Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15858 del 12/06/2019

Cassazione civile sez. VI, 12/06/2019, (ud. 14/02/2019, dep. 12/06/2019), n.15858

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21176-2017 proposto da:

R.A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIOVANNI OSVALDO PICCIRILLI;

– ricorrente –

contro

C.F., AMISSIMA ASSICURAZIONI SPA;

– Intimati –

avverso la sentenza n. 68/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 25/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2012 C.F. convenne dinanzi al Tribunale di Lanciano R.A.G., assumendo di avere patito lesioni personali in seguito all’aggressione di un cane di proprietà del convenuto, e chiedendo la condanna di questi al risarcimento del danno.

2. Il Tribunale di Lanciano, con sentenza n. 531 del 2015, attribuì la colpa esclusiva dell’accaduto al convenuto, ma ridusse la stima del danno da invalidità permanente patito dall’attore rispetto a quanto ritenuto dal consulente tecnico d’ufficio, sul presupposto che parte dei postumi permanenti riscontrati sulla persona dall’attore fossero ascrivibili ad un secondo ed autonomo infortunio.

3. La Corte d’appello de L’Aquila, adita da C.F., con sentenza 25.1.2017 n. 68 riformò tale statuizione, ritenendo che tutti i postumi permanenti presentati dall’attore al momento della visita medico-legale andassero ascritti all’aggressione canina.

Accolse tuttavia nello stesso tempo l’appello incidentale proposto da R.A.G., attribuendo alla vittima un concorso di colpa del 20%, per essersi avvicinata all’animale nonostante gli avvertimenti ed il divieto del suo proprietario.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da

R.A.G., con ricorso fondato su dieci motivi ed illustrato da memoria.

Nessuno degli intimati si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente prospetta due censure.

Con una prima censura lamenta l’omessa pronuncia, da parte della Corte d’appello, sull’eccezione da lui sollevata di inammissibilità dell’appello ex art. 342 c.p.c. e art. 348 bis c.p.c..

Con una seconda censura lamenta che la Corte d’appello, là dove ritenne fondate le doglianze dell’appellante circa la sussistenza del nesso di causa tra aggressione canina e postumi, aveva attribuito rilievo a mere dichiarazioni rese dalla vittima al consulente tecnico d’ufficio, al di fuori di qualsiasi contraddittorio.

1.1. Il motivo è inammissibile, per più aspetti.

In primo luogo, è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Il ricorrente, infatti, lamenta l’omessa pronuncia su due eccezioni: una processuale (inammissibilità dell’appello), l’altra sostanziale (insufficienza della prova del nesso di causa tra lesioni e postumi).

Tuttavia colui il quale lamenti l’omesso esame d’una domanda o d’una eccezione, come ripetutamente affermato da questa Corte, ha l’onere di “indicare in modo specifico” nel ricorso, a pena di inammissibilità (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), gli atti sui quali il ricorso si fonda: e dunque gli atti nei quali ha sollevato le eccezioni che si assumono non esaminate, ed il contenuto delle stesse.

“Indicare in modo specifico” tali atti vuol dire, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte:

(a) o trascriverne il contenuto, oppure riassumerlo in modo esaustivo;

(b) indicare in quale fase processuale siano stati prodotti;

(c) indicare a quale fascicolo siano allegati, e con quale indicizzazione (in tal senso, ex multis, Sez. 6 – 3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015; Sez. U, Sentenza n. 16887 del 05/07/2013; Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011).

Di questi tre oneri, il ricorrente ha assolto solo il secondo ed il terzo: il ricorso, infatti, non riassume nè trascrive il contenuto delle suddette, così demandando a questa Corte di ricercare nella documentazione cioì che ritiene fondare il motivo e dunque una impropria attività di (Ndr testo originale non comprensibile).

1.2. In secondo luogo, e ad abundantiam, il motivo è comunque inammissibile nella parte in cui lamenta l’omesso esame dell’eccezione di inammissibilità dell’appello.

Infatti non è configurabile il vizio di omesso esame di una questione (connessa ad una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o sollevabile d’ufficio), quando debba ritenersi che tali questioni od eccezioni siano state esaminate e decise implicitamente (Sez. 1, Sentenza n. 7406 del 28/03/2014, Rv. 630315-01): e nel caso di specie il fatto stesso che la Corte d’appello abbia esaminato il gravame nel merito, indica che ha ritenuto implicitamente ammissibile il gravame.

