Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15859 del 26/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 26/06/2017, (ud. 07/02/2017, dep.26/06/2017),  n. 15859

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18996-2014 proposto da:

C.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CHIANA 48, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO PILEGGI, che

lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

INTESA SAN PAOLO S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

LEONE IV n. 99, presso lo studio dell’avvocato CARLO FERZI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANGELO CHIELLO,

CESARE POZZOLI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6681/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/12/2013 R.G.N. 3629/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/02/2017 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO CARMELO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANTONIO PILEGGI;

udito l’Avvocato GIANFRANCO LIUZZI per delega verbale Avvocato FERZI

CARLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 6681/2013, depositata il 29 luglio 2013, la Corte di appello di Roma, in accoglimento del gravame di Intesa Sanpaolo S.p.A. (già Banca Intesa S.p.A.) e in riforma della sentenza dei Tribunale di Roma, respingeva la domanda con la quale C.S. aveva chiesto dichiararsi la illegittimità del licenziamento allo stesso intimato con lettera del 18/9/2008 in esito a procedura di riduzione del personale ai sensi della L. n. 223 del 1991.

La Corte rilevava come il criterio del possesso dei requisiti di legge per l’accesso alla pensione di anzianità o di vecchiaia, concordato con le organizzazioni sindacali, fosse stato correttamente applicato, avuto riguardo al numero complessivo degli esuberi dichiarati, senza che, per la stessa ragione, potesse rilevare in senso contrario il fatto che la società si fosse riservata la facoltà, poi effettivamente esercitata, di trattenere in servizio un esiguo numero di dipendenti, pur in possesso dei medesimi requisiti, allo scopo di garantire la funzionalità di talune strutture operative.

La Corte escludeva, quindi, che la comunicazione, di cui all’art. 4, comma 9, potesse ritenersi non tempestiva, alla stregua della documentazione prodotta, e che quella di avvio della procedura fosse generica, potendo il datore di lavoro limitarsi all’indicazione del numero dei lavoratori eccedenti nel caso, come quello di specie, in cui il progetto imprenditoriale fosse diretto, attraverso un ridimensionamento dell’organico, alla diminuzione del costo del lavoro. Ribaditi i limiti del controllo giudiziale nelle procedure ex L. n. 223 del 1991, la Corte escludeva infine che potesse attribuirsi rilievo alla prevista assunzione di apprendisti, al fine di ritenere insussistente l’esigenza di contrazione degli organici, e che il criterio per la scelta dei lavoratori da espellere potesse presentare profili discriminatori, anche nel confronto con l’ordinamento comunitario.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza C.S., con sei motivi; la società ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 e art. 5 e dell’art. 2697 c.c. con riferimento al profilo della non contestualità, in particolare censurando la sentenza impugnata per avere posto a confronto i termini (di invio e di ricezione) della lettera di licenziamento e della comunicazione conclusiva senza curarsi che il confronto avvenisse per termini omogenei e, d’altra parte, osservando come, al di là della mera non contestualità, fosse dimostrato – alla stregua di certificazioni depositate con il ricorso – il mancato invio e la mancata ricezione della comunicazione da parte degli enti amministrativi indicati nell’art. 4, comma 9.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ex art. 360, n. 4 la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per omesso esame della ragione di illegittimità del licenziamento costituita dal mancato invio della comunicazione, di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, all’Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione competente e alla Commissione regionale per l’impiego. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 e art. 5 per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto che la comunicazione conclusiva avesse specificato puntualmente le modalità di applicazione dei criteri di scelta, pur limitandosi la stessa ad elencare i soli nominativi dei lavoratori licenziati senza indicare quelli (in numero di dodici) parimenti prossimi alla pensione e non licenziati e senza indicare le ragioni del mancato licenziamento.

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 2 e ss. e art. 24 nonchè apparente motivazione, per avere la sentenza impugnata ritenuto irrilevanti, ai fini della verifica della effettiva sussistenza dell’esubero dichiarato e della effettiva attuazione della programmata riduzione del personale, le 450 nuove assunzioni, previste con lo stesso accordo sindacale di chiusura della procedura di mobilità, e le migliaia di assunzioni immediatamente successive.

Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 3 e 9, per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che, in caso di progetto volto a ridimensionare l’organico dell’intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l’imprenditore possa limitarsi, in sede di comunicazione iniziale, all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, dovendosi, invece, ritenere che i contenuti essenziali di tale comunicazione non consentano deroghe in relazione alla natura del motivo addotto.

