Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15864 del 24/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 24/07/2020, (ud. 02/07/2019, dep. 24/07/2020), n.15864

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1772-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

CAD VENEZIA SRL, domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la

cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’Avvocato MATTEO GIACOMAZZI;

– controricorrente –

e contro

VITERIE BAL BI SRL;

– intimato –

Nonchè da:

VITERIE BAL. BI SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA MONTE

ZEBIO 9, presso stufi dell’avvocato GIORGIO DE ARCANGELIS,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO GRACIS;

– controricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI;

– intimata –

avverso la sentenza n. 638/2017 della COMM. TRIB. REG. del Veneto,

depositata il 30/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/07/2919 dal Consigliere Dott. SAIJA SALVATORE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

In data 9.10.2014, l’Ufficio delle Dogane di Venezia emise un avviso di accertamento suppletivo e di rettifica di dazi doganali nei confronti di Viterie Bal.Bi s.r.l. e CAD Venezia s.r.l. in solido (la prima quale importatrice, la seconda quale rappresentante doganale), ai sensi del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, e ciò in forza di un’inchiesta dell’OLAF avviata nel 2011, i cui risultati vennero comunicati all’Ufficio Centrale Antifrode con note Prot. n. 64370 del 5.6.2014 e n. 78198 del 9.7.2014. L’Ufficio rilevò l’origine cinese – anzichè tailandese, come dichiarato dall’importatore – di 24 palette di viti in acciaio, importate in data 28.10.2011, classificate alla V.D. 7318159098, merce scortata dal certificato FORM A (e quindi in totale esenzione daziaria), atteso che era rimasto accertato che l’esportatore tailandese Easy Products Import & Export Co. Ltd (presente nel FORM A) era compreso nell’elenco di società che non esistevano o avevano cessato l’attività o i cui elementi di fissaggio risultavano prodotti nella RPC e indebitamente importati nella UE. L’Ufficio accertò quindi diritti doganali ed IVA pari a complessivi Euro 23.182,74, anche a titolo di dazio antidumping pari all’85%. Proposti separati ricorsi da Viterie Bal.Bi s.r.l. e CAD Venezia s.r.l., la C.T.P. di Venezia, previa loro riunione, li accolse con sentenza del 9.7.2015. Proposto appello dall’Ufficio, la C.T.R. del Veneto lo respinse con sentenza del 30.5.2017. Osservò il giudice d’appello, in un quadro di “diversi elementi di incertezza e di difficile accertamento”, che occorreva considerare la buona fede dell’importatore, “che potrebbe non esserci ma in ogni caso non è dimostrato che non ci sia, nè vi sono elementi che ne facciano sospettare la mancanza”; il fatto che l’importatore si fosse affidato a diversi intermediari “aumenta dubbi e ambiguità”; aggiunse infine che “l’incertezza sulla corrispondenza di voci e sotto voci tra documenti ufficiali, non annullati e dichiarati illegittimi dalle Autorità locali, e regolamenti comunitari”, costituivano elementi tali da non consentire di condividere l’operato dell’Ufficio, la cui rettifica, in sostanza, era basata solo sulla relazione dell’OLAF, che però – secondo il giudice lagunare – “non riesce a dissipare le perplessità sopra elencate e ciò anche in considerazione della difficoltà a classificare con esattezza i poteri di indagine dell’Organismo”.

L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ricorre per cassazione, sulla base di due motivi, cui resistono con autonomi controricorsi CAD Venezia s.r.l. e Viterie Bal.Bi s.r.l., che ha proposto anche ricorso incidentale, affidat0a tre motivi (di cui due condizionati).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

RICORSO PRINCIPALE:

1.1 – Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 9 del Reg. n. 1073/1999, sostituito dal Reg. n. 883/2013, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La ricorrente lamenta l’erroneità della decisione nella parte in cui s’è negata la valenza probatoria delle risultanze delle indagini dell’OLAF, invece coperte da fede privilegiata, in virtù della normativa Europea richiamata in rubrica. Così facendo, la C.T.R. ha peraltro gravato l’A.F. dell’onere di dimostrare l’inesistenza delle condizioni circa l’applicabilità, nel caso concreto, del trattamento doganale privilegiato, così violando anche il disposto dell’art. 2697 c.c.

