Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1589 del 20/01/2017


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Cassazione civile, sez. I, 20/01/2017, (ud. 07/12/2016, dep.20/01/2017),  n. 1589

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – rel. Presidente –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M.G., rappr.to e difeso dall’avv. Mariagrazia Caruso come

per notar D.N. del (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

UNICREDIT s.p.a., in persona del l.r.p.t., rapp. e difesa dall’avv.

Tito Monterosso, elett.te dom.ta in Roma, via di San Valentino n. 21

presso lo studio dell’avv. Fabrizio Carbonetti, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale-

per la cassazione della sentenza resa dalla Corte di appello di

Catania, 1^ sezione civile, n. 825/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 7 dicembre 2016 dal Presidente relatore dott. Aniello Nappi;

udito l’avvocato Marco Francolini con delega per la controricorrente;

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e l’assorbimento di quello incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p. 1. – M.G. ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Catania il Banco di Sicilia S.p.A. e ne ha chiesto condanna al pagamento di Lire 150.000.000 a titolo di risarcimento del danno cagionatogli in conseguenza dell’illegittimo comportamento della Banca, che aveva permesso alla di lui moglie separata Gambitta Sebastiana, nonostante le sue contrarie istruzioni, il trasferimento di alcuni titoli da un dossier cointestato ai coniugi ad altro cointestato alla stessa G. e al figlio M.V..

Nel contraddittorio con il Banco di Sicilia S.p.A., che ha resistito alla domanda, il Tribunale l’ha respinta.

p. 2. La sentenza è stata impugnata dal M..

Il Banco di Sicilia ha resistito all’appello. La Corte d’appello ha rigettato l’impugnazione.

p. 3. – Contro la sentenza il M. ha proposto ricorso per cassazione per un motivo, al quale il Banco di Sicilia S.p.A. ha resistito.

M.G. ha in particolare lamentato che la Corte d’appello, ritenendo versarsi in ipotesi di mutatio libelli, avesse erroneamente omesso di considerare un’appendice alla lettera-contratto, che regolava il dossier intestato ai coniugi, appendice che limitava i poteri della G..

p. 4. – Questa Corte, con sentenza 16 luglio 2010 n. 16748, ha accolto il ricorso, cassato la sentenza impugnata e rinviato alla Corte d’appello di Catania.

Con tale sentenza è stato in particolare escluso che il M., nel porre a fondamento della domanda anche l’appendice di cui si detto, avesse dato luogo ad una mutatio libelli, dal momento che nessuna immutazione vi era stata, non solo del petitum, ma neppure della causa petendi, da identificarsi nella carenza di poteri dispositivi della G..

Sicchè il giudice di merito avrebbe dovuto accertare i fatti costitutivi del diritto azionato, esaminando le scritture nel loro complesso, ivi compresi gli allegati, e dunque anche l’appendice, interpretando le varie clausole, le une per mezzo delle altre, e attribuendo a ciascuna di esse il senso che risulta dal complesso dell’atto, ai sensi dell’art. 1363 c.c.

p. 5. – Riassunto il giudizio la Corte d’appello di Catania ha nuovamente rigettato, nel contraddittorio con la Banca, l’appello del M., regolando conseguentemente le spese di lite.

La Corte territoriale ha in particolare ritenuto:

a) che, contrariamente a quanto sostenuto dalla banca, occorreva procedere alla disamina dell’appendice, non potendosi reputare essa, alla luce della precedente sentenza di questa Corte, tardivamente prodotta;

b) che l’appendice, firmata dal solo M. e non dalla G., con la quale egli affermava che la G. avrebbe potuto operare sul conto solo in caso di sua morte o incapacità, non aveva comportato alcuna modificazione della stipulazione già intercorsa in ordine all’apertura del dossier titoli cointestato ad entrambi gli allora coniugi;

c) che la menzionata appendice non aveva concorso a integrare il contratto di deposito titoli, sicchè il Banco di Sicilia S.p.A. non poteva impedire alla G. di porre in essere l’operazione che aveva compiuto.

p. 6. – Contro la sentenza M.G. ha proposto ricorso per due motivi.

Unicredit S.p.A., già Banco di Sicilia S.p.A., ha resistito con controricorso contenente ricorso incidentale condizionato per due motivi.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 7. – Il ricorso principale contiene due motivi.

p. 7.1. – Il primo motivo, svolto da pagina 24 a pagina 38 del ricorso è rubricato: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 394 c.p.c. nonchè dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c.; violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c.. Motivazione insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo della controversia. Con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Si sostiene che la Corte d’appello avrebbe violato i vincoli derivanti dalla precedente pronuncia di questa Corte, a seguito della quale si sarebbe formato il giudicato implicito sull’irrilevanza della circostanza che l’appendice non fosse sottoscritta dalla G.. Si aggiunge che detta appendice era stata redatta prima che la donna sottoscrivesse il contratto di deposito. Dopo di chè il ricorrente ha rammentato ulteriori circostanze che, a suo modo di vedere, avrebbero dovuto giustificare l’accoglimento della domanda spiegata.

p. 7.2. – Il secondo motivo denuncia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 5”.

