Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15846 del 06/07/2010

Cassazione civile sez. III, 06/07/2010, (ud. 17/03/2010, dep. 06/07/2010), n.15846

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FILADORO Camillo – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 299/2006 proposto da:

SOC. MAI SPA, (OMISSIS), in persona del L.R. pro tempore, sig.

M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CASSIODORO 9,

presso lo studio dell’avvocato BLASI Sergio, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati ORRICO GIORGIO, AGNELLO FIORAVANTE,

giusta, delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

e contro

Soc. M. G. MAGNABOSCO SRL (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ITALO CARLO FALBO 27, presso lo studio dell’avvocato

COLUCCI Angelo, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

RANDO GIAMBATTISTA, con procura speciale del Notaio Giorgio GALLO in

Thiene, del 12/03/2010 rep. 122495 resistente con procura;

– resistente –

avverso la sentenza n. 364/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

Sezione Terza Civile, emessa il 14/11/2003, depositata il 04/03/2005;

R.G.N. 722/2000.

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

17/03/2010 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO; Assiste alla

discussione del ricorso Dr. Rodando FAVELLA iscritto nel Registro dei

Praticanti Procuratori di Roma del 6.11.2008 tessera n. P59714 del

10.12.2008.

udito l’Avvocato Sergio BLASI;

udito l’Avvocato Angelo COLUCCI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

IN FATTO

La Mai s.p.a. convenne in giudizio, dinanzi al tribunale di Torino, la s.p.a. Magnabosco, chiedendo la risoluzione (o in subordine la riduzione del prezzo, oltre al risarcimento dei danni), di un contratto di acquisto e di leasing di un’autoclave adibita a vulcanizzazione di pneumatici per gravi difetti del macchinario.

Propose inoltre domanda di accertamento negativo del credito di L. 9.553.939 vantato dalla Magnabosco per interventi di messa a punto dell’autoclave (l’altra parte processuale, la Locat s.p.a., evocata in quel grado di giudizio, ne risulterà estromessa fin dal procedimento di appello).

Il giudice di primo grado, respinte, con sentenza non definitiva, le eccezioni di incompetenza e di operatività di una clausola compromissoria sollevate dalla convenuta, accolse la sola domanda di riduzione del prezzo, respinta altresì in limine l’eccezione di decadenza dall’azione di garanzia pur sollevata dalla convenuta.

L’impugnazione proposta avverso entrambe le sentenze dalla Magnabosco fu dichiarata inammissibile, quanto alla pronuncia non definitiva, dalla corte di appello di Torino, che, con riferimento alla sentenza definitiva, respinto il gravame in punto di decadenza dell’azione esercitata dalla Mai e in punto di responsabilità della venditrice, e dichiarato altresì inammissibile l’appello incidentale volto ad ottenere la condanna di quest’ultima al pagamento del credito di L. 9.553.939, accolse parzialmente il gravame, riducendo la condanna della Magnabosco ad Euro 22.271,00.

La sentenza è stata impugnata dalla Mai con ricorso per cassazione sorretto da 2 motivi e illustrato da memoria. La parte intimata non ha svolto attività difensiva.

Diritto

IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo, si denuncia un vizio di nullità della sentenza e/o del procedimento. Violazione e falsa applicazione degli artt. 325, 330, 141 c.p.c..

Lamenta la ricorrente la mancata rilevazione, da parte della corte di appello, della inammissibilità dell’impugnazione della società Magnabosco per intervenuta decadenza dal termine breve di 30 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado.

Il motivo è privo di pregio.

Pur vero, difatti, che l’eccezione di tardività dell’appello non risulta esaminata dalla corte piemontese (che si è limitata a dichiarare, sic et simpliciter, al folio 7 della sentenza oggi impugnata, l’inammissibilità dell’appello proposto avverso la sentenza non definitiva del tribunale di Torino del 22.5.199) con riferimento alla sentenza definitiva di primo grado (N. 1821/1999, depositata il 19.3.1999), erra il ricorrente nell’affermare che tale pronuncia sìa stata ritualmente ed efficacemente notificata all’odierna resistente, così attivandosi la disciplina della decadenza da termine c.d. breve di 30 giorni per la proposizione dell’appello (termine, nella specie, non rispettato dalla Magnabosco).

L’error iuris in cui incorre la difesa della Mai è conseguenza della stessa giurisprudenza da essa citata a conforto dell’assunto dell’inammissibilità del gravame di controparte, giurisprudenza a mente della quale (Cass. 3102/2002) la morte del domiciliatario produce l’inefficacia della dichiarazione di elezione di domicilio e la necessità che la notificazione dell’impugnazione sia eseguita, a norma dell’art. 330 cod. proc. civ., comma 3, alla parte personalmente. Tale principio trova deroga nell’ipotesi in cui l’elezione di domicilio sia stata fatta presso lo studio di un professionista e l’organizzazione di tale studio gli sopravviva, dovendosi in questo caso considerare lo studio del professionista alla stregua di un ufficio.

Proprio in applicazione di tale principio di diritto, che questo collegio condivide, ed a cui intende dare continuità, deve ritenersi che nessuna valida notifica sia stata mai eseguita presso la Magnabosco, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Marino Roberti.

Dalla relata di notifica dell’ufficiale giudiziario incaricato, difatti, risulta che la notifica presso lo studio del difensore/domiciliatario non fu eseguita, in data 29.12.1999, “perchè non reperito l’avv. Roberti”, attivandosi così la procedura ex art. 58 disp. att. c.p.c., mentre, in epoca precedente alla predetta (tentata) notifica, e cioè in data 30.6.1999, la sentenza di primo grado era stata notificata direttamente alla parte, unitamente all’atto di precetto.

Da tale, complesso iter procedimentale, emerge, pertanto, da un canto, che in epoca successiva alla morte dell’avv. Roberti si sarebbe resa necessaria una nuova notifica ex art. 330 c.p.c., comma 3, dall’altro che, non essendo stato l’evento morte mai formalmente dichiarato in corso di giudizio, ed essendo proseguito il processo di appello con l’assistenza del figlio del difensore deceduto, proprio in applicazione del principio di diritto invocato dall’odierna ricorrente la notificazione sarebbe dovuta avvenire presso quello studio, essendo il decesso intervenuto ben sette anni prima che il tribunale depositasse la sentenza poi impugnata dalla Magnabosco.

Con il secondo motivo (suddiviso in due sub-motivi) si lamenta un vizio di insufficiente, erronea e/o contraddittoria motivazione circa la quantificazione degli pneumatici e del relativo valore.

Il motivo è infondato.

La ricorrente lamenta, a vario titolo, un difetto di motivazione della sentenza impugnata sotto il profilo dei criteri usati dal giudice subalpino sia in punto di quantificazione degli pneumatici danneggiati, sia di determinazione del relativo valore.

Tutte le doglianze rappresentate a questa corte si infrangono, peraltro, sul corretto e condivisibile impianto motivazionale adottato dal giudice del merito nella parte in cui, con apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, ha ricostruito in via presuntiva tanto il numero degli pneumatici per cui era dovuto il risarcimento, quanto il relativo valore, sulla base di una CTU ritenuta corretta e condivisibile nei contenuti e nelle conclusioni in assenza di ulteriori ed efficaci prove contrarie.

Entrambi i sub-motivi, pertanto, nel loro complesso, pur lamentando formalmente un decisivo difetto di motivazione, si risolvono, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito. Il ricorrente, difatti,, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili, perchè la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 n. 5 del codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove ed. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) si come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

Il ricorso è pertanto rigettato.

P.Q.M.

La corte rigetta e compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 17 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2010

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