Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15848 del 19/07/2011

Cassazione civile sez. II, 19/07/2011, (ud. 22/06/2011, dep. 19/07/2011), n.15848

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonio – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.L., B.M., B.L.

(OMISSIS), BO.MA., M.T.

vedova B., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FLAMINIA

141, presso lo studio dell’avvocato CITARELLA LUIGI, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato SCALISI RINO;

– ricorrenti –

contro

B.T. (OMISSIS), F.S.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COSSERIA 5,

presso lo studio dell’avvocato ROMANELLI GUIDO FRANCESCO, che li

rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 105/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 28/01/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/06/2011 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;

udito l’Avvocato FRANZINI Ludovica, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato ROMANELLI Guido Francesco, difensore del resistente che

ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 12-11-1993, B. B., B.S. e B.L. deducevano:

– che con atto per notaio Sbarrato del 21-2-1990 la madre R. A., convivente con il figlio B.T. e la nuora F.S., aveva venduto a costoro i diritti di comproprietà pari a 1/2 di un immobile sito in Settimo Torinese, del valore catastale di L. 108.500.000, in cambio dell’obbligo dei medesimi di fornire “assistenza di ogni genere anche in caso di infermità”, unitamente ad “alloggio e vitto, e ogni altro genere utile e necessario al sostentamento e abbigliamento”, quantificato in L. 1.000.000 mensili;

-che all’atto della stipula la R. aveva quasi 84 anni e si trovava, da anni, in condizioni fisiche e psichiche gravemente compromesse, avendo subito nel dicembre 1983 un ictus cerebrale ed essendo divenuta negli ultimi due-tre anni incapace di provvedere a se stessa;

-che dopo cinque mesi (il 26-7-1990) la predetta era deceduta.

Tanto premesso, gli attori convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Torino i coniugi B.T. e F. S., per sentir dichiarare la nullità dell’atto di cessione de quo.

In subordine, essi chiedevano l’annullamento di tale atto per incapacità naturale della cedente e, in via ulteriormente gradata, l’accertamento della sua simulazione relativa, per l’intenzione delle parti di stipulare una donazione.

Nel costituirsi, i convenuti contestavano la fondatezza della domanda, eccependo: che la R. si era ripresa dall’ictus che l’aveva colpita sette anni prima ed era impossibile prevedere, al momento della stipula del rogito, il tempo probabile della sua vita futura; che la quantificazione in L. 1.000.000 mensili delle prestazioni da fornire alla vitaliziata, era stata effettuata dichiaratamente a fini fiscali, ed era comunque inferiore alla reale entità delle stesse; che la causa del decesso della R. (infarto intestinale) era del tutto imprevedibile e non collegabile al preesistente stato della medesima; che la R. non era affatto incapace di intendere e, presumibilmente, con il contratto aveva voluto assicurarsi per il futuro l’ospitalità presso l’abitazione dei resistenti.

Con sentenza depositata il 10-12-2003 il Tribunale, in accoglimento della domanda, dichiarava la nullità dell’atto pubblico di “cessione con costituzione di rendita vitalizia” stipulato il 21-2-1990.

I convenuti proponevano appello avverso la predetta sentenza, chiedendo, in riforma della stessa, il riconoscimento nella specie di un’ipotesi di vitalizio improprio o, in alternativa, di un negotium mixtum cum donatione.

Si costituivano B.L. e gli eredi di B. S. (nelle persone di B.M., Bo.

M. e M.T.) e di B.B. (nella persona di B.L.), chiedendo il rigetto dell’appello e riproponendo, in via subordinata, le domande di simulazione relativa e di annullamento per incapacità naturale.

