Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15844 del 19/07/2011

Cassazione civile sez. II, 19/07/2011, (ud. 10/06/2011, dep. 19/07/2011), n.15844

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – rel. Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.M. (OMISSIS), M.B.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MERULANA

234, presso lo studio dell’avvocato BOLOGNA GIULIANO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LAVATELLI MARIO;

– ricorrenti –

contro

C.A. (OMISSIS), C.M.G.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SABOTINO 4

6, presso lo studio dell’avvocato ROMANO GIOVANNI, che li rappresenta

e difende unitamente all’avvocato BOTTA GIUSEPPE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2497/2008 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 18/09/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/06/2011 dal Presidente Dott. ROBERTO MICHELE TRIOLA;

udito l’Avvocato BOLOGNA Giuliano, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento delle difese depositate;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 28 dicembre 2000 M.B. e C. M. convenivano C.M.G. ed C.A. davanti al Tribunale di Como, proponendo azione di riduzione in relazione alla successione di C.R., marito di B. M. e padre dell’altro attore e dei convenuti.

Questi ultimi, costituitici, contestavano il fondamento della domanda proposta da C.M., deducendo che nella cd. riunione fittizia si doveva tenere conto anche delle liberalità dallo stesso ricevute.

Con sentenza non definitiva in data 21 marzo 2005 il Tribunale disponeva la riunione fittizia dei beni relitti da R. C. con i crediti vantati nei confronti di C.M. a titolo di canone locatizio per le porzioni immobiliari da lui godute e con il valore dell’azienda e delle quote di partecipazione alla soc. Permanente mobili donategli dal de cuius.

M.B. e C.M. proponevano appello, che veniva rigettato dalla Corte di appello di Milano con sentenza in data 18 settembre 2008.

I giudici di secondo grado ritenevano che le donazioni in favore di C.M. risultavano dalle dichiarazioni contenute nel testamento di C.R., dalle ammissioni degli attori, da vari altri elementi.

Non risultavano, invece, provate donazioni in favore di C. M.G. e C.A..

Era infondata, infine, la pretesa degli appellanti di considerare come facente parte dell’eredità l’importo dei depositi bancari del de cuius nel 1988 (cioè 12 anni prima dell’apertura della successione), non esistendo elementi per ritenere che di tale importo non avesse disposto il de cuius in vita e che parte esso fosse transitato sul conto cointestato allo stesso ed a M.G. C..

Contro tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione, con sette motivi, illustrati da memoria, M.B. e M. C..

Resistono con controricorso C.M.G. e C. A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti si dolgono del fatto che i giudici di merito non abbiano rilevato la tardività (con conseguente inammissibilità) della domanda riconvenzionale proposta dalle controparti.

Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.

La domanda in questione, infatti, era del seguente tenore: accertare quale dei comunisti abbiano goduto in via esclusiva del compendio immobiliare e, previa determinazione del valore locativo di mercato dello stesso, condannarli al pagamento a favore dei convenuti della quota di spettanza di tale importo.

E’ evidente che si trattava di una domanda di rendiconto in ordine al godimento di beni ereditari dopo l’apertura della successione.

Tale domanda, però, non è stata presa in considerazione dai giudici merito, per cui gli attuali ricorrenti non hanno interesse a dolersi del mancato rilievo della asserita tardività della stessa.

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono che i giudici di merito non potevano ritenere provata la donazione a C.M. dell’azienda di cui era titolare il de cuius, delle quote della soc. Permanente Mobili e la remissione del debito relativo ai canoni di locazione sulla base delle dichiarazioni del de cuius nel testamento, non potendosi attribuire pubblica fede allo stesso.

Il motivo è infondato, in quanto la Corte di appello ha desunto la veridicità di quanto affermato nel testamento da altri elementi.

Con il terzo motivo i ricorrenti censurano il seguente passo della sentenza impugnata: con l’atto di citazione introduttivo del giudizio (gli attori) non hanno proposto azione di nullità o di annullamento del testamento olografo in questione, nè lo hanno impugnato per falso o per incapacità del testamento, ma si sono limitati a lamentare che le relative disposizioni violassero la loro riserva di legittima ed a chiedere quindi la riduzione.

Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: Statuisca la Suprema Corte che: il legittimario che agisce in riduzione per la violazione della quota di legittima a lui spettante, in caso di dichiarazioni del testatore di averlo beneficiato in vita con presunte donazioni, non deve agire per la dichiarazione di nullità o l’annullamento del testamento o la dichiarazione di incapacità del testatore o con querela di falso, non ricorrendo le ipotesi rispettivamente previste dagli artt. 606, 591 c.c. e art. 214 c.p.c..

Il motivo è infondato, in quanto i giudici di merito non hanno inteso affermare quanto prospettato nel quesito di diritto, ma semplicemente che, non essendo il testamento nullo o annullabile, ne conseguiva la veridicità delle dichiarazioni in esso contenute.

L’erroneità di tale affermazione è irrilevante, in quanto, come si è detto, la Corte di appello non ha desunto la prova delle donazioni dalle dichiarazioni contenute nel testamento, ma da altri elementi.

Con il quarto motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere affermato che ogni eccezione circa la non corrispondenza al vero delle dichiarazioni del testatore contenute nella scheda testamentaria è sul piano procedurale inammissibile ex art. 345 c.p.c., perchè proposta per la prima volta in grado di appello e sul piano sostanziale smentita dal contenuto implicito ma univoco degli atti degli stessi attori ora appellanti.

Dopo avere precisato che il punto controverso e decisivo per la decisione della causa è quello già enunciato nel primo motivo, vale a dire se in giudizio sia stata raggiunta la prova delle donazioni, i ricorrenti formulano il seguente quesito di diritto: statuisca la Suprema che: il motivo di appello volto a contestare la decisione impugnata nella parte in cui ritenga provata la domanda avversaria non costituisce eccezione nuova ai sensi dell’art. 345 c.p.c..

Anche tale motivo è inammissibile per difetto di interesse.

Infatti, anche se è esatto che la deduzione della mancata prova delle donazioni non costituiva eccezione in senso tecnico e quindi fuori luogo nella sentenza impugnata si è fatto riferimento all’art. 345 c.p.c., la Corte di appello ha comunque esaminato l'”eccezione” in questione, ritenendola infondata.

Con il quinto motivo i ricorrenti pongono il quesito di diritto se la prova del contratto di donazione di uno dei legittimar non può essere costituita dalla dichiarazione del de cuius contenuta nella scheda testamentaria di averlo beneficiato in vita, trattandosi di dichiarazione unilaterale la quale non produce effetti fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge.

Il motivo è infondato.

Va, infatti, ancora una volta ribadito che i giudici di merito non hanno ritenuto provate le donazioni in favore di C.M. solo dalle dichiarazioni contenute nel testamento, ma anche da altri elementi.

Con il sesto motivo i ricorrenti cercano di sminuire gli elementi dai quali la Corte ai appello ha desunto la conferma della esistenza delle donazioni in favore di C.M. di valorizzare gli elementi di segno contrario.

Il motivo non può trovare accoglimento, in quanto si chiede a questa S.C. una inammissibile rivalutazione del materiale probatorio.

Con il settimo motivo i ricorrenti propongono varie censure.

In primo luogo deducono che i giudici di merito non avrebbero tenuto conto degli elementi dai quali risultavano donazioni indirette in favore di C.M.G. ed C.A..

Le doglianze non possono trovare accoglimento, in quanto si chiede a questa S.C. una inammissibile rivalutazione del materiale probatorio.

Infine, i ricorrenti censurano il seguente passo della motivazione della sentenza impugnata: … gli appellanti non hanno mai neppure allegato che il sig. C. non sia stato pienamente capace di intendere e di volere sino alla sua morte e che, quindi, egli non fosse in grado di controllare personalmente la gestione dei propri conti correnti bancari; … in ogni caso, dalla documentazione bancaria prodotta dagli appellanti non si evince se e quali somme sarebbero state presenti alla data dell’apertura della successione sul conto cointestato al sig. C.R. ed alla figlia M.G..

Secondo i ricorrenti la questione non riguarda la incapacità del de cuius, ma l’accertamento di una donazione di denaro dal padre alla figlia.

La doglianza è infondata, in quanto, come dedotto dalla Corte di appello, non risultava provato che le somme di danaro di cui si discute fossero affluite (in tutto o in parte) sul conto contestato a C.R. e C.M.G..

Il ricorso va, pertanto, rigettato, con condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida nella complessiva somma di Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2011

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