Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15858 del 08/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 08/06/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 08/06/2021), n.15858

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13184-2014 proposto, da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in, ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VILLA

SEVERINI n. 54, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE TINELLI, che

la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 372/2013 della COMM. TRIB. REG. LAZIO SEZ.

DIST. di LATINA, depositata il 20/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/02/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

 

Fatto

RITENUTO

che:

L’Agenzia delle entrate ha chiesto la cassazione della sentenza n. 372/06/2013, depositata il 20.11.2013 dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, con la quale, in riforma della pronuncia di primo grado, era stato accolto il ricorso introduttivo di B.M. avverso gli avvisi di accertamento relativi agli anni d’imposta 2005 e 2006, con cui l’Ufficio, con ricostruzione sintetica, aveva rideterminato l’imponibile della contribuente ai fini Irpef e addizionali.

Ha riferito che i maggiori redditi erano stati quantificati, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 38 comma 4, sulla base di indici di spesa, identificati in particolare nell’acquisto per atto pubblico di una partecipazione azionaria nella società paterna, del valore di Euro 600.000,00, nonchè nel sostenimento delle spese di gestione di una abitazione in (OMISSIS) della superficie di mq. 300.

La B., che aveva contestato gli esiti degli accertamenti, aveva adito la Commissione tributaria provinciale di Roma, la quale, previa riunione dei ricorsi, con sentenza n. 225/32/2011 ne aveva rigettato le ragioni. La contribuente aveva appellato la pronuncia dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio, che con la sentenza ora impugnata ne aveva accolto le ragioni. Il giudice regionale ha ritenuto che gli elementi addotti dalla contribuente, il pagamento solo parziale del valore delle azioni cedute dal padre, e le scritture con cui quest’ultimo aveva concesso alla figlia una dilazione nel pagamento del prezzo ((OMISSIS)), per poi rimettere dei tutto il debito ((OMISSIS)), pur prive di data certa, erano rilevanti nell’inquadrare i rapporti famigliari tra padre e figlia, e più in generale i rapporti tra i componenti dell’intera famiglia, così che lo stesso negozio pubblico di cessione delle azioni a titolo oneroso doveva considerarsi solo apparente, dissimulando una donazione.

La ricorrente ha censurato la sentenza con un motivo, per omesso esame di un fatto decisivo per la decisione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver “sviluppato” l’aspetto messo in luce dai giudice di prime cure, cioè che le scritture private prive di data certa non potevano superare la valenza probatoria dell’atto pubblico di compravendita delle azioni al prezzo già corrisposto di Euro 600.000,00.

Ha dunque chiesto la cassazione della sentenza, con ogni conseguente statuizione.

Si è costituita l’intimata con controricorso, eccependo l’inammissibilità del ricorso e nei merito la sua infondatezza.

Nell’adunanza camerale del 23 febbraio 2021 la causa è stata discussa e decisa.

Sono state depositate memorie ex art. 330 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con l’unico motivo l’Agenzia delle entrate si duole del vizio di motivazione della decisione, che avrebbe omesso di esaminare un fatto decisivo, ossia la circostanza che le scritture allegate dalla contribuente, prive di data certa, non erano idonee a dimostrare il carattere simulato dell’atto pubblico di compravendita della partecipazione azionaria nella società paterna, perchè prive di data certa e menzionate tardivamente dalla medesima contribuente.

Il motivo è inammissibile.

Occorre premettere che la sentenza è stata depositata il 20 novembre 2013, ossia nella vigenza dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134. Con esso non sono più ammissibili nei ricorso per cassazione le censure per contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità su di essa resta circoscritto alla sola verifica della violazione dei “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale de provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; 20/11/2015, n. 2382S; 12/10/2017, n. 23940). Con la nuova formulazione del n. 5 dunque lo specifico vizio denunciarle per cassazione deve essere relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, e che, se esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia. Neppure l’omesso esame di elementi istruttori integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dai giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., 29/10/2018, n. 27415).

Nel caso di specie la difesa dell’Agenzia ha lamentato che il giudice regionale non avrebbe adeguatamente apprezzato la circostanza che le scritture private allegate dalla contribuente non potevano superare il contenuto dell’atto pubblico, che espressamente attestava il versamento del corrispettivo delle azioni cedute. Il “fatto” viene espressamente identificato nel centrato pubblico, contenente una dichiarazione di corresponsione di un corrispettivo, fiscalmente rilevante, che viene qualificato come simulato in forza di documenti privi di opponibilità (pag. 5, quinto capoverso, de ricorso).

Intanto la critica rivolta alla motivazione della decisione non è centrata. L’Agenzia delle entrate individua il vizio di motivazione nella circostanza che il giudice d’appello non avrebbe tenuto conto che i documenti allegati dalla contribuente non erano opponibili all’atto pubblico perchè privi di data certa. Sennonchè, nella motivazione elaborata dal giudice regionale non vi è traccia del documento datato (OMISSIS) (anteriore all’atto pubblico ma privo di data certa). Di contro, mettendo in relazione l’atto pubblico del (OMISSIS) con la successiva rinuncia del cedente al credito nei confronti della figlia e, più in generale, con gli stretti legami famigliari, nella motivazione si afferma che si trattava di una cessione a titolo oneroso apparente, che dissimulava una donazione. Il ragionamento della commissione regionale dunque non è centrato sull’esistenza di una controdichiarazione, ma su una valutazione complessiva dei dati, tra cui anche, ma non solo, la rinuncia ai credito – che per la sua collocazione temporale nulla ha a che vedere con l’assenza di data certa della scrittura – e sugli stretti legami famigliari, da cui si è dedotta la natura liberale e non onerosa dell’atto. La critica dell’Ufficio dunque non ha colto nel segno.

Ma, alla luce di quanto esposto sui limiti di indagine riconducibili al vizio di motivazione, secondo la nuova formulazione normativa, è ancora più assorbente la constatazione che quei limiti sono stati ampiamente superati dal motivo proposto dalla Agenzia. Il “fatto”, così come descritto e così come rappresentato nello sviluppo complessivo del motivo, esula da concetto di fatto storico, principale o secondario, richiamato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Un fatto deve essere un “fatto”, non una qualificazione giuridica di un atto, o una regola probatoria che si intende violata. La critica alla violazione delle regole probatorie in tema di simulazione avrebbe dovuto essere formulata sotto il profilo dell’errore di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Nè le modalità d’esposizione dei motivo consentono di ricondurre le doglianze nell’alveo dell’errar iuris in iudicando, atteso che l’impugnazione era senza equivoci diretta a denunciare il vizio motivazionale.

Il ricorso è dunque inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza, nella misura specificata in dispositivo. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna l’Agenzia al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura di Euro 3.700,00 per competenze ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura forfettaria dei 15% e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2021

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