Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15862 del 08/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 08/06/2021, (ud. 10/03/2021, dep. 08/06/2021), n.15862

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCITO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sui ricorso iscritto al numero 23104 del ruolo generale dell’anno

2016, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Eurocostruzioni s.r.l., in persona del liquidatore pro tempore;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Liguria, n. 888/03/2015, depositata in data 7 agosto

2015, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10 marzo 2021 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 888/03/2015, depositata in data 7 agosto 2015, la Commissione tributaria regionale della Liguria accoglieva l’appello principale proposto da Eurocostruzioni s.r.l., in liquidazione, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, e rigettava l’appello incidentale dell’Ufficio avverso la sentenza n. 59/1/2010 della Commissione tributaria provinciale di Savona che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto dalla suddetta società contribuente avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), previo p.v.c. della G.d.F., aveva contestato nei confronti di quest’ultima, esercente attività di costruzione e ristrutturazione nel settore dell’edilizia, maggiori ricavi, ai fini Ires, Irap e Iva, oltre sanzioni, per il 2005, in relazione alla vendita, nell’anno di imposta verificato, di diversi immobili a prezzi inferiori a quelli di mercato, tenuto conto dei valori OMI;

– in punto di fatto dalla sentenza impugnata si evince che: 1) avverso l’atto impositivo n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio aveva contestato alla Eurocostruzioni s.r.l. un maggiore reddito di impresa per il 2005, ai fini Ires, Irap e Iva, oltre sanzioni, relativamente alla vendita, nell’anno in esame, di vari immobili a prezzi inferiori a quelli di mercato in base ai c.d. valori OMI, la società contribuente aveva proposto ricorso dinanzi alla CTP di Savona, deducendo la carenza dei presupposti per l’accertamento analitico-induttivo, essendo risultata regolarmente tenuta la contabilità, l’inesistenza di comportamenti antieconomici, l’illegittimità della ricostruzione dei maggiori ricavi sulla base della mera applicazione dei valori OMI alle vendite immobiliari effettuate nel 2005 nonchè del provvedimento sanzionatorio; 2) aveva controdedotto l’Agenzia delle entrate eccependo la legittimità dell’accertamento stante la palese antieconomicità della condotta della società evidenziata dalla cessione degli immobili realizzati a prezzi irrisori e la legittima applicazione dei valori OMI per la determinazione dei valori di mercato; 3) la CTP di Savona, con sentenza n. 59/1/2010, aveva accolto parzialmente il ricorso, riducendo l’ammontare delle sanzioni e confermando per il resto la pretesa impositiva; 4) avverso la sentenza di primo grado, aveva proposto appello principale la società eccependo, in forza della sopravvenuta L. n. 88 del 2009 (L. comunitaria 2008), l’abrogazione, con effetto retroattivo, della normativa posta dall’Ufficio a fondamento dell’operata ricostruzione dei maggiori ricavi; aveva, altresì, proposto appello incidentale l’Agenzia, chiedendo la conferma integrale dell’avviso;

– il giudice di appello, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) a seguito del parere della Commissione Europea del 19.3.2009 circa l’incompatibilità (per il campo Iva) con il diritto comunitario delle disposizioni introdotte dal D.L. n. 223 del 2006, in ordine alla possibile determinazione dell’effettivo corrispettivo dei trasferimenti immobiliari in base a criteri automatici e statistici quali le quotazioni OMI, con la L. n. 88 del 2009 (L. comunitaria 2008), avente una valenza di intervento abrogativo, con effetto retroattivo (Cass. n. 10175 del 2014 e Cass. n. 20429 del 2014), era stato ripristinato il quadro normativo anteriore al luglio 2006, sopprimendo la presunzione legale di corrispondenza del corrispettivo al valore normale del bene, per cui il giudice poteva desumere l’esistenza di attività non dichiarate anche in base a presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti; 2) le quotazioni OMI riflettevano dati statistici di larga massima che di per sè non integravano presunzioni gravi, precise e concordanti; 3) poichè l’atto impositivo in questione non conteneva alcun altro elemento posto a fondamento dell’accertamento e la normativa in base alla quale era stato espletato era stata abrogata, la ricostruzione induttiva dei ricavi operata dall’Ufficio non rifletteva i criteri stabiliti dalla legge di necessaria esistenza di una presunzione grave, precisa e concordante, per cui risultava venuta meno la ragione giuridica ad esso sottesa;

– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi; è rimasta intimata la società contribuente;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, degli artt. 2727 e 2697 c.c., per avere la CTR ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento in questione sull’erroneo presupposto che, a fondamento della ricostruzione analitico-induttiva dei maggiori ricavi, fosse stato posto dall’Ufficio soltanto lo scostamento dei prezzi di vendita degli immobili rispetto a quelli di mercato desunti dalle quotazioni OMI, ancorchè l’accertamento in questione fosse stato basato, oltre che su queste ultime, utilizzate come parametro di riferimento del quantum, su ulteriori elementi presuntivi della inattendibilità delle scritture contabili, quali le incongruenze relative alle rimanenze finali nell’anno 2005 afferenti ai lavori ultrannuali di ristrutturazione eseguiti su immobili di proprietà di terzi, valutati erroneamente sulla base del costo specifico e non del corrispettivo pattuito- nonchè la antieconomicità dell’attività tenuta dalla contribuente, con una redditività di gestione (del 10,67h) del tutto inattendibile rispetto all’attività di costruzione edile esercitata, al numero degli immobili venduti, ai prezzi di vendita praticati, al rischio imprenditoriale assunto dall’impresa e alla remunerazione dei capitali investiti nell’attività stessa;

– il motivo è inammissibile;

– in primo luogo, in difetto del principio di autosufficienza, l’Agenzia ha riprodotto in ricorso (pagg. 11-12) solo uno stralcio dell’avviso di accertamento (peraltro riferito alle vendite immobiliari operate dalla società nel 2004) che non consente a questa Corte di verificare gli esatti termini della questione e di averne la completa cognizione al fine di valutare la fondatezza della censura; invero, il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (ex multis, Cass. n. 7825 e n. 12688 del 2006; Cass. n. 14784 del 2015);

– peraltro, il motivo di ricorso, pur prospettando una violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, degli artt. 2727 e 2697 c.c., in realtà tende inammissibilmente ad una nuova interpretazione di una questione di merito, avendo la CTR, con una valutazione in fatto non sindacabile dinanzi al giudice di legittimità, ritenuto che, l’avviso di accertamento in questione non contenesse “alcun altro elemento” – oltre a quello del rilevato scostamento dei prezzi di vendita degli immobili da quelli correnti di mercato desunti dai valori OMI – a fondamento della ricostruzione analitico-induttivo dei maggiori ricavi operato dall’Ufficio e che, pertanto, in forza della L. n. 88 del 2009 (L. comunitaria 2008) abrogativa, con effetto retroattivo, della normativa – legittimante la presunzione legale di corrispondenza del corrispettivo effettivo al valore normale del bene-in base alla quale era stato effettuato l’accertamento e ripristinatoria del quadro normativo anteriore al luglio 2006, era venuta meno la ragione giuridica giustificatrice dell’accertamento impugnato, non potendo il criterio automatico e statistico delle quotazioni OMI integrare di per sè una presunzione grave, precisa e concordante; ciò, peraltro, conformemente all’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui “in tema di accertamento dei redditi d’impresa, in seguito alla sostituzione del citato art. 39, ad opera della L. n. 88 del 2009, art. 24, comma 5, che, con effetto retroattivo – stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell’Unione Europea – ha eliminato la presunzione relativa di corrispondenza dei corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi introdotta dal citato art. 35, così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta “anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti”, l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti” (Cass. n. 23379 del 2019; Cass. n. 9474 del 2017; Cass. n. 26487 del 2016; Cass. n. 24054 del 2014; Cass. n. 11439 del 2018; Cass. n. 2155 del 25/1/2019; Cass. n. 25523 del 12/11/2020); va, pertanto, al riguardo, ribadito il condivisibile principio di diritto secondo cui “E’ inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 18721 del 13/07/2018; Cass., sez. 5, 26 novembre 2020, n. 26961);

