Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1588 del 24/01/2020

Cassazione civile sez. III, 24/01/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 24/01/2020), n.1588

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7446-2017 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI in persona del Presidente del

Consiglio pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.S.A., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

FRANCO ROSA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 620/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 15/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31/10/2019 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

Fatto

RILEVATO

che:

D.S.A. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Napoli la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, il Ministero della Salute e l’Università degli Studi Napoli “Federico II” chiedendo il risarcimento del danno per la ritardata attuazione delle direttive comunitarie in materia di medici specializzandi. Il Tribunale adito accolse la domanda nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri con la condanna al pagamento della somma di Euro 75.620,00, oltre interessi legali sulla somma di Euro 44.415,29 rivalutata di anno in anno. Avverso detta sentenza propose appello la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Propose inoltre appello incidentale il medico in ordine al mancato riconoscimento degli interessi successivi alla pubblicazione della sentenza fino al soddisfo. Con sentenza di data 15 febbraio 2016 la Corte d’appello di Napoli dichiarò inammissibile sia l’appello principale che quello incidentale per sopravvenuta carenza di interesse ad agire, con compensazione delle spese.

Premise la corte territoriale che l’appellato aveva documentato all’udienza del 7 ottobre 2014 l’integrale pagamento spontaneo da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri dell’importo dovuto, nonchè degli interessi domandati con l’appello incidentale e delle spese successive alla sentenza impugnata richieste dal procuratore dell’appellato nelle more del giudizio di appello, e che l’appellante sia nell’udienza citata che in quella successiva, cui la causa era stata rinviata per chiarimenti circa la cessazione della materia del contendere, aveva insistito per la decisione di merito, precisando che il pagamento era stato eseguito in adempimento della sentenza di primo grado “al solo fine di evitare aggravi in caso di soccombenza”. Osservò quindi che non poteva dichiararsi la cessazione della materia del contendere, che presupponeva il reciproco darsi atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale, ma che doveva valutarsi se il fatto sopravvenuto aveva determinato il difetto di interesse ad agire, e che, posto che l’esecuzione spontanea del provvedimento giudiziale non produceva la caducazione dell’interesse ad agire salvo che si accompagnasse al riconoscimento espresso o implicito della fondatezza della domanda ovvero alla rinunzia alla prosecuzione del giudizio, nel caso di specie non si trattava del semplice pagamento spontaneo, bensì del totale soddisfacimento della pretesa attorea, anche di quella non considerata dal primo giudice (gli ulteriori interessi di cui all’appello incidentale) e delle ulteriori spese, sicchè non pareva logico che l’appellante avesse sua sponte calcolato gli ulteriori interessi richiesti con l’appello incidentale se non per porre fine alla lite. Aggiunse che dal tenore delle comunicazioni provenienti dall’appellante sembrava desumersi la definitività della condanna e del pagamento (peraltro all’udienza fissata per la sospensione dell’esecutorietà della sentenza di primo grado l’appellante non era comparso e successivamente, prima della udienza seguente, era intervenuto il pagamento spontaneo). Concluse nel senso che vi era stato il pieno riconoscimento ed il pieno soddisfacimento del diritto dell’attore, con il venir meno di ogni interesse delle parti alla pronuncia.

Ha proposto ricorso per cassazione la Presidenza del Consiglio dei Ministri sulla base di un motivo e resiste con controricorso la parte intimata. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il motivo di ricorso si denuncia violazione degli artt. 100, 282, 283 e 329 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la ricorrente che non vi è stata acquiescenza alla sentenza di primo grado, la quale è configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame (mentre nel caso di specie il pagamento era intervenuto dopo la proposizione dell’appello), giacchè successivamente all’impugnazione è possibile solo la rinunzia all’atto, e che la spontanea esecuzione alla decisione di primo grado non comporta acquiescenza alla stessa. Aggiunge che il procuratore dell’appellante, sia in sede di precisazione delle conclusioni che nella successiva udienza fissata per chiarimenti, aveva ribadito la persistenza dell’interesse alla decisione di merito, e che nella comparsa conclusionale era stato affermato che l’esecuzione della sentenza non poteva determinare alcuna cessazione della materia del contendere nè acquiescenza.

Il motivo è fondato. La ricorrente, benchè nella censura richiami la carenza di acquiescenza alla decisione del Tribunale (che è aspetto pervero non toccato dalla sentenza della Corte d’appello), in realtà censura la valutazione in termini di sopravvenuto difetto di interesse ad agire (costituente propriamente l’oggetto dell’odierna decisione impugnata), come si evince anche dal riferimento al richiamo, da parte del procuratore dell’appellante, alla persistenza dell’interesse alla decisione di merito. Deve dunque valutarsi se effettivamente sia intervenuto il fatto processuale del venir meno dell’interesse ad agire.

Deve rammentarsi che il venir meno dell’interesse ad agire si determina, in presenza di esecuzione spontanea del provvedimento del giudice, solo ove alla predetta esecuzione si accompagni il riconoscimento espresso o implicito della fondatezza della domanda (cfr. fra le tante Cass. n. 23289 del 2007 e n. 11962 del 2005). Il riconoscimento (anche implicito) della fondatezza della domanda deve essere inequivoco: il pagamento delle ulteriori voci rispetto a quanto disposto in primo grado, unitamente alla circostanza delle dichiarazioni rese in udienza circa la permanenza dell’interesse alla decisione di merito (ed anche in comparsa conclusionale), non consentono di integrare la fattispecie dell’inequivoco riconoscimento. Un riconoscimento di fondatezza della domanda non può infatti desumersi dalla circostanza del pagamento degli ulteriori interessi e spese, posto che l’adempimento del titolo provvisoriamente esecutivo impone il pagamento anche degli accessori maturati dopo la formazione del titolo medesimo, ivi comprese le spese richieste dal creditore. Deve così concludersi nel senso che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello, non è intervenuto il venir meno dell’interesse ad agire.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2020

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