Con il sesto motivo il ricorrente denuncia, infine, la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 15 e del D.Lgs. n. 216 del 2003, art. 2, lett. b), per avere la sentenza erroneamente escluso il carattere discriminatorio dei licenziamenti, applicati a tutti i lavoratori anziani senza tenere conto di effettive situazioni di esubero del personale.

Il ricorso deve essere respinto.

Con riferimento al primo motivo si deve anzitutto rilevare l’inammissibilità, ex art. 372 c.p.c., della produzione delle attestazioni allegate al presente ricorso sub 3) e 4), riguardando le stesse questioni di fatto appartenenti al merito della controversia.

Il motivo è inammissibile.

Con esso, infatti, viene in realtà censurato, dietro lo schermo della deduzione del vizio di cui all’art. 360, n. 3, l’accertamento compiuto dalla Corte territoriale – di competenza esclusiva del giudice di merito, ove adeguatamente motivato – relativamente all’osservanza del requisito della contestualità della comunicazione dei recessi ai lavoratori e della trasmissione, alle OO.SS. e agli uffici amministrativi competenti, della comunicazione conclusiva della procedura: contestualità che il giudice di appello, premessi ampi richiami alla giurisprudenza di questa Corte, ha ritenuto di individuare anche nell’ipotesi di adesione all’orientamento più restrittivo in materia e sulla base di un’ampia (e comunque non contestata) ricostruzione della fattispecie.

Il secondo motivo è infondato.

Si richiama, in proposito, il consolidato principio, per il quale il lavoratore, che intenda far valere l’inefficacia o l’annullabilità del licenziamento intimatogli in esito alla procedura di riduzione del personale, è tenuto – a fronte dei numerosi adempimenti imposti dalla relativa disciplina – “ad indicare le specifiche omissioni e le specifiche irregolarità addebitate e su cui fonda il petitum, in osservanza del disposto dell’art. 414 c.p.c. ed in ragione dei criteri caratterizzanti il processo del lavoro” (Cass. n. 16629/2005; conforme, fra le molte: Cass. n. 20436/2015).

Nella specie, una tale allegazione è da ritenersi assente, posto che il ricorso introduttivo, nella parte in cui (punto 12) dovrebbe segnalare il vizio di mancato invio della comunicazione agli uffici amministrativi competenti, ai sensi dell’art. 4, comma 9, esprime una diversa doglianza e cioè il difetto di contestualità tra l’intimazione dei licenziamenti e la comunicazione ai soggetti (comprese le associazioni di categoria) indicati nella norma.

Il terzo motivo è infondato.

La censura, che con esso viene proposta, risulta sovrapponibile ad altra già esaminata e disattesa da questa Corte nella sentenza (richiamata anche nella decisione impugnata) n. 20423/2012. Anche nella specie, come nel caso preso in considerazione nella sentenza ora citata, il ricorrente non contesta il presupposto fattuale posto dal giudice di appello a base delle proprie conclusioni, vale a dire che il numero complessivo dei dipendenti in possesso del requisito del diritto di accesso alla pensione di anzianità o di vecchiaia fosse inferiore al numero dei dipendenti in esubero e che quest’ultimo non sarebbe stato comunque superato anche nell’ipotesi in cui i dodici lavoratori, ritenuti dalla società necessari a garantire la funzionalità di talune strutture operative, fossero stati licenziati.

D’altra parte, come più volte precisato da questa Corte, il criterio di selezione dei dipendenti da licenziare costituito dal requisito pensionistico ha “natura oggettiva”, così da rendere “superflua la comparazione con i lavoratori privi del requisito stesso” (Cass. n. 12196/2011).

E’ stato altresì precisato, nel solco di tale orientamento, che “può essere idonea”, ai fini della comunicazione di cui all’art. 4, comma 9, e della puntuale indicazione dei criteri di scelta, così come previsto dalla norma, “anche la comunicazione dell’elenco dei lavoratori licenziati e del criterio di scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione di anzianità o di vecchiaia, in quanto la natura oggettiva del criterio rende superflua la comparazione con i lavoratori privi del detto requisito” (Cass. n. 19576/2013).

Nè rileva l’obiezione, per la quale l’imprenditore potrebbe indicare un’esagerata entità di esuberi, così da assicurarsi la possibilità di licenziare tutti i lavoratori prossimi alla pensione senza alcuna comparazione, in presenza di regolare espletamento della procedura di confronto sindacale e stante l’assenza di deduzioni circa un qualsivoglia deficit informativo che avrebbe leso la possibilità di un esercizio concreto ed effettivo, da parte delle organizzazioni dei lavoratori, dei poteri di verifica e controllo loro attribuiti.