Con sentenza depositata il 28-1-2005 la Corte di Appello di Torino, in riforma della decisione di primo grado, rigettava la domanda di nullità, rilevando che nella specie si era in presenza di un contratto atipico di mantenimento e che, in considerazione della ragionevole incertezza sulle possibilità di sopravvivenza della R. e sulla gravosità delle prestazioni assunte, ben poteva ravvisarsi il requisito dell’alea, costituita dall’impossibilità di prevedere in anticipo i vantaggi e le perdite ai quali le parti andavano incontro. Il giudice di appello rigettava altresì le domande subordinate di simulazione e di annullamento per incapacità naturale, per mancata enunciazione di qualsiasi elemento di prova.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono B.L., B.M., Bo.Ma., M.T. e B.L., sulla base di due motivi.

B.T. e F.S. resistono con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la falsa applicazione degli artt. 1469 e 1872 c.c., nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione riguardo alla dedotta nullità del contratto del 21-2-1990, per difetto del requisito dell’alea.

Sostengono che la Corte di Appello, nel valutare la sussistenza di tale elemento, non ha tenuto conto del valore del bene trasferito e dei frutti o degli utili ricavabili dallo stesso, delle possibilità di sopravvivenza della vitaliziata, delle gravi condizioni di salute di quest’ultima e della loro incidenza sulle sue probabilità di vita, nonchè del valore delle prestazioni poste a carico dei vitalizianti, che, in mancanza di prova contraria, non poteva che essere quello stabilito nell’atto di cessione.

Il motivo è infondato.

La Corte di Appello ha esaminato il contenuto sostanziale dell’atto per notaio Sbarrato del 21-2-1990 intercorso tra R.A. e i coniugi B.T. e F.S., ed ha ritenuto in esso racchiuso un contratto atipico di mantenimento, ossia un contratto oneroso a prestazioni corrispettive, in cui il trasferimento della comproprietà del 50% spettante alla R. (catastalmente valutato in L. 108.000.000) rappresentava il corrispettivo dell’obbligo assunto dai cessionari (dichiarato in L. 1.000.000 mensili) di effettuare, in favore della cedente, e per l’intero arco della vita della stessa, una serie di prestazioni (“assistenza di ogni genere, anche in caso di ogni e qualsiasi infermità, …alloggio, vitto e ogni altro genere utile e necessario al sostentamento, e abbigliamento”).

Come è stato puntualizzato da questa Corte, il cosiddetto contratto atipico di mantenimento è caratterizzato dall’aleatorietà, la cui individuazione postula la comparazione delle prestazioni sulla base di dati omogenei -quali la capitalizzazione della rendita reale del bene-capitale trasferito e la capitalizzazione delle rendite e delle utilità periodiche dovute nel complesso dal vitaliziante -, secondo un giudizio di presumibile equivalenza o di palese sproporzione da impostarsi con riferimento al momento di conclusione del contratto ed al grado ed ai limiti di obiettiva incertezza, sussistenti a detta epoca, in ordine alla durata della vita ed alle esigenze assistenziali del vitaliziato (Cass. Sez. Un. 11-7-1994 n. 6532).

E’ stato ulteriormente evidenziato che, nel contratto atipico di vitalizio alimentare o assistenziale, l’alea è più accentuata rispetto al contratto di rendita vitalizia configurato dall’art. 1872 c.c., in quanto le prestazioni non sono predeterminate nel loro ammontare, ma variano, giorno per giorno, secondo i bisogni (anche in ragione dell’età e della salute) del beneficiario (Cass. sez. 1, 9- 10-1996 n. 8825); e che, nel vitalizio improprio, con riferimento all’età e allo stato di salute, l’alea è esclusa soltanto se, al momento della conclusione, il beneficiario era affetto da malattia che, per natura e gravità, rendeva estremamente probabile un rapido esito letale, e che ne abbia in effetti provocato la morte dopo breve tempo, ovvero se il beneficiario abbia un’età talmente avanzata da non poter certamente sopravvivere, anche secondo le previsioni più ottimistiche, oltre un arco di tempo determinabile (Cass. Sez. 2, 24- 6-2009 n. 14796).

