Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15845 del 19/07/2011

Cassazione civile sez. II, 19/07/2011, (ud. 10/06/2011, dep. 19/07/2011), n.15845

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Z.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, CORSO DEL RINASCIMENTO 11, presso lo studio dell’avvocato

PELLEGRINO GIOVANNI, rappresentato e difeso dall’avvocato FINOCCHITO

MAURO;

– ricorrente –

contro

P.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 270/2004 della SEDE DISTACCATA DI TRIBUNALE di

MAGLIE, depositata il 29/09/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/06/2011 dal Consigliere Dott. LUCIO MAZZIOTTI DI CELSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per l’inammissibilità o rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Z.F. proponeva opposizione al decreto ingiuntivo con il quale gli era stato intimato di pagare a P.D. L. 4.538.219. L’opponente sosteneva di non essere tenuto a tale pagamento e, in via riconvenzionale, chiedeva l’annullamento della scrittura privata 3/7/1993 e di quella posta a fondamento del decreto ingiuntivo opposto contenenti ciascuna il riconoscimento di debito per L. 6.500.000.

P.D., costituitosi, eccepiva in rito l’incompetenza per valore del giudice di pace e, nel merito, chiedeva il rigetto dell’opposizione.

Il giudice di pace di Otranto, con sentenza n. 84/2000, rigettava la domanda riconvenzionale proposta dallo Z. e condannava lo stesso al pagamento in favore del P. di L. 806.468 oltre accessori.

Avverso la detta sentenza Z.F. proponeva appello chiedendo dichiararsi la nullità della pronuncia impugnata in quanto emessa da giudice incompetente per valore. In via subordinata l’appellante chiedeva dichiararsi che nessuna somma era dovuta da esso Z. in favore del P.. Quest’ultimo si costituiva e resisteva all’appello chiedendo, in ipotesi di accoglimento del motivo di gravame relativo alla incompetenza per valore, la decisione della controversia da parte del tribunale con accoglimento delle domande formulate da esso P. nel corso del giudizio di primo grado.

Con sentenza 29/9/2004 il tribunale di Lecce: dichiarava la nullità della sentenza appellata; rigettava la domanda proposta da Z. F. in opposizione e in via riconvenzionale; revocava il decreto ingiuntivo opposto; condannava Z.F. a pagare Euro 1.032,91. Osservava il tribunale: che doveva dichiararsi la nullità della sentenza di primo grado per incompetenza per valore del giudice di pace atteso che Z.F., con la domanda riconvenzionale, aveva chiesto l’annullamento per vizio del consenso delle scritture private poste a fondamento del decreto ingiuntivo opposto contenenti il riconoscimento di debiti per un valore superiore ad Euro 2.582,28; che P.D. aveva chiesto al tribunale di decidere la causa in quanto giudice competente per valore; che pertanto l’opposizione poteva essere valutata dal tribunale quale giudice di primo grado; che lo Z. non aveva provato i fatti e le circostanze relative alla spiegata riconvenzionale; che lo Z. andava condannato al pagamento della somma di Euro 1.032,91 quale risultante dalla differenza tra quanto accertato dalla disposta c.t.u. (L. 4.152.650) e quanto assegnato dal giudice di primo grado (L. 2.152.650).

La cassazione della sentenza del tribunale di Lecce è stata chiesta da Z.F. con ricorso affidato ad un solo motivo.

L’intimato P.D. non ha svolto attività difensiva in sede di legittimità.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso Z.F. denuncia vizi di motivazione deducendo che il tribunale ha errato nel condannare esso ricorrente al pagamento in favore di P.D. della somma di Euro 1.032,91. Il giudice di secondo grado ha infatti omesso di contabilizzare l’importo versato da esso Z. in data 9/4/1998 pari a L. 2.000.000 (Euro 1.032,91) con assegno bancario, come riconosciuto ed indicato dallo stesso P. nel ricorso per decreto ingiuntivo. Il tribunale, quindi, alla luce di quanto accertato dal c.t.u. nominato in primo grado, avrebbe dovuto condannare P.D. alla restituzione in favore di esso Z. della somma indebitamente ricevuta pari a L. 347.350 (Euro179,39).

La Corte rileva l’infondatezza – e, in parte, l’inammissibilità – della riportata censura che, pur se titolata come vizi di motivazione, si risolve essenzialmente nella pretesa di contrastare e criticare l’apprezzamento delle prove operato dal giudice del merito (omesso od errato esame di risultanze istruttorie e, in particolare, della espletata c.t.u.) incensurabile in questa sede di legittimità perchè sonetto da motivazione adeguata e logica: il sindacato di legittimità è sul punto limitato al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esauriente motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l’iter argomentativo seguito nell’impugnata sentenza. Inammissibilmente il ricorrente prospetta una diversa lettura del quadro probatorio dimenticando che l’interpretazione e la valutazione delle risultanze processuali sono affidate al giudice del merito e costituiscono insindacabile accertamento di fatto.