1.2 – Infine, con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 220 C.D.C., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La censura attiene a quella parte della motivazione con cui la C.T.R. ha ritenuto di dover dare rilievo alla buona fede dell’importatore, evidenziando che non vi fosse prova della sua mancanza. In tal guisa, secondo la ricorrente, il giudice d’appello ha ritenuto sussistere una presunzione di buona fede che invece non c’è, in quanto occorre verificare dapprima la ricorrenza di un errore attivo dell’autorità (escluso qualora, come nella specie, l’erronea attestazione sia dipesa dalla falsa dichiarazione dell’esportatore), della non riconoscibilità dell’errore, e quindi dell’avvenuto rispetto, da parte dell’importatore, della normativa doganale. Tali adempimenti sono stati del tutto pretermessi dalla C.T.R.

RICORSO INCIDENTALE:

1.3 – Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, e degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Viterie Bal.Bi si duole del fatto che la C.T.R. abbia compensato integralmente le spese dell’intero giudizio, senza tener conto della soccombenza dell’Ufficio e senza adeguatamente motivare.

1.4 – In via condizionata, con due ulteriori motivi, si denuncia omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 Viterie Bal.Bi ripropone le eccezioni già sollevate (ma non esaminate dai giudici di merito) circa la mancata audizione del proprio L.R. e quindi la violazione del contraddittorio, nonchè circa l’illegittima attività di acquisizione di informazioni e prove attraverso una vera e propria attività di verifica fiscale eseguita nella specie dall’Ufficio, al di fuori di ogni garanzia procedimentale.

2.1 – Preliminarmente, va disattesa l’eccezione concernente la nullità della notifica del ricorso, avanzata da CAD Venezia, per essere stati firmati i files attinenti al ricorso e alla relata con firma PAdES.

In proposito, infatti, è stato ormai definitivamente chiarito che, “In tema di processo telematico, in conformità alle disposizioni tecniche previste dal Regolamento UE n. 910 del 2014 ed alla relativa decisione di esecuzione n. 1506 del 2015, le firme digitali di tipo “CAdES” e di tipo “PAdES” sono entrambe ammesse ed equivalenti, sia pure con le differenti estensioni “.p7m” e “.pdf”, posto che il certificato di firma, inserito nella busta crittografica, è presente in entrambi gli standards, parimenti abilitati. Ne consegue la piena validità ed efficacia del ricorso (o controricorso) per cassazione munito di procura alle liti controfirmata dal difensore con firma digitale in formato “PAdES” (Cass. n. 30927/2018; conforme, Cass., Sez. Un., n. 10266/2018).

3.1 – Ciò posto, il primo motivo del ricorso principale è inammissibile, sia per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, che per difetto di decisività.

3.2 – Coglie certamente nel segno la censura in esame laddove evidenzia la palese erroneità della superficiale affermazione della C.T.R., secondo cui le numerose perplessità circa la vicenda per cui è processo non possono essere dissipate, meramente, dalla relazione dell’OLAF “e ciò anche in considerazione della difficoltà a classificare con esattezza i poteri di indagine dell’Organismo”.

3.3 – Al riguardo, è invece assolutamente consolidato l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui “In tema di tributi doganali, gli accertamenti compiuti (di propria iniziativa o su segnalazione degli Stati membri) dagli organi esecutivi della Commissione per la lotta antifrode (OLAF), ai sensi del Reg. CEE n. 1073 del 1999, ‘a posteriorì o quando vi sia un motivo per dubitare sull’autenticità della documentazione relativa all’origine e/o alla provenienza della merce, hanno piena valenza probatoria nei procedimenti amministrativi e giudiziari e, quindi, possono essere posti a fondamento dell’avviso di accertamento per il recupero dei dazi sui quali siano state riconosciute esenzioni o riduzioni, spettando al contribuente che ne contesti il fondamento fornire la prova contraria in ordine alla sussistenza delle condizioni di applicabilità del regime agevolativo” (Cass. n. 4997/2009; Cass. n. 5892/2013; Cass. n. 13770/2016; Cass. n. 16962/2016; Cass. n. 11441/2018). In proposito, è opportuno anche precisare che, sebbene l’art. 9, comma 2, del reg. CE n. 1073/1999 attribuisca tale efficacia probatoria esclusivamente al rapporto finale (“al termine della indagine l’Ufficio redige sotto l’autorità del direttore una relazione finale… Le relazioni così elaborate costituiscono elementi di prova…”), tuttavia non sussiste alcuna limitazione circa l’utilizzabilità nei procedimenti amministrativi e giudiziali dello Stato membro anche delle altre fonti di prova acquisite nel corso delle indagini svolte dall’OLAF, come è dato evincere dall’art. 9, comma 3, e dall’art. 10, comma 1, dello stesso Reg. n. 1073/1999, che prevedono la trasmissione alle autorità degli Stati membri interessati, rispettivamente, di “ogni documento utile” acquisito, nonchè la comunicazione in qualsiasi momento di “informazioni ottenute” nel corso delle indagini.