Il quarto motivo è, per un verso, inammissibile e, per altro, infondato.

E’ inammissibile là dove denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, non facendo seguire alla enunciazione del vizio (in rubrica) alcuna critica degli argomenti del giudice di merito, con la precisa indicazione – così come richiesto da costante orientamento – delle affermazioni contenute nella sentenza appellata che si porrebbero in contrasto con le disposizioni richiamate o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina.

Ed è infondato là dove, risolvendosi nella pura denuncia del vizio di cui all’art. 360, n. 5, censura come apparente una motivazione che tale certamente non è, sia per l’ampiezza dell’esposizione che precede e sostiene la conclusione raggiunta (cfr. sentenza impugnata, pp. 9-10), sia per la facile riconoscibilità delle ragioni che hanno ispirato la formazione del convincimento del giudice: convincimento che, nel conformarsi alla giurisprudenza di legittimità e nel ritenere che “non è sufficiente dedurre che vi sia stata l’assunzione di nuovi lavoratori per escludere sic et simpliciter la legittimità del ricorso alla procedura di mobilità (Cass. 1253/2011)” (cfr. sentenza, p. 10), mostra di avere presente il difetto di ogni deduzione in ordine a quelle circostanze – “necessità di colmare vuoti di organico originati ingiustificatamente dal processo di ristrutturazione”; “presenza di un ampliamento dell’attività economica dell’impresa non giustificato sulla base delle ragioni che hanno portato alla riduzione del personale” – ritenute, invece, dalla medesima giurisprudenza, idonee ad avvalorare conclusioni opposte.

Il quinto motivo è infondato.

La Corte di appello si è, infatti, uniformata all’orientamento di legittimità, ancora di recente ribadito, per il quale “in tema di verifica del rispetto delle regole procedurali per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, che restano sottratti al controllo giurisdizionale, cosicchè, ove il progetto imprenditoriale sia diretto a ridimensionare l’organico dell’intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso tra i diversi profili professionali previsti dalla classificazione del personale occupato nell’azienda, senza che occorra l’indicazione degli uffici o reparti con eccedenza, e ciò tanto più se si esclude qualsiasi limitazione del controllo sindacale e in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all’esito della procedura che, nell’ambito delle misure idonee a ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio della scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione” (Cass. n. 22543/2016).

Con specifico riferimento alla comunicazione conclusiva, si richiama poi Cass. n. 8971/2014, per la quale “in tema di licenziamento collettivo per riduzione del personale, qualora l’individuazione dei dipendenti da licenziare avvenga, previo accordo tra datore di lavoro ed organizzazioni sindacali, mediante ricorso ai criteri per l’accesso al Fondo di solidarietà previsti dal D.M. 28 aprile 2000, n. 158, art. 8 il datore di lavoro può limitarsi ad indicare, nella comunicazione scritta di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 9, l’elenco nominativo dei lavoratori destinatari del provvedimento espulsivo, in quanto la natura oggettiva dei criteri fissati in sede di accordo sindacale rende possibile la verifica della concreta aderenza ad essi della scelta effettuata, nonchè superflua la comparazione dei lavoratori individuati con quelli privi dei requisiti indicati”.

Il sesto motivo è infondato.

La Corte di appello si è invero uniformata, anche in relazione al motivo in esame, alla consolidata giurisprudenza di questa Corte.

In particolare, si richiama, oltre alla pronuncia già riportata nella sentenza di secondo grado, Cass. n. 4186/2013, per la quale “in materia di licenziamenti collettivi, tra imprenditore e sindacati può intercorrere, secondo quanto indicato dalla L. 23 Luglio 1991, n. 223, art. 5 un accordo inteso a disciplinare l’esercizio del potere di collocare in mobilità i lavoratori in esubero, stabilendo criteri di scelta anche difformi da quelli legali, purchè rispondenti a requisiti di obiettività e razionalità; in tale ottica, deve ritenersi razionalmente giustificato il ricorso al criterio della maturazione dei requisiti per essere collocato in pensione di anzianità, trattandosi di un criterio oggettivo che permette di scegliere, a parità di condizioni, il lavoratore che subisce il danno minore dal licenziamento, potendo sostituire il reddito da lavoro con il reddito da pensione”.

Il ricorso deve conclusivamente essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2017

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