Si ha carenza di motivazione, nella sua duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, soltanto quando il giudice di merito omette di indicare nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza però un’approfondita disamina logica, ma non anche nel caso di valutazione delle circostanze probatorie in senso difforme da quello preteso dalla parte.

Parimenti si ha motivazione insufficiente nell’ipotesi di obiettiva deficienza del criterio logico che ha indotto il giudice del merito alla formulazione del proprio convincimento ovvero di mancanza di criteri idonei a sorreggere e ad individuare con chiarezza la “ratio decidendi”. ma non anche quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte sul valore o sul significato attribuito dai giudice di merito agli elementi delibati, vale a dire l’apprezzamento dei fatti e delle circostanze effettuato secondo i compiti propri di esso giudice di merito.

Nel caso in esame non è ravvisatole il lamentato difetto di motivazione.

Come riportato nella parte narrativa che precede il tribunale – con indagine di fatto condotta attraverso l’esame degli elementi probatori acquisiti al processo – ha coerentemente affermato, sulla base di circostanze qualificanti, che lo Z. era rimasto debitore nei confronti del P. di L. 2.000.000 (Euro 1.032,91).

Il tribunale, quale giudice di secondo grado, è pervenuto alle sopra riportate conclusioni (dal ricorrente criticate) attraverso argomentazioni complete ed appaganti, frutto di un’indagine accurata e puntuale delle risultanze istruttorie riportate nella decisione impugnata.

Il giudice di appello ha dato conto delle proprie valutazioni, circa i riportati accertamenti in fatto, esaminando compiutamente le risultanze istruttorie ed esponendo adeguatamente le ragioni del suo convincimento.

Alle dette valutazioni il ricorrente contrappone le proprie, ma della maggiore o minore attendibilità di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non è certo consentito discutere in questa sede di legittimità, ciò comportando un nuovo autonomo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.

Pertanto, poichè resta istituzionalmente preclusa in sede di legittimità ogni possibilità di rivalutazione delle risultanze istruttorie, non può il ricorrente pretendere il riesame del merito sol perchè la valutazione delle accertate circostanze di fatto come operata dal giudice di secondo grado non collima con le sue aspettative e confutazioni.

Va altresì segnalato che le censure concernenti l’omesso o errato esame delle risultanze probatorie (relative alla documentazione acquisita ed alla relazione del c.t.u.) oltre che per l’incidenza in ambito di apprezzamenti riservati al giudice del merito, sono inammissibili anche per la loro genericità in ordine all’asserita erroneità in cui sarebbe incorso il giudice di appello nell’interpretare e nel valutare le dette risultanze istruttorie.

Nel giudizio di legittimità il ricorrente che deduce l’omessa o l’erronea valutazione delle risultanze probatorie ha l’onere (per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione) di specificare il contenuto delle prove mal (o non) esaminate, indicando le ragioni del carattere decisivo del lamentato errore di valutazione: solo così è consentito alla corte di cassazione accertare – sulla base esclusivamente delle deduzioni esposte in ricorso e senza la necessità di indagini integrative – l’incidenza causale del difetto di motivazione (in quanto omessa, insufficiente o contraddittoria) e la decisività delle prove erroneamente valutate perchè relative a circostanze tali da poter indurre ad una soluzione della controversia diversa da quella adottata.

Il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non o mal esaminate siano tali da invalidare l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento si è formato, onde la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di base.

In proposito va ribadito che per poter configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia è necessario un rapporto di causalità logica tra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla vertenza, sì da far ritenere che quella circostanza se fosse stata considerata avrebbe portato ad una decisione diversa.

Nella specie le censure mosse dalla ricorrente sono carenti sotto l’indicato aspetto in quanto non riportano il contenuto specifico e completo della documentazione indicata in ricorso e della relazione del c.t.u..: tale omissione non consente di verificare l’incidenza causale e la decisività dei rilievi al riguardo sviluppati in ricorso.

Sotto altro aspetto le censure concernenti gli asseriti errori che sarebbero stati commessi dal giudice di secondo grado nel ricostruire i fatti di causa sono inammissibili risolvendosi nella tesi secondo cui l’impugnata sentenza sarebbe basata su affermazioni contrastanti con gli atti del processo e frutto di errore di percezione o di una svista materiale degli atti di causa. Trattasi all’evidenza della denuncia di travisamento dei fatti contro cui è esperibile il rimedio della revocazione. Secondo quanto più volte affermato da questa Corte, la denuncia di un travisamento di fatto, quando attiene al fatto che sarebbe stato affermato in contrasto con la prova acquisita, costituisce motivo di revocazione e non di ricorso per cassazione importando essa un accertamento di merito non consentito in sede di legittimità.

Il ricorso va quindi rigettato.

Nessun provvedimento va emesso in ordine alle spese del giudizio di legittimità nel quale l’intimato P.D. non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2011

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