– inoltre, va aggiunto che il motivo, per come formulato, denuncia, in sostanza, una erronea interpretazione da parte del giudice di appello della contestazione posta dall’Ufficio a fondamento dell’avviso e ribadita nei gradi di merito; al riguardo, questa Corte ha chiarito che “in tema di ricorso per cassazione, l’erronea interpretazione della domande e delle eccezioni non è censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), perchè non pone in discussione il significato della norma ma la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito, il cuì apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, ovviamente entro i limiti in cui tale sindacato è ancora consentito dal vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (da ultimo, Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 31546 del 03/12/2019; Sez. 5 -, Ordinanza n. 18721 del 13/07/2018);

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in subordine, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso per il giudizio, per avere la CTR ritenuto illegittimo l’avviso, senza considerare che l’accertamento in questione era stato basato, oltre che sui valori desunti dalle tabelle OMI, utilizzati come semplice parametro di riferimento, su plurime presunzioni di inattendibilità delle scritture contabili della contribuente, quali le incongruenze contabili relative alle rimanenze finali anno 2005 e l’antieconomicità dell’attività svolta;

– il motivo è inammissibile;

– va ribadito che il vizio specifico denunciabile per cassazione in base alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 7 agosto 2015) concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015). Nella specie, il motivo è inammissibile, in quanto la ricorrente non ha assolto il suddetto onere, essendo stato, peraltro, dedotto l’omesso esame non già di un “fatto storico”, ma bensì di profili attinenti – quanto all’assunta mancata considerazione da parte della CTR degli ulteriori elementi presuntivi posti dall’ufficio a fondamento della pretesa tributaria oltre ai valori desunti dalle tabelle OMI – a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti (v. in tal senso, da ultimo, Cass. Sez. 6 – 1, Ord. n. 22397 del 06/09/2019);

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, per avere la CTR, con una motivazione apparente, annullato l’atto impositivo, limitandosi a considerare lo scostamento dei prezzi di vendita degli immobili da quelli di mercato desunti dai valori OMI inidoneo a determinare la ricostruzione di maggiori ricavi, senza procedere, alla luce delle risultanze della CTU e delle richieste delle parti, ad una rideterminazione del quantum della pretesa tributaria;

– il motivo è inammissibile e comunque, nel merito, infondato;

– in primo luogo, la censura non coglie la ratio decidendi, avendo la CTR ritenuto radicalmente illegittimo l’avviso, non rivestendo l’unico rilevato elemento fondante l’accertamento – qual era lo scostamento dei prezzi di vendita applicati da quelli di mercato desunti dai valori OMI – i caratteri di gravità, precisione e concordanza necessari per giustificare la ricostruzione induttiva operata; pertanto, nella specie, il giudice di appello, lungi dall’avere ritenuto erroneo il valore dei fabbricati ceduti come determinato dall’Ufficio, con conseguente potere-dovere di rideterminazione del quantum della pretesa impositiva, ha annullato in tato l’avviso di accertamento per difetto dei presupposti fondanti la verifica condotta ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d);

– la censura si profila, in ogni caso, infondata, in quanto premesso che come è stato da questa Corte evidenziato “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass. S.U. n. 22232 del 03/11/2016), dalla sentenza impugnata si evince chiaramente la ragione essenziale dell’accoglimento dell’appello principale della contribuente, individuata dalla CTR nel fondamento della ricostruzione operata dall’Ufficio unicamente sull’utilizzo del parametro statistico delle quotazioni OMI, non integrante – alla luce del ripristinato quadro normativo anteriore al luglio 2006 – una presunzione grave, precisa e concordante e, pertanto, nella rilevata assenza dei presupposti legittimanti l’accertamento analitico-induttivo ex art. 39, comma 1, lett. d) cit.; le considerazioni svolte dal giudice di appello rendono pertanto, palese il ragionamento logico-giuridico seguito per la formazione del proprio convincimento, il thema decidendum e le ragioni della decisione;

– in conclusione, il ricorso va rigettato;

– nulla sulle spese del giudizio di legittimità essendo rimasta la società contribuente intimata.

P.Q.M.

la Corte: rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 5 sezione civile, il 10 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2021

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