Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15853 del 29/07/2016


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Cassazione civile sez. trib., 29/07/2016, (ud. 16/06/2016, dep. 29/07/2016), n.15853

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7133-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Giuseppe Camosci

del Foro di Milano e dall’Avv. Paolo Berruti del Foro di Roma,

elettivamente domiciliato in Roma, via Flaminia, 135, presso lo

studio di quest’ultimo, giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia, n. 178/24/2011, depositata il 24/11/2011;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16

giugno 2016 dal Relatore Cons. Dr. Emilio Iannello;

udito per la ricorrente l’Avvocato dello Stato Mario Capolupo;

udito per il controricorrente l’Avv. Francesco Falcitelli, per

delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa

Sanlorenzo Rita, la quale ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Aurelio B. proponeva ricorso avanti la C.T.P. di Milano avverso cartella di pagamento nei suoi confronti emessa a seguito di controllo automatizzato, ex D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis, dei redditi soggetti a tassazione separata. Avendo cessato in data 31 dicembre 2003, all’età di cinquantaquattro anni, il rapporto di lavoro con la società Robert Bosch S.p.a., nel mese di gennaio 2004 aveva da questa ricevuto Euro 25.655,00 a titolo di TFR ed Euro 354.376,00 a titolo di incentivo all’esodo ex D.L. 30 maggio 1988, n. 173, art. 4, redditi entrambi assoggettati a tassazione separata con ritenuta alla fonte e applicazione dell’aliquota piena. Con comunicazione del 15/12/2008 l’Agenzia delle entrate, avendo proceduto alla liquidazione d’imposta, richiedeva il pagamento, al netto delle ritenute operate, dell’importo di Euro 61.029,45. In date 13/1/2009 e 13/5/2009 il contribuente presentava istanze di annullamento in autotutela, sostenendo: a) di avere diritto all’aliquota agevolata di cui al T.U.I.R., art. 19, comma 4-bis, alla luce della sentenza della CGUE del 21 luglio 2005, causa C-207/2004, che aveva ritenuto discriminatoria tale disciplina laddove prevede la riduzione alla metà delle imposte dovute, sulla base di un differente limite di età, cinquanta anni per le donne e cinquantacinque per gli uomini; b) che, peraltro, il sostituto di imposta aveva erroneamente compilato il mod. 770/2005 e che la corretta compilazione avrebbe determinato il pagamento di un’imposta pari ad Euro 30.322,00. Tali contestazioni erano iterate nel proposto ricorso avverso la cartella di pagamento con il quale l’istante chiedeva: 1) in via principale, l’applicazione dell’aliquota agevolata e la conseguente declaratoria di illegittimità della cartella impugnata, instando altresì per il rimborso dell’importo oggetto di indebita ritenuta di Euro 69.699,00; 2) in subordine il riconoscimento degli errori commessi dal sostituto di imposta in sede di compilazione del modello Unico 770/2005 con conseguente ricalcolo della maggiore imposta da versare in Euro 30.322, in luogo di quella iscritta a ruolo pari ad Euro 61.029,00, senza applicazione delle sanzioni.

Con sentenza del 18/1/2010 la C.T.P. adita accoglieva parzialmente il ricorso, riducendo l’Irpef iscritta a ruolo con la cartella di pagamento da Euro 61.029,00 ad Euro 30.322,00, e annullando le sanzioni, come richiesto dalla parte in via subordinata.

2. Avverso tale decisione proponeva appello il contribuente, lamentando che contraddittoriamente il primo giudice aveva, da un lato, riconosciuto il suo diritto all’applicazione della tassazione agevolata ex T.U.I.R., art. 19, comma 4-bis e, dall’altro, si era limitato ad accogliere la richiesta avanzata in via subordinata di rideterminazione della maggiore imposta dovuta in Euro 30.322,00, senza applicazione di sanzioni.

Nelle proposte controdeduzioni, l’Ufficio tornava ad eccepire la decadenza della iterata richiesta di rimborso delle ritenute indebitamente operate, in quanto presentata contestualmente all’istanza di autotutela in data 13/1/2009, mentre il diritto al rimborso era sorto nel momento del versamento delle maggiori ritenute Irpef, quindi nel gennaio 2004, al momento dell’avvenuto pagamento da parte del sostituto di imposta delle somme a titolo di TFR e incentivo all’esodo.

