Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1586 del 26/01/2010

Cassazione civile sez. lav., 26/01/2010, (ud. 10/12/2009, dep. 26/01/2010), n.1586

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9713-2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che lo rappresenta e

difende, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 966/2 005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/03/2005 R.G.N. 10774/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/12/2009 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

La Corte:

premesso che con ricorso notificato il 24 marzo 2006 la s.p.a. Poste Italiane ha chiesto a questa Corte suprema l’annullamento della sentenza depositata il 24 marzo 2005, con la quale la Corte d’appello di Roma ha respinto l’appello avverso la sentenza con la quale il Tribunale della medesima città aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato tra F.L. e la società per il periodo dal (OMISSIS), in pretesa applicazione dell’art. 8, comma 2 del C.C.N.L. 26 novembre 1994 come integrato con l’accordo 25 settembre 1997 (“per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso e in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”) e pertanto la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato fin dall’inizio, con le condanne conseguenti;

che il ricorso è argomentato con un triplice motivo, relativo, rispettivamente: 1) alla violazione dell’art. 1372 c.c., comma 1 per non avere attribuito al comportamento inerte delle parti il valore di risoluzione consensuale tacita del rapporto di lavoro, dato che il lavoratore aveva atteso fino al 2 aprile 2001 per attivare una richiesta di prosecuzione del rapporto; 2) alla violazione della L. n. 230 del 1962 della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 1362 e ss. c.c. nonchè al vizio di motivazione per avere ritenuto oberata la società dell’onere di provare non solo l’esistenza di una fase di ristrutturazione aziendale ma anche che la singola assunzione era avvenuta in relazione alla specifica posizione lavorativa investita dal processo di ristrutturazione; 3) alla violazione degli artt. 1217 e 1233 cod. civ., per non avere la Corre Territoriale operato alcuna verifica in ordine alla sussistenza di un idoneo atto di messa in mora del datore di lavoro, utile per la decorrenza del diritto al risarcimento del danno conseguente all’illegittimo rifiuto di prosecuzione del rapporto a seguito della dichiarazione di nullità del termine;.

che F.L. si è difeso con rituale controricorso, depositando altresì memoria ex art. 378 c.p.c.;

ritenuto il primo motivo di ricorso infondato, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte suprema, secondo cui il semplice trascorrere del tempo tra l’interruzione della prestazione lavorativa a seguito della scadenza del termine apposto al contratto di lavoro e la proposizione della domanda giudiziale, in assenza di ulteriori elementi di fatto significativi dell’abbandono della pretesa alla continuazione del rapporto oltre la scadenza del termine, non assume in proposito valore abdicativo e quindi il significato di adesione ad una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro; inoltre in ragione del fatto che la valutazione degli elementi dedotti come concorrenti alla formazione di tale mutuo consenso costituisce giudizio di merito, censurabile in cassazione unicamente per illogicità o errore di diritto, come tali non specificamente dedotti nel caso in esame (cfr., per tutte, Cass. 10 novembre 2008 n. 26935);

ritenuto viceversa fondato il secondo motivo di ricorso, con conseguente assorbimento del terzo;

che infatti, va in proposito ricordato che, secondo la ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. S.U. n. 4588/06 e le successive conformi della sezione lavoro, tra le quali, da ultimo, Cass. n. 6913/09), la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 ha operato una sorta di “delega in bianco” alla contrattazione collettiva ivi considerata, quanto alla individuazione di ipotesi ulteriori di legittima apposizione di un termine al contratto di lavoro, sottratte pertanto a vincoli di conformazione derivanti dalla L. n. 230 del 1962 e soggette unicamente ai limiti e condizionamenti contrattualmente stabiliti;

che siffatta individuazione di ipotesi aggiuntive può essere effettuata anche direttamente, attraverso l’accertamento da parte dei contraenti collettivi di determinate situazioni di fatto e la valutazione delle stesse come idonea causale del contratto a termine (cfr. ad es., Cass. 20 aprile 2006 n. 9245 e 4 agosto 2008 n. 21063);

che, nel caso in esame, l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, sottoscritto dai tre maggiori sindacati nazionali e invocato in giudizio, aveva introdotto nel testo dell’art. 8, comma 2 del C.C.N.L. del 1994, quale ulteriore ipotesi di legittima apposizione del termine al contratto di lavoro (oltre quelle originariamente previste in tale C.C.N.L. ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23) il caso di “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, quale condizione per la trasformazione della natura giuridica dell’ente ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”;

che inoltre, in pari data, come rilevato nel controricorso, le medesime parti collettive avevano stipulato un accordo attuativo, col quale si davano atto che fino al 31 gennaio 1998 l’impresa versava nelle condizioni legittimanti la stipula del contratto a termine per affrontare il processo di ristrutturazione e con successivi analoghi accordi avevano accertato che tali condizioni erano proseguite fino al 30 aprile 1998;

tutto ciò premesso, la sentenza oggetto del ricorso per cassazione va censurata per avere erroneamente interpretato la norma di cui alla L. n. 56 del 1987, art. 23 ritenendo che alla stregua di essa la ricorrenza delle ragioni giustificatrici del termine che le OO.SS. sono autorizzate ad individuare debba essere verificata con riferimento a circostanze concrete che riguardino il caso singolo effettivamente esistenti (le quali inoltre, in caso di contestazione devono essere provate in giudizio);

ritenuto che un tale errore di diritto ha impedito alla Corte territoriale di valutare adeguatamente, alla luce dell’applicazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 e ss. c.c., se nel caso in esame l’accordo integrativo del 25 settembre 1997 avesse accertato direttamente la ricorrenza di specifiche situazioni di fatto giustificative della apposizione di un termine ai contratti di lavoro con la società, quantomeno con riguardo ai contratti individuali stipulati fino alla data del 30 aprile 1998;

che tali errori ed omissioni presentano diretta incidenza sulla valutazione di legittimità del termine apposto al contratto di lavoro dedotto in giudizio;

ritenuto pertanto che, per le ragioni indicate, la sentenza impugnata vada conseguentemente cassata a seguito dell’accoglimento del secondo motivo, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, che si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati, procedendo alla interpretazione dell’accordo del 25 settembre 1997, in applicazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 e ss. c.c..

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010

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