Nella specie, la Corte territoriale, attenendosi a tali principi, ha esaminato e valutato le prestazioni a carico di ciascuna parte, giungendo alla conclusione che, in considerazione della ragionevole incertezza sulle possibilità di sopravvivenza della R. e sulla gravosità delle prestazioni assunte dai vitalizzanti, ben poteva ravvisarsi l’elemento dell’alea, costituito dall’impossibilità di prevedere in anticipo i vantaggi e le perdite ai quali le parti andavano incontro con la stipulazione dell’atto.

Tale valutazione risulta sorretta da una motivazione adeguata, con la quale, in particolare, è stato evidenziato:

-che l’oggettiva precarietà delle condizioni di salute della a R. non era tale da farne prevedere il decesso a distanza di pochi mesi, tanto più che lo stesso sopravvenne per una malattia di cui non risultava dimostrato il collegamento causale con il preesistente stato patologico;

– che l’età della R. non era talmente avanzata da autorizzare la fondata previsione della sua morte nel volgere di pochi mesi;

– che il vitalizio era rappresentato non solo, come affermato semplicisticamente nella sentenza in primo grado, dai “costi per ospitalità, vitto e abbigliamento”, ma, in via principale, da prestazioni assistenziali (“assistenza di ogni genere, anche in caso di ogni e qualsiasi infermità”), che, al di là della convenzionale quantificazione fattane nel contratto agli effetti fiscali, non erano suscettibili di predeterminazione in un ammontare certo, ma erano variabili, giorno per giorno, secondo i bisogni del beneficiario.

Di qui la ritenuta fondatezza delle doglianze mosse dall’appellante avverso la sentenza di prime cure, che aveva concluso per la nullità dei contratto in oggetto, facendo riferimento all'”entità della prestazione promessa, inferiore agli utili ricavabili dall’immobile ceduto” (senza tuttavia tener conto della variabilità delle prestazioni di assistenza) e allo “stato patologico della R., aggravato dall’età della stessa”.

Non sussistono, pertanto, i vizi denunciati dal ricorrente, poggiando la decisione impugnata su argomentazioni corrette sul piano logico e giuridico. Nè è consentito muovere censure in questa sede in ordine all’indagine comparativa condotta e al giudizio espresso in ordine alla sussistenza dell’alea, trattandosi di apprezzamenti di fatto che, in quanto immuni da vizi logici, si sottraggono al sindacato di questa Corte (Cass. Sez. Un. 11-7-1994 n. 6532; Cass. Sez. 2, 29-8- 1992 n. 9998).

2) Con il secondo motivo i ricorrenti si dolgono dell’omessa motivazione in ordine alle domande subordinate di simulazione e di annullamento del contratto. Fanno presente, quanto alla domanda di simulazione, che gli attori hanno sempre sostenuto che esistono presunzioni gravi, precise e concordanti per ritenere che l’atto Sbarrato nascondesse una donazione, sia per la sostanziale assenza di controprestazione, sia per la stipulazione dell’atto alla presenza di testimoni; e che gli stessi appellanti hanno espressamente ammesso che l’intento della R. era stato proprio quello di donare al figlio ed alla nuora. Quanto alla domanda di annullamento, evidenziano che gli appellanti avevano chiesto l’ammissione delle prove dedotte nella memoria del 20-11-1996 ai capi 1-2-3.

Il motivo è privo di fondamento, avendo la Corte di Appello motivatamente disatteso le domande subordinate avanzate dall’attore, rilevando che era mancata l’enunciazione del “benchè minimo elemento probatorio”.

A fronte di tale argomentazione, i ricorrenti propongono censure del tutto generi che, senza nemmeno indicare in quale atto difensivo e in quali termini avevano invocato la prova per presunzione della simulazione relativa, nè specificare il contenuto dei capitoli di prova articolati a sostegno della tesi dell’incapacità della R.; sicchè questa Corte non è posta in condizione di apprezzare la decisività delle prove non ammesse o non esaminate.

3) In considerazione dell’oggettiva controvertibilità delle questioni trattate, comprovata dalle decisioni difformi adottate dai giudici di merito, sussistono giusti motivi di compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2011

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