI SANITARIE di ROMA, emessa il 30/6/2008,

depositata il 28/11/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/01/2011 dal Consigliere Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per la inammissibilità

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 28 novembre 2008 la Commissione Centrale per gli esercenti le Professioni Sanitarie rigettava l’appello di G. D.M. avverso la decisione della Commissione disciplinare con cui gli era stata irrogata la sanzione della sospensione per sei mesi dall’esercizio della professione di farmacista per aver utilizzato, allo scopo di ottenere il rimborso dal S.S.N., le fustelle relative a farmaci pagati interamente dal cliente, nonchè i loro dati personali per rilasciare a loro nome false prescrizioni e così disporre di anabolizzanti ed altri farmaci, tra cui anfetamine, che utilizzava unitamente alla moglie, e per aver creato al medesimo scopo una falsa cartella clinica a nome della madre che prestava servizio in un nosocomio. Questi fatti, oggetto di patteggiamento nel giudizio penale, erano stati autonomamente valutati nella loro oggettività e nell’elemento soggettivo in sede disciplinare, mentre sul loro accadimento sussisteva il giudicato penale, a cui era equiparato il patteggiamento. L’atteggiamento non collaborativo del farmacista in sede disciplinare non era stato determinante nell’irrogazione della sanzione.

Ricorre per cassazione D.M.G. cui resiste il Ministero della Salute.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va pregiudizialmente respinto il rilevo del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali di inammissibilità del ricorso per omessa vocatio in ius del Medico Provinciale subentrato al Prefetto a norma della L. n. 296 del 1958, art. 6, penultimo comma dovendosi ribadire che “Venute meno, L. n. 296 del 1958, ex art. 6 le competenze del Prefetto (in materia di Sanità pubblica), trasferiti alle regioni gli uffici dei medici e dei veterinari provinciali ed affermata la competenza dello Stato relativamente agli ordini e collegi professionali, il Ministro della Sanità (e non più il Prefetto o il medico provinciale) è legittimo contraddittore – insieme con il Procuratore della Repubblica e l’ordine professionale – sia nel giudizio avente ad oggetto un ricorso contro decisione della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, in materia di iscrizione all’albo o di sanzioni disciplinari, sia nella precedente fase giurisdizionale davanti a tale Commissione, a seguito d’impugnazione del provvedimento amministrativo adottato dall’ordine locale (S.U. 131/1993, 5237/1998).

1.- Lamenta il ricorrente: “Mera apparenza di motivazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati al ricorrente, per omesso raffronto con il giudizio di lievità dei fatti stessi contenuto nel giudicato penale di condanna. Deduzione del vizio ex art. 111 cost., comma 6 per violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e.

5, comma 4” e conclude con il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte se nell’ipotesi di patteggiamento della pena ai sensi dell’art. 444 e 445 c.p.p. ad opera di professionista iscritto all’albo professionale, in fattispecie ove i reati contestati costituiscono anche condotte antidisciplinari, il giudizio di tenuità dei fatti e della pena irrogata dal giudice penale con sentenza passata in giudicato possa o meno esser disatteso dal giudice disciplinare e sostituito o meno con giudizio di gravità degli stessi fatti, con conseguente irrogazione di grave sanzione disciplinare”.

Il motivo è infondato avendo questa Corte già stabilito che nel giudizio disciplinare il giudizio in sede penale con applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 cod. proc. pen., vincola il giudice quanto alla ricostruzione del fatto storico e della relativa responsabilità, ma non preclude una autonoma valutazione dell’incidenza dei medesimi fatti sul rapporto professionale, dovendosi escludere – in linea con gli orientamenti della Corte costituzionale (sentenze n. 971 del 1988 e n. 197 del 1993) che ha riferito l’autonomia del procedimento disciplinare al criterio di razionalità, con conseguente esclusione di ogni automatismo di valutazione – che vi sia incompatibilità tra la necessaria autonomia del procedimento disciplinare, che riflette garanzie fondamentali della persona del lavoratore, e le connessioni che si instaurano con la giurisdizione penale, in funzione delle esigenze di economicità dei giudizi e di salvaguardia dei principi di imparzialità.

Con il secondo motivo lamenta: “Mera apparenza e quindi mancanza di motivazione ed in ogni caso assoluta illogicità di motivazione laddove la sentenza impugnata ha rilevato, contro verità documentale, un comportamento non collaborativo dell’incolpato.

Deduzione del vizio ex art. 111 cost., comma 6 ed ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e comma 4” concludendo che la sentenza è errata anche nella parte in cui accerta “un comportamento non collaborativo del D.M., e commina il massimo della sanzione della sospensione dall’esercizio della professione anche per effetto di questo comportamento”.

Il motivo non correlato alla ratio decidendi espressa in narrativa è inammissibile. Le spese del giudizio di cassazione sono a carico del soccombente.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di cassazione nei confronti del Ministero della Salute che liquida in Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese prenotate a debito e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2011

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