Con la sentenza in epigrafe la C.T.R., in accoglimento dell’appello del contribuente, ha affermato la dovutezza del rimborso richiesto, ritenendo infondata l’eccezione di decadenza opposta dall’appellata, in ragione del duplice rilievo per cui: da un lato, essendosi in presenza non di versamento diretto ma di ritenute alla fonte, non è applicabile il disposto di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, che fissa in 48 mesi dalla data del pagamento il termine per richiedere il rimborso di quanto versato indebitamente, con la conseguenza che trova applicazione il termine prescrizionale decennale di cui all’art. 2946 c.c., trattandosi di ripetizione di indebito oggettivo; dall’altro, il predetto termine decadenziale di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, dovrebbe comunque nel caso di specie ritenersi rispettato, occorrendo aver riguardo quale dies a qua non alla data dell’operata ritenuta (2004) ma a quella di ricevimento della comunicazione di irregolarità ex D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, nella specie avvenuta il 15/12/2008, e ciò in quanto il diritto al rimborso riguarda un versamento in acconto, avente valenza provvisoria, in attesa della definizione in sede di saldo in via definitiva.

3. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, con unico mezzo.

Il contribuente resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. ritenuto tempestiva la predetta istanza di rimborso.

La censura – al cui esame non si ravvisano ragioni ostative legate a profili di non autosufficienza, risultando essa riferita a date ed elementi pacifici in causa ed emergenti anche dal contenuto della sentenza impugnata – è fondata.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 13676 del 16/06/2014 (in relazione alla questione della decorrenza del termine per l’esercizio del diritto al rimborso di somme, versate in applicazione di una norma impositiva dichiarata in contrasto col diritto comunitario da una sentenza della Corte di giustizia), hanno ribadito, sul punto specifico della decorrenza del termine di decadenza ex D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, comma 1, che: 1) gli istituti della prescrizione e della decadenza sono posti a presidio del principio, irrinunciabile in ogni ordinamento giuridico, della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche, con il corollario della conseguente intangibilità dei c.d. rapporti esauriti; 2) il legislatore, nella fissazione della durata del termine di prescrizione dei diritti, o di decadenza dagli stessi, gode di ampia discrezionalità, con l’unico limite dell’eventuale irragionevolezza; 3) in materia tributaria, nella vigenza, per la ripetizione del pagamento indebito, di un regime speciale basato sull’istanza di parte, da presentare, a pena di decadenza dal relativo diritto, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta o, in mancanza di queste, dalle norme sul contenzioso tributario (Cass. n. 11456 del 2011), rilevano, in particolare, il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, il quale, in tema di rimborso delle imposte sui redditi, stabilisce il dies a quo nella “data del versamento” o in quella “in cui la ritenuta è stata operata”, e il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, norma residuale e di chiusura del sistema, in virtù della quale “la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”; 4) secondo un consolidato orientamento del giudice di legittimità, “il termine di decadenza per la presentazione dell’istanza di rimborso, con riferimento ai versamenti in acconto, decorre dal versamento del saldo, nel caso in cui il diritto al rimborso derivi da un’eccedenza dei versamenti in acconto, rispetto a quanto risulti poi dovuto a saldo oppure qualora derivi da pagamenti cui inerisca un qualche carattere di provvisorietà, poichè subordinati alla successiva determinazione in via definitiva dell’obbligazione o della sua misura, mentre decorre dal giorno del versamento dell’acconto stesso, nel caso in cui quest’ultimo, già ai momento in cui venne eseguito, non fosse dovuto o non lo fosse nella misura in cui fu versato, ovvero qualora fosse inapplicabile la disposizione di legge in base alla quale venne effettuato, poichè in questi casi l’interesse e la possibilità di richiedere il rimborso sorge sin dal momento in cui avviene il versamento” (tra le altre, Cass. nn. 56 del 2000, 4282, 7926 e 14145 del 2001, 21557 del 2005, 13478 del 2008, 4166 del 2014), con la precisazione che detto termine di decadenza “non può farsi decorrere dalla data della emanazione di circolari o risoluzioni ministeriali interpretative delle norme tributarie in senso favorevole al contribuente, non avendo detti atti natura normativa ed essendo, quindi, inidonei ad incidere sul rapporto tributario” (Cass. nn. 11020 del 1997, 813 del 2005, 23042 del 2012, 1577 del 2014; Cass. Ord. 6 5279/2015).

Ne deriva che, avendo il termine di decadenza di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 portata generale, riferita a qualsiasi ipotesi di indebito correlato all’adempimento dell’obbligazione tributaria, qualunque sia la ragione per cui il versamento è in tutto o in parte non dovuto, e quindi ad errori tanto connessi ai versamenti, quanto riferibili all’an o al quantum del tributo, e nascendo, nel caso di specie, il diritto al rimborso preteso dal contribuente dalla questione relativa al trattamento fiscale da applicare alle somme corrisposte a titolo di incentivo all’esodo ai lavoratori alla cessazione del rapporto di lavoro, l’istanza risulta tardiva, in quanto proposta oltre il termine di 48 mesi dai versamenti tramite ritenuta.

