Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15864 del 26/06/2017

Cassazione civile, sez. lav., 26/06/2017, (ud. 14/02/2017, dep.26/06/2017),  n. 15864

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28855-2015 proposto da:

I.F., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato PIER LUIGI PANICI,

che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio degli avvocati ARTURO MARESCA,

ENZO MORRICO, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, ROBERTO ROMEI, che la

rappresentano e difendono giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7417/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/10/2015 R.G.N. 1476/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/02/2017 dal Consigliere Dott. LAURA CURCIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Celeste Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto;

udito l’Avvocato PIER LUIGI PANICI;

udito l’Avvocato ROBERTO ROMEI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Roma ha riformato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva accolto la domanda di I.F., dipendente Telecom, dichiarando l’illegittimità del licenziamento intimato in data 31.7.2012, a seguito di contestazione disciplinare con la quale era stato addebitato ad I. di aver attestato timbrature in entrata ed in uscita dal posto di lavoro, dichiarandole come “servizio”, senza vi fossero tali ragioni, in quanto non autorizzato dai superiori, inoltre di aver attestato la presenza al lavoro in sede diversa da quella abituale, con riferimento ad 89 uscite distribuite in 73 giorni nell’arco di tempo dal 2.1.2012 al 13.7.2012, con n. 33 timbrature in sede diversa.

La Corte territoriale ha ritenuto, come già il Tribunale, tempestiva la contestazione, ma ha escluso che i fatti contestati potessero ricondursi ad una ipotesi di illecito disciplinare sanzionato con provvedimento di natura conservativa, riconducibile all’art. 47 del CCNL, (ritardo o sospensione dell’orario di lavoro senza giustificato motivo) ed ha ritenuto che i fatti configurassero la condotta di cui all’art. 48 del CCNL (condotta che provoca all’azienda grave nocumento morale o materiale o condotta consistente nel compiere, in connessione con lo svolgimento del rapporto, azioni che costituiscono delitto a termine di legge).

Ha quindi ricostruito la Corte le modalità con cui sono stare effettuate le assenze ed ha ritenuto, anche sulla base delle testimonianze raccolte di un superiore e di un collega, oltre che in base all’esame dei tabulati delle timbrature e delle lavorazioni eseguite nelle giornate in contestazione, che le assenze non fossero state autorizzate e che non corrispondevano ad effettive uscite per servizio.

Tale condotta è stata ritenuta particolarmente grave e idonea a ledere la fiducia, con conseguente legittimità del licenziamento.

Ha proposto ricorso per cassazione l’ I. affidato a tre motivi, cui ha risposto con controricorso Telecom.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 della L. n. 604 del 1966, art. 5 e degli artt. 47 e 48 del CCNL del settore, come anche degli artt. 2119 e 2016 c.c. ed anche della L. n. 182 del 2010, art. 30, per avere la Corte collegato erroneamente gli addebiti contestati e consistenti nell’aver timbrato nella stessa giornata più volte il cartellino orario con entrate ed uscite, senza effettive ragioni di servizio e nell’aver preso servizio presso una sede diversa da quella abituale, alla fattispecie di illecito disciplinare sanzionato con il licenziamento per giusta causa, previsto dall’art. 48 del CCNL del settore e non agli illeciti disciplinari contemplati dall’art. 47 del contratto, che prevede la sanzione conservativa. In particolare avrebbe errato la corte nel ritenere che le mancanze individuate dall’art. 48 abbiano carattere indicativo o comunque esemplificativo e che possa essere ricondotto alla fattispecie ogni comportamento che provochi “grave nocumento morale e materiale”. Secondo il ricorrente i fatti contestati avrebbero dovuti essere ricondotti, in base al citato art. 47 cit. alle specifiche ipotesi di illeciti ivi contemplate di ingiustificato ritardo di inizio del lavoro o di sospensione o anticipazione della cessazione del lavoro, ovvero di mancata presentazione in servizio di abbandono del proprio posto di lavoro senza giustificato motivo.

Inoltre il ricorrente lamenta che il fatto ricostruito non sarebbe stato correttamente ricondotto alla norma posta a base del recesso e soprattutto che la Corte territoriale abbia fondato la legittimità del licenziamento su fatti diversi da quelli contestati, avendo introdotto il “dolo” nella condotta, senza che nella contestazione si fosse contestato un grave nocumento materiale e morale, come la norma di cui all’art. 48 richiede.

