Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15876 del 29/07/2016


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Cassazione civile sez. trib., 29/07/2016, (ud. 19/07/2016, dep. 29/07/2016), n.15876

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1288 – 2010 proposto da:

TECNOPOSA SRL IN LIQUIDAZIONE in persona del Liquidatore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA GIUSEPPE FERRARI 4, presso lo

studio dell’avvocato SALVATORE CORONAS, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARINO CASTIGLIONI giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 91/2008 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 20/11/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/07/2016 dal Consigliere Dott. SCODITTI Enrico;

udito per il ricorrente l’Avvocato SGUEGLIA per delega dell’Avvocato

CASTIGLIONI che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato CASELLI che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nei confronti della società Tecnoposa s.r.l. venne emesso avviso di accertamento per maggiori imposte relativamente all’anno 2000 sulla base di p.v.c. relativo alla movimentazione dei conti bancari intestati ai soci. In parziale accoglimento del ricorso della contribuente, la CTP ridusse l’importo dei ricavi non contabilizzati indicato nell’atto impositivo. La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rigettò l’appello incidentale dell’Ufficio ed accolse l’appello proposto dalla contribuente limitatamente ai seguenti punti: mantenimento dei figli, rimborso caparra immobiliare, canoni d’affitto di capannone.

Motivò la CTR nel senso che la società contribuente è una società a stretta base familiare. “Con tale premessa, è consentito sottoporre a verifica i c/c dei soci – lavoratori, anche in considerazione della natura (artigiana) dell’attività (caratterizzata di solito da non indifferenti operazioni “in nero”). Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, poi addossa alla parte l’onere di provare l’estraneità all’azienda della movimentazione finanziaria esaminata”. Nessuno degli esponenti della società si è presentato presso gli uffici della GdF per giustificare la movimentazione, continua quindi la CTR. Esclusivamente per le tre voci sopra indicate, per la CTR, risultano provate le deduzioni della società.

Ha proposto ricorso per cassazione la contribuente sulla base di due motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonchè difetto di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5. Osserva la ricorrente che erroneamente è stata posta a carico della società la prova della non riferibilità all’attività sociale della movimentazione risultante dai conti bancari intestati ai soci, dovendo l’Ufficio dimostrare che le relative operazioni erano riferibili alla società.

Il motivo è infondato. Va premesso che il quesito di diritto manifesta profili di genericità e non appare in grado di rappresentare nella sua concretezza la censura. Ad ogni buon conto, entrando nel merito, come affermato da questa Corte, la presunzione prevista dalla legge in base alla quale le movimentazioni sui conti bancari risultanti dai dati acquisiti dall’Ufficio finanziario si presumono conseguenza di operazioni imponibili, opera anche in relazione alle società di capitali con riferimento alle somme di danaro movimentate sui conti intestati ai soci o ai loro congiunti, conti che devono ritenersi riferibili alla società contribuente stessa, in presenza di alcuni elementi sintomatici, come la ristretta compagine sociale ed il rapporto di stretta contiguità familiare tra l’amministratore, o i soci, ed i congiunti intestatari dei conti bancari sottoposti a verifica; in tal caso, infatti, è particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari dei soci, e perfino dei loro familiari, debbano – in difetto di specifiche ed analitiche dimostrazioni di segno contrario – ascriversi allo stesso ente sottoposto a verifica (da ultimo, fra le tante, Cass. 12 giugno 2015, n. 12276; 18 dicembre 2014, n. 26829). Il giudice di merito ha accertato che la società contribuente era una società a ristretta base familiare. Trattasi di elemento sintomatico sufficiente per l’estensione del regime della presunzione anche ai conti dei soci.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, artt. 2727 e 2729 c.c., nonchè difetto di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5. Osserva la ricorrente che in mancanza di ulteriori elementi la movimentazione bancaria dei conti intestati ai soci ha un carattere meramente indiziario, di per sè insufficiente a fondare una ripresa fiscale, e che nella motivazione non è stata spesa alcuna parola in ordine alla documentazione offerta in relazione ad una serie di movimenti bancari.

Il motivo è inammissibile. La censura si articola in due sub – motivi, l’uno per violazione di legge, l’altro per vizio motivazionale. Entrambi i sub-motivi sono carenti sotto il profilo del quesito di sintesi. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito inerente ad una censura in diritto – dovendo assolvere alla funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale – non può essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di poter comprendere dalla sua sola lettura, l’errore asseritamene compiuto dal giudice di merito e la regola applicabile (fra le tante Cass. 7 marzo 2012, n. 3530). Il quesito di diritto è formulato nei termini seguenti: “se le presunzioni riconosciute ed ammesse dal D.P.R. 600 del 1973, per assurgere da semplici indizi al rango di prova piena debbono presentare o meno le caratteristiche indicate nell’art. 2729 c.c., dettato in materia di presunzioni semplici”. Trattasi di quesito all’evidenza generico e non in grado di rappresentare la concreta articolazione del motivo di censura. Con riferimento al vizio motivazionale è invece del tutto assente il c.d. quesito di fatto.

PQM

La Corte rigetta il primo motivo e dichiara inammissibile il secondo motivo del ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali1che liquida in Euro 5.130,00 per compenso, oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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