Conseguentemente, la pretesa di recupero dei dazi, esercitata con l’avviso di rettifica, deve intendersi congruamente e sufficientemente dimostrata ove basata sulle risultanze di atti ispettivi degli organismi antifrode comunitari, come l’OLAF – compresi “gli elementi raccolti in quei verbali e fatti propri nell’avviso di accertamento” (v. Cass. n. 23985/2008, in motivazione; Cass. n. 13496/2012; Cass. n. 5842/2013) -, ferma la possibilità per il contribuente di fornire la prova contraria della sussistenza delle condizioni di applicabilità del regime agevolativo (in tal senso, oltre la già citata Cass. n. 23985/2008, v. Cass. n. 1583/2012; Cass. n. 19841/2012; Cass. n. 16962/2016, cit.).

3.4 – Orbene, la ripresa doganale per cui è processo è fondata, nella prospettazione dell’Ufficio, sull’inchiesta OLAF avviata nel 2011 (caso 0F/2010/0950), i cui risultati sono stati comunicati dall’Ufficio Centrale Antifrode con note prott. 64370 del 5.6.2014 e 78198 del 9.7.2014, documenti da cui emergerebbe che l’esportatore tailandese Easy Products Import & Export Co Ltd, che compare nel FORM A della fattura di vendita in favore di Viterie Bal.Bi, è compreso nell’elenco delle società che “non esistevano o avevano cessato l’attività”, nonchè di quelle i cui “elementi di fissaggio importati e riesportati, attraverso il magazzino JWD… hanno origine dalla Repubblica Popolare Cinese”.

Al riguardo, come correttamente eccepito da entrambi i controricorrenti, deve rilevarsi come l’Agenzia sia incorsa nella violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non avendo indicato quando detti documenti – di cui l’Agenzia stessa invoca la decisività, riassumendone anche il contenuto – siano stati prodotti in giudizio e in quale sede essi attualmente si trovino.

In secondo luogo, e di conseguenza, pur non essendo necessari – ai fini del rifiuto del beneficio di applicazione di tariffe preferenziali, che dei recupero a posteriori dei dazi esentati o ridotti – l’annullamento o la revoca del certificato FORM A da parte delle autorità del Paese emittente, giacchè l’efficacia probatoria del documento stesso può essere disconosciuta anche in difetto di un procedimento giudiziario volto ad accertarne la falsità ideologica (così, Cass. n. 24439/2013), deve comunque escludersi che nella specie sia senz’altro applicabile il Reg. CE n. 91/2009, concernente l’istituzione di dazi antidumping per l’importazione di viti in acciaio non inossidabile (in cui sono comprese quelle oggetto dell’importazione per cui è processo, V.D. 73181590), originarie della Repubblica Popolare Cinese, come pretenderebbe l’Agenzia.

Infatti, a fronte di una importazione di prodotti formalmente provenienti dalla Tailandia, per l’assoggettamento degli stessi prodotti ai dazi antidumping suddetti sono astrattamente percorribili due strade: o l’adozione da parte del Consiglio, a seguito delle necessarie indagini, di un autonomo regolamento, che tali dazi estenda ai prodotti importati da determinati Paesi, una volta appurata la realizzazione di pratiche commerciali elusive (come ad esempio avvenuto per il c.d. Regolamento Malesia, Reg. UE n. 723/2011, che appunto estende i dazi di cui al Reg. CE n. 91/2009, “alle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio spediti dalla Malaysia, indipendentemente dal fatto che siano dichiarati o no originari della Malaysia”); oppure, in alternativa, occorre compiutamente dimostrare l’effettiva origine cinese dei prodotti stessi, nel caso concreto, così rendendosi pienamente applicabile il più volte richiamato Reg. CE n. 91/2009 (modificato dal Reg. UE n. 924/2012 e abrogato dal Reg. UE n. 278/2016).