2) Il motivo è infondato. L’illecito disciplinare previsto dall’art. 48 del CCNL, sanzionato con il licenziamento in tronco per giusta causa, articolo richiamato nella lettera di contestazione, così recita: “B) licenziamento senza preavviso. 3. In tale provvedimento incorre il lavoratore che provochi all’azienda grave nocumento morale o materiale o che compia, in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, azioni che costituiscono delitto a termine di legge”. La norma prevede poi una serie d’infrazioni espressamente definite a titolo indicativo.

3) L’art. 47 del CCNL prevede, tra le ipotesi d’illecito disciplinare cui si applica la sanzione conservativa, il caso in cui il lavoratore “senza giustificato motivo ritardi l’inizio del lavoro o lo sospenda o ne anticipi la cessazione” (lett. b.)

4) La contestazione così si esprime: “Ella ha attestato durante l’orario di lavoro timbrature in entrata e in uscita dichiarandole come “servizio”, senza che vi fossero ragioni di servizio e pertanto essere stato autorizzato da alcuno dei suoi superiori. Rileviamo altresì che Ella, senza esigenze di servizio e senza alcuna autorizzazione da parte dei suoi superiori, ha attestato la Sua presenza al lavoro in sedi diverse da quella abituale”. La lettera di contestazione contiene poi in dettaglio, per ogni giorno indicato, il numero e la durata delle uscite (89, nel periodo di sei mesi, pari a 127 giornate lavorative), l’orario di presenza in ufficio, la sede in cui era stata iniziata la giornata lavorativa.

4) Questa Corte ha più volte affermato (Cass. n. 25144/2010, Cass. n. 6498/2012, Cass. n. 15654/2012) che la giusta causa di licenziamento integra una clausola generale, che deve essere concretizzata valorizzando i fattori esterni relativi alla coscienza generale e i principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione qualora sia immune da errori logici e giuridici. Ed ancora questa Corte ha sempre ribadito che la sussistenza in concreto di una giusta causa di licenziamento va accertata in relazione sia della gravità dei fatti addebitati al lavoratore – desumibile dalla loro portata oggettiva e soggettiva, dalle circostanze nelle quali sono stati commessi nonchè dall’intensità dell’elemento intenzionale -, sia della proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta, con valutazione dell’inadempimento in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” dettata dall’art. 1455 c.c. (così Cass. n.1017/2015, Cass. n.10842/2016).

5) Diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, la Corte territoriale ha fatto buon governo di tali criteri interpretativi, osservando che il fatto oggetto della contestazione disciplinare non ha riguardato un mero ritardo o una sospensione o anticipazione della cessazione della prestazione, senza autorizzazione e quindi non giustificati, riconducibili alla fattispecie dell’illecito previsto dall’art. 47 ccnl in termini di inosservanza dell’orario di lavoro, ma ha ritenuto essersi trattato di un’attestazione, in orario di lavoro, di timbrature in entrata ed in uscita “per servizio”, quindi per motivi di lavoro, senza che vi fossero in concreto ragioni per lasciare l’ufficio, oltre che una ripetuta presa di servizio presso una sede diversa da quella di assegnazione. La contestazione ha quindi avuto ad oggetto false attestazioni di presenza in servizio, che hanno comportato, automaticamente e comunque, un’indebita remunerazione, perchè in assenza di controprestazione. Deve quindi ritenersi corretta la sussunzione, operata dai giudici di merito, dei fatti contestati nell’ipotesi di cui all’art. 48 del CCNL e quindi non sussistente il vizio lamentato.