1.3. In terzo luogo, quel che più rileva, il mancato esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte, di una questione puramente processuale non può dar luogo al vizio di omessa pronunzia, il quale è configurabile con riferimento alle sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte (Sez. 1, Sentenza n. 7406 del 28/03/2014, Rv. 630315 – 01).

Pertanto, se il giudice ritiene ammissibile un appello che non lo era, nulla osservando in merito all’eccezione di inammissibilità sollevata dall’appellato, la sua decisione potrà eventualmente essere affetta dal vizio di violazione dell’art. 342 c.p.c., ma non da una omessa pronuncia.

2. Coi motivi secondo, terzo e quarto il ricorrente, pur formalmente lamentando la violazione dell’art. 2697 c.c. (secondo motivo); la nullità della sentenza per “contraddittorietà ed apparenza” della motivazione (terzo motivo); la violazione delle regole di causalità (quarto motivo), censura in realtà la valutazione delle prove e la ricostruzione del nesso di causa tra l’aggressione canina e il danno alla salute patito dalla controparte.

Sostiene che non vi era prova delle modalità dell’accaduto, in quanto i fatti erano stati solo riferiti, ma non provati, dall’attore; che la documentazione clinica agli atti consentiva di affermare che una parte dei postumi permanenti obiettivati dall’esame medico-legale erano dovuti ad un diverso infortunio; che erroneamente il giudice di merito attribuì alla vittima solo un concorso di colpa, e non la colpa esclusiva per l’accaduto.

2.1. Tutti e tre i motivi dal secondo al quarto sono inammissibili, perchè sollecitano da questa corte un controllo delle prove e degli apprezzamenti di fatto compiuti dal giudice di merito.

Ma una censura di questo tipo cozza contro il consolidato e pluridecennale orientamento di questa Corte, secondo cui non e consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (e./-permultis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214; e così via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioè che “la valutazione e la interpretazioe delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione”).

3. Coi motivi quinto e sesto il ricorrente lamenta che al danneggiato erroneamente sia stato attribuito un concorso di colpa del 20%; deduce che gli si sarebbe dovuta attribuire l’intera responsabilità; e che comunque la motivazione fu “omessa od apparente” circa le ragioni per le quali il concorso di colpa della vittima è stato determinato solo nel 20 o.

Il motivo quinto è manifestamente inammissibile, perchè censura un tipico apprezzamento di fatto.

Il motivo sesto è infondato, in quanto nei capoversi IV e V di p. 4 la Corte d’appello ha spiegato in cosa consistesse la colpa della vittima; nè il ricorrente censura la violazione dei parametri di valutazione del concorso di colpa, dettati dall’art. 1227 c.c..

4. Coi motivi dal settimo al decimo il ricorrente censura le statuizioni della sentenza impugnata in tema di mora (interessi compensativi).

Sostiene il ricorrente che il credito risarcitorio non doveva essere rivalutato, che il giudice di merito non poteva pronunciare d’ufficio sul danno da mora, che la somma sarebbe stata liquidata in moneta attuale, e poi ulteriormente rivalutata.

Tutti i motivi sono manifestamente infondati, in quanto invocano l’applicazione di norme e principi dettati per le obbligazioni di valuta, non per quelle di valore.

Il decimo motivo, altresì, è infondato perchè travisa la sentenza d’appello.

La Corte d’appello, infatti, non ha rivalutato due volte il credito risarcitorio, ma l’ha liquidato in moneta attuale e poi ha condannato il debitore al pagamento degli interessi sulla somma devalutata all’epoca del fatto, e poi via via rivalutata.

E’ evidente che il ricorrente confonde la la taxatio del credito risarcitorio, o rivalutazione, necessaria per adeguare il risarcimento al danno effettivamente patito dalla vittima, ex art. 1223 c.c., con la base di calcolo degli interessi (cioè il credito rivalutato anno per anno), la quale non è una componente del credito, ma solo un elemento finanziario di computo della mora.

5. Le spese.

Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio della parte intimata.

Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

(-) rigetta il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di R.A.G. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 14 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2019

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