Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15865 del 06/07/2010

Cassazione civile sez. III, 06/07/2010, (ud. 19/05/2010, dep. 06/07/2010), n.15865

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

presso STUDIO GRASSI VIA G. AVEZZANA 8, presso lo studio

dell’avvocato DE MARTINO FILIPPO, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIANNINI STEFANO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.A. (OMISSIS), L.C.

(OMISSIS), L.K., L.D.

(OMISSIS), L.M. (OMISSIS), L.

P. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

TAGLIAMENTO 55, presso lo studio dell’avvocato DI PIERRO NICOLA, che

li rappresenta e difende giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 7 02/2004 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

SEZIONE SECONDA CIVILE, emessa il 30/04/2004, depositata il

03/11/2004 R.G.N. 703/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/05/2010 dal Consigliere Dott. FILADORO Camillo;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 30 aprile – 3 novembre 2004 la Corte di Appello di Bologna ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da R. E. avverso la decisione del Tribunale di Rimini del 17 ottobre – 21 febbraio 2001 (che aveva dichiarato cessata la materia del contendere in relazione alle eccezioni di rito ed alla domanda di reintegra nella disponibilita’ dell’albergo condotto in locazione, rigettando tutte le altre domande, proposte da entrambe le parti) per mancanza di motivi specifici della impugnazione.

Ha rilevato la Corte territoriale che, nell’atto di appello, non erano minimamente indicati – e men che meno motivati – i singoli punti della doglianza.

In pratica, l’appellante si era limitato a esporre la propria insoddisfazione per i contenuti della decisione del primo giudice, senza esporre proprie argomentazioni in contrapposizione a quelle desumibili dalla sentenza impugnata.

Avverso tale decisione il R. ha proposto ricorso per cassazione sorretto da un unico motivo.

Resistono gli intimati con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve innanzi tutto essere rigettata la eccezione di inammissibilita’ del ricorso, in quanto proposto oltre il termine perentorio di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza.

Infatti, nel procedimento di convalida di licenza per finita locazione o di sfratto, la sospensione dei termini durante il periodo feriale resta esclusa, in forza della deroga contenuta nella L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 3 in relazione all’art. 92 dell’Ordinamento giudiziario (R.D. 30 gennaio 1941, n. 12) solo per la fase sommaria di esso, la quale si conclude, nel caso di opposizione dell’intimato, con la pronuncia o il diniego dell’ordinanza di rilascio, la quale presenta, per sua natura, carattere di urgenza, mentre trova applicazione – ai sensi del principio generale stabilito dalla L. n. 742 del 1969, art. 1 – per la successiva fase a rito ordinario salvo che l’urgenza sia dichiarata con apposito provvedimento.

Il ricorso proposto dal R. e’, dunque, ammissibile.

Con l’unico motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonche’ omessa ed insufficiente motivazione su una parte decisiva della controversia, per non avere la Corte d’appello ritenuto sussistere il requisito della specificita’ dei motivi di appello ed avere, conseguentemente, dichiarato l’appello inammissibile.

Il R. aveva chiesto di accertare, sia in primo che in secondo grado, che la sua morosita’ non sussisteva. Egli, inoltre, aveva richiesto, la condanna del locatore (e, dopo la sua morte, dei suoi eredi) al rimborso della somma di complessive L. 27.000.000, per spese relative alla manutenzione straordinaria della azienda alberghiera.

Queste erano le richieste formulate sin dal giudizio di primo grado, con la domanda riconvenzionale, e questi i motivi di appello avverso la decisione del Tribunale che aveva rigettato ogni domanda del R..

Pertanto, del tutto erroneamente i giudici di appello avevano ritenuto che i motivi di impugnazione non fossero sufficientemente specifici.

La critica alla decisione di primo grado riguardava, innanzi tutto, la valutazione della prova estintiva del pagamento dell’affitto da parte del R..

Il R., in effetti, non era mai stato moroso ed anzi egli vantava, nei confronti del locatore, crediti per importi ben superiori alle somme richieste.

PQM

Per questo motivo

non corrispondere il canone, ai sensi dell’art. 1460 c.c..