6) Con il secondo motivo di gravame il ricorrente lamenta la violazione della L. n. 604 del 1966, art. 5 e quindi dell’art. 2019 c.c. oltre che degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ma anche un omesso esame circa un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte territoriale ritenuto erroneamente che i fatti costituenti per la società giusta causa fossero stati sufficientemente provati dalla datrice di lavoro, laddove invece i giudici si erano basati soltanto su fatti indiziari, su geniche affermazioni dei testi escussi N. e S., i quali avrebbero riferito solo criteri generali sulle modalità di organizzazione del lavoro dei progettisti come l’ I., ma nulla sui fatti concreti che avevano formato oggetto della contestazione disciplinare nei suoi confronti. Lamenta anche il ricorrente che la corte avrebbe violato la L. n. 604 del 1966, art. 5 avendo di fatto invertito l’onere probatorio, addossando al lavoratore la prova delle “frequentissime assenza dal servizio contestate” come anche della prassi aziendale ovvero dell’autorizzazione ricevuta per entrare al lavoro presso la sede di (OMISSIS) anzichè di quella di assegnazione.

7) Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

La prima censura è inammissibile perchè tendente a valutare la motivazione con riferimento alle risultanze testimoniali ed a fornirne una diversa lettura rispetto a quella della sentenza impugnata, ritornando al merito della causa attraverso un riesame delle prove, operazione che è preclusa in questa sede di legittimità.

Non è fondata poi la censura relativa alla violazione L. n. 604 del 1966, art. 5 in termini di inversione dell’onere prova. La corte territoriale ha motivato sul punto osservando come la datrice di lavoro avesse prodotto ampia documentazione relativa ai tabulati delle uscite nel periodo contestato, uscite indicate nella lettera di contestazione, che non sono risultate collegate ad alcuna attività svolta all’esterno, essendo emerso invece, anche attraverso documentazione prodotta dallo stesso ricorrente, che nelle giornate indicate nella contestazione l’ I. si fosse occupato solo di lavorazioni effettuate in ufficio e non all’esterno. La sentenza ha anche evidenziato come la società avesse anche fornito la prova, attraverso le testimonianze, della necessità che le uscite per lavori fuori sede fossero autorizzate. Nessuna inversione dell’onere probatorio ha dunque operato la Corte territoriale nel rilevare che l’ I. non aveva fornito idonea giustificazione delle uscite contestate.

8) Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta il mancato accertamento della tardività della contestazione disciplinare, posta in essere in violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e dell’art. 1375 c.c. in relazione al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Secondo il ricorrente la società Telecom, che aveva immediata disponibilità dei prospetti orari mensili dei dipendenti, ben avrebbe potuto esercitare un controllo sul rispetto dell’orario di lavoro contestando con immediatezza eventuali mancanze, al fine di ottenere il recupero di tempi non lavorati. L’attesa di circa sei mesi prima di effettuare le contestazioni risalenti al (OMISSIS), ben oltre sei mesi dal primo ritardo, sarebbe stata eccessivamente lunga, con evidente tardività della contestazione.

Inoltre il ricorrente ha lamentato che la Corte non avesse neanche ravvisato nella condotta di Telecom una chiara violazione del principio di correttezza e di buona fede di cui all’art. 1365 c.c., tenuto anche conto che l’attesa nell’ effettuare la contestazione aveva costituito di fatto una condotta scorretta, volta ad indurre il lavoratore a ripetere il comportamento per aggravarne la posizione, così da potergli contestare la ripetitività della condotta per più tempo, oltre che compromettere l’esercizio della sua difesa.

9) Il motivo è infondato. Come correttamente osservato anche dalla sentenza di merito, il controllo dell’orario di lavoro effettuato attraverso l’esame mensile dei cartellini di presenza ha una diversa funzione. Ciò che risulta immediatamente dall’indicazione del badge è appunto l’orario effettuato giornalmente e quindi eventuali scostamenti dall’orario normale, così che mensilmente è possibile controllare il rispetto dell’orario giornaliero da parte dei lavoratori. Nel caso in esame l’orario giornaliero di lavoro non risultava inferiore, perchè erano indicate uscite ed entrate che avrebbero dovuto corrispondere a sopralluoghi o servizi esterni. Solo la verifica a campione, effettuata dalla società nel luglio 2012, ha potuto consentire di accertare quanto poi contestato al dipendente.

10) Il ricorso non può pertanto trovare accoglimento. Le spese del presente giudizio possono tuttavia compensarsi, attesa la particolarità della vicenda, che ha avuto nei giudizi di merito esiti contrapposti.

PQM

 

La Corte respinge il ricorso e compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2017

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