Si dice che la Corte d’appello avrebbe errato nel condannare il M. alle spese del giudizio di appello e di quello di rinvio, spese che andavano poste a carico di controparte ed aveva altresì errato nel compensare le spese del giudizio di cassazione, nel quale la banca era risultata soccombente.

– Il ricorso principale va respinto.

p. 8.1. – Il primo motivo è infondato.

E’ anzitutto priva di fondamento la doglianza concernente la violazione da parte della Corte d’appello dell’art. 394 c.p.c., che disciplina il procedimento in sede di rinvio.

Vale anzitutto rammentare che la prima sentenza pronunciata dalla Corte d’appello di Catania è stata cassata per un error in procedendo, ossia per aver ritenuto nuova la domanda originariamente proposta ma fondata sull’appendice di cui si è più volte detto: ne discende che, versandosi non già in ipotesi di rinvio prosecutorio (o “proprio”), nel qual caso trovano applicazione gli artt. 392 – 394 c.p.c., bensì di rinvio restitutorio (o “improprio”), il giudizio di merito doveva essere ed è stato ripetuto, essendo in tal caso il giudice di merito pienamente libero nell’esame della controversia (Cass. n. 22885/2015).

Ciò detto, questa Corte, nel pronunciarsi solo sull’esistenza, negata, di una mutatio libelli, ha affidato per conseguenza al giudice di merito, nell’ottica complessivo disponibili, riesame la ritenendo, sottoscritta che si è testè rammentata, il riesame degli elementi probatori ivi compresa l’appendice, e tale Corte territoriale ha compiuto, in breve, che l’appendice, dal solo M., debitamente esaminata nel suo contenuto testuale (che è stato trascritto nella parte ritenuta rilevante) e nel rapporto con l’ulteriore documentazione disponibile, non valesse a limitare i poteri della G..

Quanto alla tesi del ricorrente, secondo cui l’appendice sarebbe stata sottoscritta prima che il contratto di deposito titoli cointestato ad entrambi i coniugi fosse stato sottoscritto dalla G., la doglianza è inammissibile, poichè muove da un evidente fraintendimento della ratio decidendi adottata dal giudice di merito il quale – lungi dall’affermare che la cointestazione richiedesse la sottoscrizione della G. – ha ritenuto che, con la firma del contratto anche solo da parte del M., si fosse già verificata la cointestazione dei titoli, con l’ulteriore conseguenza che l’appendice, firmata dal solo ricorrente, non poteva più incidere su tale cointestazione.

Ed è ovvio che la censura di un’errata ricostruzione del percorso motivazionale seguito dal giudice di merito sia perciò stesso inammissibile perchè generica.

Per il resto il ricorrente ha richiamato ulteriori circostanze (la banca sarebbe incorsa in violazione dell’art. 8 del contratto di deposito, che prevedeva il consenso di tutti depositanti in caso di opposizione di uno; la banca avrebbe consentito l’operazione alla G. nonostante questa fosse una “sconosciuta”), i quali mirano in realtà a rimettere in discussione la valutazione insindacabilmente compiuta dal giudice di merito, avuto riguardo al principio secondo cui è inammissibile la revisione del ragionamento decisorio del giudice, non potendo mai la Corte di Cassazione procedere a un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. n. 91/2014; Cass. S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 5024/2012) e non potendo il vizio consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. n. 11511/2014; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 6288/2011; Cass. n. 6694/2009; Cass. n. 15489/2007; Cass. n. 4766/2006).

p. 8.2. – Il secondo motivo è infondato.

La statuizione sulle spese adottata dal giudice di merito (condanna per le fasi di merito, compensazione per quella di cassazione) è perfettamente conforme all’insegnamento di questa Corte secondo cui la soccombenza si valuta con riguardo al complessivo esito finale del giudizio. In tal senso è fermo l’insegnamento secondo cui: “Quando una lite abbia percorso, con alterne vicende, più fasi e gradi, la soccombenza, ai fini della determinazione dell’onere delle spese, va riferita all’esito definitivo della lite stessa e non a quello di ciascuna fase, nulla rilevando che in qualche fase anteriore la parte soccombente sia rimasta vittoriosa” (v. già Cass. 6 giugno 1962, n. 1354, ed in epoca meno remota Cass. 9 marzo 2004, n. 4778; Cass. 11 gennaio 2008, n. 406).

p. 9. – Il ricorso incidentale, spiegato in via condizionata, resta assorbito.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale; condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese della presente fase di legittimità che liquida in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 7 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2017

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