5. Ai suesposti consolidati principi non si conforma evidentemente la decisione impugnata, risultando entrambe le alternative rationes decidendi palesemente destituite di fondamento.

5.1. La prima, in particolare, poichè in contrasto anche con la lettera della richiamata disposizione che espressamente (comma 2) riferisce la previsione di un termine di decadenza anche all’istanza di rimborso presentata “dal percipiente delle somme assoggettate a ritenuta”, indicando in tal caso quale dies a quo la “data in cui la ritenuta è stata operata”.

5.2. La seconda, inoltre, poichè in contrasto con il surricordato consolidato indirizzo in forza del quale il termine di decadenza deve farsi decorrere dalla data del versamento o della ritenuta, a nulla rilevando che in quel momento non fosse stata ancora dichiarata l’incompatibilità della norma interna con il diritto comunitario.

Come infatti rimarcato dalle Sezioni Unite, nel citato arresto: a) il principio posto dall’art. 2935 c.c., secondo cui la prescrizione “comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere” – il quale è da ritenersi applicabile anche alla decadenza – deve essere inteso con riferimento alla sola possibilità legale, non influendo sul decorso della prescrizione, salve le eccezioni stabilite dalla legge, l’impossibilità di fatto di agire in cui venga a trovarsi il titolare del diritto (Relazione al codice, p. 1198) (Cass. n. 10231 del 1998, che richiama Cass. n. 9151 del 1991); b) tra gli impedimenti “di fatto” va annoverato anche l’ostacolo all’esercizio di un diritto rappresentato dalla presenza di una norma costituzionalmente illegittima, in quanto chi si ritenga leso da tale limitazione ha il potere di percorrere la via dell’instaurazione di un giudizio e nel corso di tale giudizio richiedere che venga sollevata la relativa questione; se subisce passivamente detto impedimento, non può sfuggire alla conseguenza che il rapporto venga ad esaurirsi; c) a maggior ragione, non può essere ravvisato un impedimento “legale”, come tale idoneo ad incidere sulla decorrenza della prescrizione, nella presenza di una norma di diritto nazionale incompatibile con il diritto comunitario, posto che – mentre l’accertamento della illegittimità costituzionale di una norma è riservato ad un organo diverso dall’autorità giurisdizionale, con la conseguenza che, quando la questione sia sollevata nel corso di un giudizio, esso deve essere sospeso fino a quando la questione non sia decisa (L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23) – il contrasto tra la norma di diritto interno e quella comunitaria può essere rilevato direttamente dal giudice che, sulla base di tale premessa, è tenuto a non darle applicazione, anche quando sia stata emanata In epoca successiva a quella comunitaria (Cass. nn. 10231 del 1998, cit., 7176 del 1999 e succ. conff.; cfr., anche, Cass. n. 18276 del 2004). Tali principi sono stati confermati, sulla base delle stesse ragioni, anche per le ipotesi in cui l’incompatibilità del diritto interno con il diritto comunitario sia stata dichiarata con sentenza della Corte di giustizia (cfr. Cass. nn. 4670 e 13087 del 2012). Nè sussistono i presupposti per i quali la decorrenza del relativo termine possa ritenersi spostata alla data della liquidazione ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, non derivando il diritto al rimborso da un’eccedenza dei versamenti in acconto rispetto a quanto sia poi risultato dovuto a saldo all’esito della liquidazione nè potendo ascriversi alle ritenute alcun carattere di provvisorietà, ma dovendosi al contrario ritenere che, per le ragioni dette, l’imposta non fosse dovuta nella misura applicata, già al momento in cui la ritenuta venne eseguita.

Al richiamato arresto di Sez. U, n. 13676 del 2014 (in motivazione, par. 3) può infine farsi rimando anche per l’illustrazione delle ragioni, qui condivise, che impediscono di attribuire alcun rilievo nella materia trattata alla nota pronuncia di questa Corte in tema di overruling (Cass., sez. un., n. 15144 del 2011, cui adde Cass., sez. un., n. 24413 del 2011 e n. 17402 del 2012).

6. Il ricorso dell’Agenzia delle entrate deve pertanto essere accolto; la sentenza impugnata deve di conseguenza essere cassata con rinvio alla C.T.R. della Lombardia, in diversa composizione, per l’esame delle questioni che, nella sentenza impugnata, sono state ritenute assorbite; il giudice del rinvio provvederà altresì al regolamento delle spese anche del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. della Lombardia, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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