Escluso che un regolamento in estensione sia stato adottato ai fini che qui interessano (lo stesso Reg. UE n. 502/2012, richiamato dalle controricorrenti, concerne in realtà “elementi di fissaggio in acciaio inossidabile e loro parti, spediti dalla Malaysia, dalla Thailandia e dalle Filippine, indipendentemente dal fatto che siano dichiarati o meno originari di tali paesi”, ed esula quindi dall’oggetto di questo giudizio), è evidente che la riscontrata violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – comportando l’inammissibilità del motivo in esame e a fronte del deficit probatorio accertato dalla C.T.R. sul punto – rende indimostrabile l’origine cinese della merce in questione.

Da quanto precede, dunque, discende anche la carenza di decisività del mezzo in esame.

4.1 – Il secondo motivo del ricorso principale e il secondo e il terzo motivo del ricorso incidentale proposto da Viterie Bal.Bi restano conseguentemente assorbiti.

5.1 – Infine, il primo motivo del ricorso incidentale, per quanto colga nel segno, non può portare alla cassazione della sentenza impugnata, sufficiente essendo la correzione della motivazione, ex art. 384 c.p.c., u.c..

Infatti, in tema di spese giudiziali, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, afferma quale regola generale, al comma 1, il principio della soccombenza, e stabilisce poi al comma 2 (come modificato dal D.Lgs. n. 156 del 2015, art. 9, comma 1, lett. f, n. 2, a decorrere dal 1^ gennaio 2016) che “Le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate”.

La formula normativa, che richiama quella di cui all’art. 92 c.p.c., comma 2, nella formulazione introdotta dalla L. n. 69 del 2009, è comunemente interpretata dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che nell’ambito delle “gravi ed eccezionali ragioni”, trattandosi di nozione necessariamente elastica, può ricondursi anche la novità della questione giuridica decisa (così, Cass. n. 11815/2018).

Al riguardo, la C.T.R. ha disposto l’integrale compensazione delle spese alla luce della “indeterminatezza e (del)/a incertezza della situazione”. Ora, pur indubbio essendo che detta indeterminatezza e incertezza deriva da un non approfondito scrutinio del materiale istruttorio e dall’incerto governo delle questioni da parte del giudice d’appello, può tuttavia ritenersi che la statuizione sulla integrale compensazione delle spese del giudizio di merito sia essenzialmente corretta e conforme alla norma in questione, ove anche si tenga conto della stessa mancanza di uno specifico regolamento estensivo dei dazi antidumping alle importazioni della merce in discorso dalla Tailandia e della obiettiva novità delle questioni sottese a siffatte importazioni. Come già anticipato, può dunque ritenersi sufficiente, al riguardo, la mera emenda della motivazione della decisione impugnata.

6.1 – In definitiva, il primo motivo del ricorso principale è inammissibile, il primo motivo del ricorso incidentale, previa correzione della motivazione, è rigettato, restano assorbiti i restanti motivi. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza nei rapporti tra la ricorrente e CAD Venezia; esse vanno invece compensate per un terzo nei rapporti tra la ricorrente e Viterie Bal.Bi, stante la parziale reciproca soccombenza, seguendo per il resto quella prevalente della prima.

In relazione al ricorso principale, nulla va infine disposto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, trattandosi di ricorso proposto da Amministrazione dello Stato, ammessa alla prenotazione a debito (Cass. n. 1778/2016). Al contrario, in relazione alla data di proposizione del ricorso incidentale di Viterie Bal.Bi, (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso principale e, previa correzione della motivazione della sentenza impugnata, rigetta il primo motivo dell’incidentale; dichiara assorbiti i restanti motivi. Condanna l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in favore di CAD Venezia s.r.l. in Euro 2.300,00 per compensi, ed in favore di Viterie Bal.Bi s.r.l. – previa compensazione per un terzo – in Euro 1.600,00 per compensi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2020

 

 

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