L’accoglimento della domanda di accertamento della insussistenza della morosita’ da parte del R. avrebbe dovuto condurre alla declaratoria di legittimita’ del vincolo contrattuale e di insussistenza di cause che potessero giustificare la risoluzione del contratto.

Tale accertamento aveva inoltre importanza quale presupposto della separata azione per il risarcimento dei danni conseguenti all’illegittimo rilascio dell’immobile, azione che il R. si era riservato di proporre, fin dalla comparsa di riassunzione del (OMISSIS).

Evidentemente, sottolinea conclusivamente l’attuale ricorrente, i giudici di appello avevano completamente travisato i documenti prodotti e, piu’ in generale, le risultanze istruttorie.

Osserva il Collegio:

il ricorso e’ privo di fondamento.

Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, l’atto di appello deve indicare, sia pure in forma succinta, le ragioni in fatto e in diritto della doglianza contro la sentenza impugnata.

Il requisito della specificita’ dei motivi di appello, pur non richiedendo l’impiego di formule sacramentali, esige pur sempre una esposizione chiara ed univoca delle doglianze e delle domande rivolte al giudice del gravame, a pena della relativa inammissibilita’ e conseguente inidoneita’ a determinare la insorgenza del potere – dovere del giudice di appello di pronunciarsi su di essi.

Per contrastare tale principio, il ricorrente si limita a richiamare quella giurisprudenza di questi Corte, secondo la quale, nel caso di rigetto della domanda, la parte soccombente avrebbe solo l’onere di riproporre la domanda, cosi’ come avanzata (e rigettata) in primo grado.

Il richiamo a tale indirizzo giurisprudenziale appare fuor di luogo, nel caso di specie.

Infatti, l’appellante dimostra di non tener in alcun conto le ragioni espresse dal primo giudice, per giungere al rigetto delle domande.

E, dunque, non era sufficiente – in questo caso – la semplice riproposizione in sede di appello di tutte le domande gia’ avanzate – e respinte – in primo grado, senza alcuna critica delle ragioni espresse nella decisione per respingerle.

La specificita’ dei motivi di appello esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico giuridico delle prime, ragion per cui alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice.

A tal fine, non e’ sufficiente che l’individuazione delle censure sia consentita, anche indirettamente, dal complesso delle argomentazioni svolte a sostegno dei motivi di appello, dovendosi considerare integrato in sufficiente grado l’onere di specificita” dei motivi di impugnazione, pur valutato in correlazione con il tenore della motivazione della sentenza impugnata, solo quando alle argomentazioni in essa esposte siano contrapposte quelle dell’appellante in guisa tale da inficiarne il fondamento logico giuridico, come nel caso in cui lo svolgimento dei motivi sia compiuto in termini incompatibili con la complessiva argomentazione della sentenza, restando in tal caso superfluo l’esame dei singoli passaggi argomentativi (Cass. 31 maggio 2006 n. 12984).

Dall’esame diretto dei motivi di appello, risulta che l’appellante ha omesso di assolvere all’onere di investire la sentenza di primo grado con specifici motivi di impugnazione.

Da un lato, infatti, il R. ha dedotto semplicemente una scarsa comprensibilita’ della decisione di primo grado nella parte in cui la stessa aveva riconosciuto la sua morosita’.

Dall’altro, l’appellante lamenta una grossolana approssimazione della valutazione delle prove raccolte, compiuta dal primo giudice, sottolineando che proprio la parte che aveva compiutamente adempiuto al proprio onere probatorio, aveva finito per risultare soccombente.

Nessuna specifica censura viene formulata in ordine alla decisione del Tribunale, la quale – dopo aver dichiarato la cessazione della materia del contendere in ordine alle eccezioni di rito ed alla domanda di reintegra nella disponibilita’ dell’albergo – ha rigettato tutte le domande proposte da entrambe le parti.

Come esattamente ha posto in evidenza la Corte territoriale, con la sentenza impugnata, nell’atto di appello il R. non ha minimamente specificato i motivi di doglianza.

L’appello si traduce – come hanno sottolineato i giudici di appello – in una manifestazione di insoddisfazione espressa dal R., che permea tutto l’atto.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.

Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M. LA CORTE rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 1.500,00 (millecinquecento/00) di cui Euro 1.300,00 (milletrecento/00) per onorari di avvocato, oltre spese generali ed accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2010

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